Un test dell’epatite C da acquistare in farmacia e poter fare a casa, con tutta tranquillità e in totale anonimato, attraverso un semplice campione di saliva. È la proposta di Ivan Gardini, presidente di EpaC Onlus, lanciata in occasione della conferenza stampa “Alleanza contro l’Epatite 2019”, organizzata a Roma da MA Provider, promossa da AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) e da SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), con il patrocinio di EpaC onlus, a cui è intervenuto, come prima uscita pubblica, il vice Ministro alla Salute Pierpaolo Sileri, che si è fatto garante dell’impegno da parte del Ministero per riconoscere diagnosi e trattamenti a tutti i pazienti. «Con un simile test di facile accesso, riusciremmo a ridurre il numero di persone che oggi non sanno di avere l’epatite C e potremmo curarle prima che la malattia dia segni importanti>, puntualizza lo stesso Ivan Gardini. «Oggi sono 190 mila le persone trattate con i nuovi farmaci, in grado di eradicare completamente il virus. Ma altrettanti sono, seconde le stime, i soggetti che non sanno di avere il virus dell’epatite. Con un semplice prelievo salivare si potrebbero individuare gli anticorpi del virus HCV: questo vuol dire che il soggetto è entrato in contatto con il virus, ma non necessariamente è malato. Sarà poi un esame del sangue a confermare la diagnosi di malattia. Si tratta comunque di un primo screening che porterebbe a una diagnosi precoce della malattia. Oggi troppo spesso la diagnosi avviene per caso, magari in occasione di un ricovero ospedaliero oppure nelle donne in gravidanza, in prossimità del parto».
«L’esame dell’HCV dovrebbe essere obbligatorio nel caso di donne in gravidanza, insieme a quello dell’HIV», prosegue il professor Massimo Galli, presidente SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali). «Purtroppo però non in tutti gli ospedali pubblici viene effettuato, mentre le strutture private sono più attente a praticare questo esame. Si potrebbe addirittura proporre di eseguirlo di routine a tutte le persone ricoverate in ospedale. E ovviamente i medici di famiglia dovrebbero consigliarlo alle categorie più a rischio (tossicodipendenti, ma anche a chi è sottoposto a frequenti trasfusioni di sangue, alle persone sieropositive, a chi ha più di 60 anni e nel passato utilizzava siringhe di vetro non perfettamente sterili)».
«Il ruolo del medico di famiglia è fondamentale nell’individuare persone a rischio di HCV», aggiunge il dottor Salvatore Petta, segretario di AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato). «E dovrebbe fare da tramite tra il paziente e lo specialista, al quale spetta la decisione di proporre la cura giusta. Oggi esistono diversi tipi di terapie che possono essere personalizzate per ogni paziente. Purtroppo però solo un paziente su due è in trattamento». «La disponibilità in Italia di tre diversi farmaci ha consentito in questi anni di scegliere e utilizzare lo schema terapeutico più adatto a ciascun paziente», aggiunge il professor Galli. «I farmaci in questione non prevedono la stessa durata di trattamento, sono ampiamente diversi da un punto di vista chimico e per meccanismi d’azione e presentano profili di sicurezza differenti. Poterli usare tutti ha dato grandi risultati».
Per sensibilizzare le Regioni a rendere accessibili i farmaci a tutti i pazienti, EpaC onlus vuole focalizzare l’attenzione sui seguenti punti. La realizzazione di un percorso diagnostico-terapeutico nazionale (PDTA) per l’eliminazione dell’infezione da HCV, con linee di intervento omogenee, ma adattabili alle esigenze di ogni singola regione. L’istituzione di un fondo sanitario per assicurare risorse destinate all’acquisto di farmaci anti-HCV, adeguate al numero di pazienti da trattare per raggiungere gli obiettivi dell’OMS, ma anche ad attività di screening e iniziative correlate, quali programmi di formazione e informazione del personale medico e alla popolazione, possibilità di disporre in carceri e SerD di personale specializzato che consenta la gestione in loco dei pazienti, screening delle popolazioni a rischio, ampliamento dei centri autorizzati alla prescrizione dei farmaci, semplificazione dei percorsi di diagnosi, attività di comunicazione verso la popolazione. «Non esistono più scuse»,conclude Ivan Gardini. «Abbiamo i farmaci che curano definitivamente un’ infezione trasmissibile e, non essendo disponibile un vaccino, l’eliminazione dell’infezione passa attraverso la cura del maggior numero di pazienti; abbiamo le risorse, ormai quasi inutilizzate per mancanza di strategie adeguate, disponiamo di strutture e medici specialisti. Ogni paziente che si aggrava è una sconfitta del SSN».
di Paola Trombetta