Emicrania: non sarà più un perenne “rompicapo”

«Sono stati 44 anni di emicrania, con 23-28 attacchi al mese che potevano arrivare in qualunque ora del giorno e della notte: il mal di testa c’era sempre ed era l’altra mia persona». A raccontare la sua esperienza è Francesca B., 51 anni, in occasione del 50° Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia che si è tenuto di recente a Bologna. «Il mal di testa condizionava tutto il mio vissuto, ma soprattutto la vita privata, gli affetti, le relazioni sociali, privandomi delle energie per dedicarmi ad altro, a uno sport, a mio marito, a una vacanza. Mi ero arresa a dover convivere con l’emicrania fino all’ultimo dei miei giorni. Mio marito, invece che non voleva vedermi soffrire, un giorno ha letto di una nuova terapia. Che effettivamente mi ha cambiato la vita: ora passano anche 15 giorni senza avere un attacco di mal di testa, mi sono riappropriata della mia esistenza, ritrovandomi a fare cose prima impensabili: un’attività nel tempo libero, organizzare una vacanza, dedicarmi alla mia famiglia. Una vera gioia a cui non ero più abituata da tantissimo tempo».

Francesca non è sola: con lei c’è un esercito di emicranici. Dodici per cento della popolazione mondiale, 1 miliardo di persone, 6 milioni in Italia di cui 4 milioni di donne colpite, nella fascia d’età più produttiva – tra i 25 e i 55 anni – con una prevalenza tre volte superiore rispetto agli uomini, complice l’assetto e le fluttuazioni ormonali. Sono i numeri “dolorosissimi” dell’emicrania il cui impatto sulla privacy, la vita socio-relazionale e la quotidianità di chi ne è colpito, annichilisce. E non solo per i sintomi: un dolore pulsante, di intensità medio-grave più di frequente da un solo lato della testa che dura per periodi prolungati, dalle 4 alle 72 ore, e si può ripresentare per almeno 15 giorni al mese, in caso di forma cronica o scendere a meno di 15 giorni al mese, se l’emicrania è episodica, spesso accompagnato da vomito, nausea, sensibilità alla luce e al suono, fino a stati di depressione. A venire compromesse sono anche le attività quotidiane: domestiche, scolastiche e lavorative, comunicazione e mobilità, cura di sé, partecipazione alla vita sociale, a eventi familiari: tutto è messo da parte per paura di un attacco! E’ stato infatti dimostrato che molti sintomi, arrivano ben prima dell’episodio stesso, oppure possono permanere dopo che la cefalea se ne è andata, compromettendo la capacità della persona di continuare la quotidianità. Pesanti anche le implicazioni sulla vita di coppia: l’emicrania causa nel 29% dei casi litigi, nel 60% problemi relazionali in famiglia.

«C’è poi l’aspetto legato al rischio di depressione, stati di ansia, disturbi del sonno e obesità», dichiara Bruno Colombo, direttore Centro Cefalee, Ospedale San Raffaele, Milano. «Implicazioni che fanno dell’emicrania la quarta causa di disabilità al mondo. Soprattutto le donne, più vulnerabili e con attacchi più frequenti e intensi, vanno incontro a maggiori probabilità di disabilità».

Un “assioma”, quello del dolore cronico, che oggi può essere spezzato da una soluzione innovativa. Un farmaco in grado, non solo di combattere, ma anche di prevenire l’emicrania. «Si chiama fremanezumab: è una molecola di ultima generazione – spiega Pietro Barbanti, direttore dell’Unità per la Cura e la ricerca sulle Cefalee del San Raffaele Pisana di Roma – approvata a luglio da EMA (Agenzia Europea del Farmaco) – che si autosomministra sottocute (la prima viene eseguita con il medico), nella coscia o nell’addome, una volta al mese, con una migliore aderenza del paziente, anche in funzione di effetti collaterali lievi o quasi assenti, come minime reazioni locali cutanee o eventuale stipsi. Il farmaco va ad agire su particolari neurorecettori che stimolano la risposta infiammatoria e dunque l’attacco, mettendo così a tacere l’insorgenza e la dolorabilità. La molecola, già dopo 12 settimane, ha dato ottimi risultati: nell’arco del mese almeno 6 giorni in meno colpiti da attacchi di emicrania, fino al 60% di pazienti con entrambe le forme, cronica ed episodica, che hanno ridotto della metà i giorni con emicrania». Il farmaco, attualmente disponibile in alcuni Centri Cefalee sul territorio (in attesa dell’approvazione di AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco, anche riguardo la definizione del costo e del profilo del paziente), è indicato sia in pazienti che necessitano di prevenire l’emicrania sia in  chi ha provato più cure tradizionali senza successo. Ad esempio, per citarne alcuni, farmaci off-label (senza precisa indicazione per l’emicrania), beta-bloccanti, antagonisti della serotonina, antidepressivi e anti-epilettici con finalità preventiva, o analgesici comuni tra cui paracetamolo o FANS (antinfiammatori non steroidei, anche in combinazione con farmaci specifici per l’emicrania), triptani per sedare gli episodi acuti. C’è ancora molto da sapere sull’emicrania, a partire dalle cause di insorgenza non del tutto note, benché siano stati identificati la familiarità e la componete genetica come fattori predisponenti, mentre esistono eventi “triggers”, capaci cioè di aumentare le possibilità di attacchi in pazienti emicranici, come irregolarità dei pasti o del sonno, un uso eccessivo di caffeina, lo stress o alcuni farmaci.
«Voglio dare un messaggio positivo a tutti i pazienti: fondamentale è la corretta diagnosi – conclude Cristina Tassorelli, Ordinario di Neurologia presso l’Università di Pavia: consente oggi di scegliere farmaci specifici che vanno a bloccare l’attacco e garantiscono un’efficace risposta anche nei pazienti più refrattari o colpiti dalle forme più severe, restituendo loro qualità di vita».

Un’altra buona notizia: oltre ai farmaci già disponibili, sono in arrivo nuove molecole somministrabili una volta ogni tre mesi, ma per via endovenosa.

di Francesca Morelli

Cattiva informazione, un’altra causa di “sofferenza” 

Di emicrania soffre il 12% della popolazione mondiale, secondo i dati dell’OMS, per lo più donne in un rapporto di 3:1 rispetto all’uomo. Eppure nonostante i numeri e le importanti implicazioni resta una problematica poco conosciuta, anche fra gli stessi pazienti. I quali, da una ricerca del Censis “Vivere con l’emicrania”, si dichiarano disinformati riguardo la propria condizione, lamentando la mancanza di un diffuso accesso ai servizi specialistici, che porta spesso alla cronicizzazione dell’emicrania da iper-uso autoregolato di farmaci da banco, in particolare analgesici. Con una sofferenza globale della vita quotidiana che perde in qualità. «Il dato più rilevante della ricerca – commenta Ketty Vaccaro, Responsabile Area Welfare e Salute Censis – è la denuncia da parte dei pazienti di una sottovalutazione sociale dell’emicrania che li spinge al ritiro anche dalla vita di relazione, alla riluttanza a parlare del proprio problema all’esterno, in famiglia con il partner e i figli. Così salta anche l’equilibrio di coppia e l’intimità, e si finisce con il convincersi di essere incapaci di gestire il proprio disturbo e l’esistenza. Fattori spesso responsabili anche di diagnosi tardive, spasmodiche ricerche dello specialista (neurologo) giusto, con ricadute sull’eccessivo utilizzo di farmaci da banco e di terapie alternative e un impatto economico non trascurabile». L’emicrania invece deve uscire dall’ombra nella quale è stata relegata, attraverso un impegno corale: di pazienti, clinici, della ricerca, delle istituzioni e dei media. Tanto più che clinicamente dell’emicrania si conosce moltissimo, soprattutto i meccanismi di innesco che fanno le differenza sulla possibilità di intervenire sulla malattia. Ma occorre anche contrastare l’immagine canonica che si ha di chi ne soffre: «A causa della sottovalutazione del problema, siamo diventati poco simpatici, tanto da affibbiarci il “marchio” da sempre di  “persone insoddisfatte, rompiscatole, pignole, incontentabili e anche un po’ con poca voglia di lavorare”, quando in realtà la nostra vita è condizionata dalla paura e dall’ansia in attesa del dolore che ci devasta. Un atteggiamento socio-culturale che deve cambiare: siamo ancora in attesa che ci venga riconosciuto il male che portiamo dentro la nostra testa, garantendoci la possibilità di accedere a terapie in grado di aiutarci». F.M.

#lldirittodipassareintesta la campagna di sensibilizzazione

Tre donne sono le protagoniste della Campagna di sensibilizzazione sull’emicrania, promossa da Teva e lanciata in occasione del 50° Congresso Nazionale della SIN, dal claim: “ll diritto di passare in testa”.  Tre donne che raccontano la loro non-vita e i propri sogni, rimasti chiusi nel cassetto, anzi mai nati, per colpa dell’emicrania: come diventare la prima donna chef stellata, la prima presidente della Repubblica, la prima giocatrice di calcio a sollevare la Coppa del Mondo o “semplicemente” una donna e madre. «Informare e sensibilizzare quante più persone possibile sull’emicrania – ha dichiarato Roberta Bonardi, Senior Director Business Unit Innovative Teva Italia – ma anche agire e modificare il paradigma secondo il quale l’emicrania è “un semplice mal di testa”, è il principale obiettivo della campagna. Abbiamo scelto di farlo mettendoci in ascolto delle necessità dei pazienti con emicrania e di chi sta loro intorno». Provando a dare risposta e voce ad alcuni bisogni irrisolti: come il lungo tempo della diagnosi che, secondo l’ultima ricerca Censis, richiede mediamente 7 anni, il percepito della malattia che per il 90% di chi ne soffre è socialmente sottovalutata. Per diffondere la campagna si è scelto di utilizzare i canali digitali, oggi più utilizzati: secondo stime recenti sono oltre 35 milioni gli italiani attivi sulle piattaforme social, 31 milioni da mobile con un tempo speso “online”, su base quotidiana, di poco inferiore alle 2 ore. Diventa anche tu follower: #ildirittodipassareintesta è l’hashtag della campagna, per la regia di Nico Malaspina, che sarà veicolata sui canali digitali e i social network Facebook, Twitter, e Instagram.  F.M.

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