Tre milioni di casi: sono le stime, sottovalutate, del fibroma uterino, noto anche come mioma o leiomioma, la forma di tumore benigno che interessa le cellule muscolari lisce dell’utero. Il più diffuso fra le problematiche ginecologiche, può riguardare all’incirca il 20-60% di donne in età fertile, con un’incidenza variabile secondo l’età: molto bassa prima dei 20 anni, in crescita graduale nelle età successive, fino a raggiungere un picco massimo tra i 40 e i 50 anni. Spesso asintomatico, il fibroma uterino è frequentemente diagnosticato durante una normale visita ginecologica di controllo, con una scoperta dunque tardiva. In altri casi invece i segnali ci sono: sanguinamenti abbondanti, disturbi della minzione e della defecazione, con un sensibile impatto sulla quotidianità che disturba anche la sessualità e la vita di coppia fino a poter anche essere una causa di infertilità, gravando sui tassi di bassa natalità (nel 2018, nel nostro Paese, secondo i dati Istat, i nuovi nati sono diminuiti di 18 mila unità, 4% in meno rispetto al 2017 in cui si era raggiunto il minimo storico con meno di 440 mila nati), ma anche di abortività. Eventualità confermate dal fatto che il fibroma uterino si sviluppa nella fascia d’età in cui, ad oggi, si registrano i numeri più elevati di prime gravidanze: mediamente dopo i 30 con una delle percentuali più alta in Europa (7,3%) di primi figli dopo i 40 anni, secondo le rilevazioni Eurostat del 2017. Non è un caso, quindi, che l’ultimo Piano Nazionale per la Fertilità del Ministero della Salute abbia indicato i fibromi uterini tra le malattie che insidiano la capacità riproduttiva delle donne.
Eppure le possibilità terapeutiche ci sono, come evidenziano le Linee guida di alcune delle principali società scientifiche tra cui Sigo (Società Italiana Ginecologia e Ostetricia), Aogoi (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) e Augui (Associazione Ginecologi Universitari Italiani).
Funzionali e “personalizzate” le opzioni terapeutiche, in base a sintomi, dimensione, numero e posizione del fibroma, presenza di patologie concomitanti, età della donna, desiderio di maternità: variano da terapie mediche ormonali a quelle chirurgiche, che possono comprendere miomectomia (eliminazione dei fibromi) e isterectomia (asportazione dell’utero) da sempre terapie d’elezione, fino a tecniche meno invasive tra cui l’embolizzazione, e le terapie farmacologiche di ultima generazione in grado di controllare e ridurre sintomatologia e dimensioni dei fibromi.
«Indicare i percorsi giusti, e quindi più appropriati – dichiarano gli esperti delle società – diventa imperativo per le donne, i professionisti e per i sistemi sanitari regionali. Ciò significa anche implementare e uniformare protocolli diagnostici e di intervento, considerando che i fibromi uterini sono, dopo i parti cesarei, la principale voce di spesa in ambito ginecologico». E non è un caso: «Durante la gravidanza – commenta Rossella Nappi, professore ordinario di Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’IRCCS Policlinico San Matteo, Università degli Studi di Pavia – i fibromi uterini vanno tenuti sotto controllo, perché la loro crescita può aumentare in relazione alla maggiore produzione di ormoni o richiedere, come di norma avviene, un parto cesareo anziché naturale, soprattutto se la donna è già stata sottoposta a un intervento di chirurgia ginecologica».
Gli esperti sono concordi nel ritenere che l’approccio ai fibromi uterini e la scelta terapeutica devono essere finalizzati a due obiettivi: la protezione e tutela della fertilità della donna e la migliore conoscenza e consapevolezza delle implicazioni della problematica stessa.
I fibromi uterini sono dunque da temere? «In linea generale no – tranquillizza Nappi – poiché l’evoluzione di questa lesione verso “qualche cosa di brutto” è un evento piuttosto raro che si verifica all’incirca nello 0,2% dei casi». Invece occorre attuare diagnosi e trattamento più corretti e appropriati alle manifestazioni della lesione. «Di norma quando i fibromi sono asintomatici – aggiunge la professoressa – è sufficiente un follow-up/monitoraggio, con una visita ginecologica annuale associata a ecografia pelvica. Nel caso in cui il fibroma si manifesti invece con chiari disturbi, si potrà scegliere tra una terapia ormonale a base di estro-progestinici o di progestinici che ha lo scopo di regolarizzare i cicli mestruali o la chirurgia. Quest’ultima opzione va però messa in atto solo in casi selezionati, in cui ad esempio i fibromi hanno dimensioni grandi o sono in numero eccessivo, in funzione della sede o dell’età e del desiderio di maternità della donna, e solo dopo il fallimento della terapia medica. Anche la chirurgia oggi offre diverse opportunità: interventi di tipo conservativo, come la miomectomia in minilaparotomia o in laparoscopia, con la rimozione del fibroma o lo slicing, cioè “l’affettamento” della lesione, in caso di sanguinamento dipendente dal fibroma stesso, in cui il fibroma viene sezionato e estratto dalla cavità uterina senza provocare danni alle pareti interne dell’utero, utile soprattutto in donne in età fertile o in vista di una gravidanza. In casi più gravi, si ricorre a interventi di tipo demolitivo, come l’isterectomia con asportazione dell’utero. Oltre a queste tecniche più tradizionali, ne esistono altre più innovative con l’utilizzo di ultrasuoni (HIFU) ad alta densità, focalizzati sul fibroma, che permettono anche la riduzione dei sintomi e del dolore post-operatorio. Questa metodica però non consente l’esame istologico, perché il fibroma non viene rimosso ma bruciato: esiste dunque il rischio che nel caso di tumore maligno, ad esempio un sarcoma uterino, il trattamento risulti inadeguato con possibile peggioramento della prognosi. Infine, è disponibile una nuova terapia farmacologica a base di ulipristal acetato, un modulatore del recettore del progesterone, che si è dimostrata utile nel ridurre la dimensione dei fibromi, favorendo una chirurgia conservativa, soprattutto in caso di sanguinamenti abbondanti».
La prima regola nel trattamento e cura dei fibromi è dunque affidarsi a un esperto, perché le opzioni terapeutiche oggi ci sono a favore di una migliore qualità della vita e della protezione della fertilità e sessualità.
di Francesca Morelli