Sono le complicanze microvascolari più frequenti del diabete: retinopatia e maculopatia rappresentano anche la prima causa di cecità non traumatica negli adulti tra i 20 e i 74 anni. «In Italia circa un terzo dei diabetici (più di un milione di persone) presenta segni di retinopatia diabetica e uno su 10 è portatore di alterazioni gravi, incluso l’edema maculare diabetico (EMD): una condizione che comporta la perdita della visione centrale ma, a differenza della retinopatia, tende poi a stabilizzarsi», puntualizza il professor Massimo Porta, diabetologo e direttore della Scuola di specializzazione in Medicina Interna all’Università di Torino, intervenuto a Milano in occasione della presentazione del Mese della prevenzione della Maculo e Retinopatia diabetiche (4-28 febbraio), promosso dal CAMO (Centro Ambrosiano Oftalmico), in collaborazione con l’Ospedale San Raffaele, con il patrocinio del Ministero della Salute, del Comune di Milano e della Società Oftalmologica Italiana (SOI). In base ai dati della SOI e dalla Società Italiana di Diabetologia, quando il diabete viene diagnosticato oltre i 30 anni di età, la prevalenza di retinopatia diabetica varia tra il 21% negli individui con diabete da meno di 10 anni e il 76% in quelli con diabete da più di 20 anni: in media il 30-50% della popolazione diabetica è affetto da retinopatia di varia gravità.
Per individuare precocemente questa patologia e poter intervenire con tempestività, la Food and Drug Administration ha autorizzato di recente il primo dispositivo medico che, utilizzando l’intelligenza artificiale, è in grado di rilevare precocemente i sintomi di maculo e retinopatia diabetica. La validazione del dispositivo è avvenuta dopo uno studio clinico di immagini retiniche ottenute da 900 pazienti con diabete in 10 Centri di assistenza primaria. Il dispositivo è stato in grado di identificare la presenza di una retinopatia diabetica anche lieve nell’85% dei casi.
«L’individuazione precoce della retinopatia è una parte importante della gestione delle cure per i milioni di persone con diabete. Molti pazienti non sono adeguatamente sottoposti a screening per retinopatia diabetica, poiché circa il 50% trascura le visite annuali dall’oculista», fa notare il dottor Lucio Buratto, direttore scientifico del CAMO (Centro Ambrosiano Oftalmico) che, per tutto il mese di febbraio, utilizzerà questa nuova tecnica nelle visite di controllo previste in 30 centri di eccellenza. Per info: www.maculopatie.com
Il dispositivo in questione è un programma software EyeArt che utilizza un algoritmo di intelligenza artificiale per analizzare le immagini dell’occhio, ottenute con una telecamera retinica. Lo specialista carica le immagini digitali della retina del paziente su un server, in cui è installato questo software, in grado di fornire immediatamente i risultati sullo stato della retina.
«Se viene rilevato un risultato positivo, i pazienti dovranno poi consultare un oculista per un’ulteriore valutazione diagnostica e un trattamento tempestivo», raccomanda il professor Francesco Bandello, direttore della Clinica oculistica dell’Università Vita-Salute, IRCSS San Raffaele di Milano. «In questo modo si ottiene uno degli obiettivi fondamentali nella prevenzione: una diagnostica precoce, facile e accessibile. L’ideale sarebbe individuare i pazienti quando ancora non ci sono i sintomi. A livello di economia sanitaria si spenderebbe meno a eseguire un buono screening piuttosto che curare poi la retinopatia».
di Paola Trombetta
La terapia che ha cambiato il trattamento delle patologie della retina
La diagnosi precoce è dunque la scommessa delle campagne di prevenzione delle patologie della retina che portano a comprendere come, davanti a un calo improvviso della vista, sia necessario intervenire tempestivamente. Sintomi come la deformazione delle righe, la visione di immagini distorte, le difficoltà di lettura, sono campanelli d’allarme della degenerazione maculare legata all’età. Per rallentare questa patologia è da cinque anni sul mercato il farmaco aflibercept. «Nel recente studio ALTAIR, condotto in Giappone, i cui risultati sono stati presentati di recente al Congresso della Società Europea degli Specialisti della Retina (EURETINA), aflibercept è stato somministrato a pazienti con degenerazione maculare legata all’età, con modalità “Treat and Extend”, ovvero con estensioni di intervallo di due o quattro settimane», spiega il professor Paolo Lanzetta, fondatore e responsabile scientifico dell’Istituto Europeo di Microchirurgia oculare IEMO. «Al termine del follow-up quasi il 60% dei pazienti ha potuto raggiungere un intervallo tra le iniezioni di 3 mesi e il 40% addirittura di 4 mesi. Queste e altre recenti evidenze confermano l’efficacia di aflibercept nel trattamento di diverse patologie della retina. Risultati che attestano la possibilità di aumentare il lasso di tempo tra un’iniezione e l’altra, con conseguenti benefici in termini di qualità della vita del paziente».
«Quando la degenerazione maculare colpisce entrambi gli occhi, la qualità di vita del paziente viene alterata in maniera paragonabile a tumori o esiti di stroke», commenta la professoressa Monica Varano, Direttore scientifico IRCCS Bietti di Roma, che ha partecipato a un progetto di Medicina narrativa promosso da Bayer. «Lo studio ha dato spazio agli aspetti relazionali, emozionali e sociali vissuti nei percorsi di terapia. Il quadro emerso ha evidenziato, ad esempio, che i primi sintomi della malattia sono spesso trascurati, con un successivo ritardo diagnostico e di accesso alle cure. Esiste un problema di comunicazione medico-paziente importante, spesso derivante dal poco tempo a disposizione del clinico per le visite, che incide sul successo della terapia. Le terapie intravitreali, come aflibercept, hanno cambiato il decorso della degenerazione maculare, sia per i pazienti che per gli stessi oculisti, riducendo l’ipovisione dovuta alla malattia.
Si tratta però di cure iniettive ripetute nel tempo, che richiedono sia per il paziente che per l’équipe medica, un carico importante. È fondamentale controllare il paziente spesso, per diagnosticare eventuali recidive e trattarle tempestivamente. In questo senso, esiste una discrepanza tra i trial clinici condotti sui pazienti e la vita reale dove si riscontra un problema di scarsa aderenza terapeutica».
di Paola Trombetta