In prossimità delle Festività Natalizie, arriva una buona notizia per i 4 milioni di italiani con diabete tipo 2, ma c’è anche un milione di diabetici che non sanno di esserlo. In questi giorni è disponibile anche in Italia e rimborsato dal Servizio sanitario nazionale, semaglutide (Novo Nordisk) farmaco agonista del recettore del GLP-1 di ultima generazione. Somministrato per via iniettiva, con una comoda penna pre-riempita, una sola volta a settimana, indipendentemente dai pasti, unisce, rispetto ai farmaci disponibili, superiore efficacia nel controllo della glicemia e del peso corporeo, ai benefici per il cuore, oltre alla riduzione del rischio di complicanze del diabete.
«Il GLP-1 è un ormone fisiologico che svolge molteplici azioni nella regolazione del glucosio e dell’appetito, nonché nel sistema cardiovascolare. Semaglutide è un analogo del GLP-1, simile al 94% a quello umano, le cui modifiche strutturali consentono la somministrazione settimanale», commenta Agostino Consoli, Professore di Endocrinologia presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” Chieti–Pescara. «Grazie alla sua efficacia, fino al 79 per cento dei pazienti raggiunge il target di emoglobina glicata, e quindi l’obiettivo terapeutico: per questo il documento di consenso delle società scientifiche americana ed europea riconosce semaglutide come una valida opportunità già in una fase precoce del trattamento».
«Le persone con diabete del nostro Paese godono di un buon controllo della malattia, rispetto alla situazione di molte altre nazioni», afferma Carlo Bruno Giorda, Direttore della struttura complessa Diabetologia dell’ASL Torino 5. «Ciononostante, secondo i dati degli Annali 2018 dell’Associazione Medici Diabetologi, nel diabete tipo 2 solo una persona su 2 ha un valore di emoglobina glicata (HbA1c) inferiore al 7%, soglia richiesta dalle principali linee guida di cura della malattia». Questo valore è il parametro che indica il livello di controllo della malattia, ovvero l’efficacia della cura. «Il primo obiettivo da perseguire, come medici diabetologi, è quello di mantenere la glicemia il più possibile sotto controllo, perché è dimostrato quanto la riduzione del livello di emoglobina glicata di un solo punto percentuale sia in grado di ridurre le complicanze del diabete: di oltre un terzo (-37%) quelle microvascolari, responsabili ad esempio del danno renale, del 14% l’infarto cardiaco, del 12% l’ictus e del 21% la morte correlata alla malattia», spiega Francesco Giorgino, Professore di Endocrinologia presso l’Università di Bari Aldo Moro.
Semaglutide è stato oggetto di un programma di studi clinici (SUSTAIN) che ha dimostrato la superiore efficacia della molecola nell’abbassamento del livello di emoglobina glicata. Nello studio SUSTAIN 7, dove il confronto è con un altro farmaco agonista del recettore del GLP-1, semaglutide ha ridotto l’emoglobina glicata di 1,8 punti per cento rispetto all’1,4. Analogamente, nello studio SUSTAIN 2, semaglutide, confrontato con un inibitore del DPP-4, ha mostrato una riduzione tra 1,4 e 1,6 punti per cento rispetto a 0,5 punti con il DPP-4. Semaglutide mostra un importante effetto anche sulla riduzione del peso corporeo. «Un’azione che ha un significato rilevante», spiega Basilio Pintaudi, Medico diabetologo presso l’Ospedale Niguarda. «Negli Annali AMD 2018, emerge come il 41,2% delle persone con diabete tipo 2 sia obesa e il 39,1% sovrappeso. Cioè, otto persone con diabete tipo 2 su 10 hanno un peso eccessivo: tenere contemporaneamente sotto controllo glicemia e peso è certamente un importante vantaggio».
Nello studio SUSTAIN 7, semaglutide ha ridotto, dopo 40 settimane, il peso corporeo di 6,5 chilogrammi rispetto ai 3 chilogrammi ottenuti con l’agonista del GLP-1 di confronto e, nello studio SUSTAIN 2, dopo 56 settimane, tra i 4,3 e i 6,1 chilogrammi rispetto a 1,9 chilogrammi dell’inibitore del DPP-4.
Un ulteriore punto di forza di questa terapia è la riduzione del rischio cardiovascolare. «È la prima causa di morte e disabilità nel diabete tipo 2 a livello mondiale», aggiunge Angelo Avogaro, Professore di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso l’Università degli Studi di Padova. «Una persona con diabete tipo 2 ha un rischio di andare incontro a coronaropatia o infarto quattro volte superiore alle persone sane». Anche in questo caso, la dimostrazione dell’efficacia di semaglutide viene da uno studio di due anni, SUSTAIN 6, che ha valutato l’impatto del farmaco sugli eventi cardiovascolari: semaglutide riduce il rischio cardiovascolare, rispetto al placebo, del 26 %. L’efficacia di questa nuova terapia è dunque dimostrata su: controllo glicemico, peso corporeo e riduzione del rischio cardiovascolare; associate alla possibilità di somministrarlo una sola volta a settimana rendono semaglutide un farmaco comodo e semplice da utilizzare, fin dalle prime fasi di cura del diabete tipo 2.
di Paola Trombetta