Avere il diabete a 40 anni, riduce l’aspettativa di vita di circa 6 anni negli uomini e 7 anni nelle donne: la metà di questa riduzione è riconducibile a malattie cardiovascolari. Secondo i recenti dati Istat, l’incidenza di malattie cardiologiche tra gli over 45 con diabete è doppia (17%) rispetto a quella dei non diabetici (7,5%). Sono alcuni degli argomenti in discussione al 12° Italian Diabetes Barometer Forum, che si è da poco concluso a Roma, organizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, Comitato nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Health City Institute, I-Com Istituto per la competitività, Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane e Intergruppo parlamentare “Qualità della vita nelle città”, con il contributo non condizionante di Novo Nordisk. Da una recente indagine realizzata dall’International Diabetes Federation in partnership con Novo Nordisk, che ha coinvolto più di 12 mila persone con diabete di tipo 2 in 130 Paesi del mondo è emerso, per quanto riguarda la conoscenza dei fattori di rischio, che un paziente su 4 non era consapevole del ruolo svolto dall’ipertensione e dal sovrappeso, uno su 3 ignorava che iperglicemia, ipercolesterolemia, fumo e sedentarietà aumentano il rischio cardiovascolare e uno su 2 non considerava fattori di rischio, lo stress, il diabete di lunga durata e l’età oltre 65 anni. Per capire la percezione di una malattia come il diabete nel contesto urbano cittadino, dove l’attività fisica e l’alimentazione sono spesso sregolate, abbiamo intervistato la professoressa Simona Frontoni, professore di Endocrinologia all’Università di Roma Tor Vergata, direttore dell’UOC di Endocrinologia e Diabetologia dell’Ospedale Fatebenefratelli – Isola Tiberina e Presidente del Comitato Scientifico IBDO (Italian Barometer Diabetes Observatory).
Sono trascorsi dieci anni dalla promulgazione del “Manifesto dei diritti e doveri della persona con diabete”: cosa è cambiato nella prevenzione, nell’informazione e nelle terapie per questa malattia?
«E’ cambiato moltissimo. Sicuramente l’aspetto più difficile è la prevenzione, perché richiede interventi molto costosi e strategie politiche non sempre facili da perseguire. Quello che siamo riusciti a trasmettere in questi dieci anni è la maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione e dell’adozione di stili di vita sani, con riferimento all’attività fisica che è entrata nella coscienza della popolazione generale e delle persone con diabete in particolare, come prevenzione della malattia. Molte cose si possono fare con il supporto delle istituzioni e, come è stato ribadito al congresso, è importante che le città offrano percorsi e facilities per consentire queste attività. Negli ultimi dieci anni si è intensificato il rapporto tra medico diabetologo e medico di famiglia, ed è aumentata la consapevolezza dello spostamento della cura del diabete dall’ospedale al centro diabetologico e al territorio. Un importante aiuto a questo processo può essere dato dai nuovi farmaci che consentono una cura efficace, molto precoce e sicura, evitando la comparsa di ipoglicemia che le cure del passato potevano provocare. Contemporaneamente, lo sviluppo della tecnologia consente una maggiore e più comoda trasmissione dei dati a distanza, senza dover tutte le volte far venire il paziente in ambulatorio a vantaggio della migliore gestione della patologia».
In riferimento all’aderenza delle terapie e degli stili di vita corretti, c’è differenza tra donne e uomini?
«Non esistono studi specifici a riguardo. Dalla percezione clinica risulta che le donne sono sicuramente più attente, in grado di gestire e prendersi carico della loro patologia e anche di quella del coniuge. Abbiamo sempre più donne, anche anziane, che utilizzano le tecnologie e diventano care-giver del loro coniuge. Quello che manca un po’ è la percezione da parte delle donne di prendersi cura di se stesse, perché sono in grado di sopportare meglio i disturbi e arrivano alla diagnosi più tardi, tendendo a sottovalutare i sintomi iniziali di malattia che invece l’uomo evidenzia prima. La donna è al contrario più attenta agli stili di vita sani, all’attività fisica, all’alimentazione».
A proposito delle patologie correlate al diabete, come quelle cardiovascolari e prima ancora l’obesità, c’è differenza di incidenza tra donne e uomini?
«L’obesità è più diffusa nelle donne e questo vale soprattutto per le età più giovani. Purtroppo nella donna sta anche cambiando la distribuzione del grasso: come nell’uomo, sta diventando sempre più di tipo androide, concentrata nella zona della pancia, con aumento della circonferenza vita che è notoriamente associato al rischio cardiovascolare e alle patologie metaboliche, come il diabete, in aumento nelle donne. Anche le forme di policistosi ovarica sono in crescita nelle ragazze e sono correlate all’obesità».
Un altro dato rilevante in questi anni sembra essere l’aumento di diabete gestazionale.
«E’ un dato che si registra soprattutto nelle donne straniere. Il nostro ambulatorio dell’Ospedale Fatebenefratelli – Isola Tiberina, punto di riferimento per le future madri, è frequentato nel 90% da gravide che provengono dall’Africa, dall’Egitto, dalle Filippine, Sudamerica con alta incidenza di diabete gestazionale. Questo dipende molto dal fatto che queste donne cambiano lo stile di vita, iniziano a mangiare cibi che prima non mangiavano. Hanno poi difficoltà a parlare l’italiano e dunque a capire i consigli di prevenzione che diamo loro. A mala pena riescono a seguire regolarmente la terapia… In più vivono in un contesto socio-familiare precario, con grosse problematiche economiche. E’ un’emergenza per loro e per noi che cerchiamo di arginare queste situazioni e siamo sommersi da richieste di visite per il diabete gestazionale».
In questo convegno si è parlato molto della prevenzione del diabete, attraverso l’attività fisica, l’alimentazione. Un ruolo importante ha l’ambiente urbano, la qualità di vita nelle città, tanto che si considera il diabete una delle malattie più legate all’urbanizzazione. Che cosa si può fare e cosa prevedete come IBDO per migliorare l’ambiente urbano?
«Quello che stiamo cercando di fare è il potenziamento della consapevolezza. Abbiamo già realizzato un “passaporto di Roma”, ovvero una serie di percorsi, individuati da una community, presieduta dal maratoneta Maurizio Damilano, che ha inventato la disciplina, denominata Fit-Walking. Alcuni centri diabetologici si faranno carico di organizzare per i pazienti queste “camminate sostenute”, con appositi istruttori di riferimento per monitorare i percorsi: verranno costituiti gruppi di pazienti che parteciperanno a queste attività di Fit-Walking e saranno monitorati per valutarne l’effetto sulla malattia. Questo progetto pilota dell’Health Cities è partito da Roma, ma si estenderà presto ad altre città come Milano, che è da poco entrata a pieno titolo nel progetto Cities Changing Diabetes, con strategie di interventi per affrontare il diabete nelle città metropolitane, assieme a Roma, Houston, Shangai».
di Paola Trombetta