Anche i tatuaggi da radioterapia, una “marcatura” essenziale sulla pelle del seno per garantire l’irradiamento esatto dell’area da trattare ad ogni seduta, possono essere cancellati: grazie al laser a picosecondi di ultima generazione, le cui pulsioni vengono emesse alla velocità di un millesimo di nanosecondi e ad elevatissima potenza. Oggi i “punti di repere”, cioè le marcature sulla pelle, rispetto al passato, sono infinitamente piccoli, simili a nei, quasi esteticamente invisibili, eppure possono rappresentare un fastidio fisico, psicologico e emotivo per la donna che ritrova in quel segno un legame con la malattia. «Ci sono donne che li tollerano, altre che hanno il desiderio di liberarsene, tanto da volerli coprire con altri tatuaggi o facendoli addirittura rimuovere chirurgicamente – spiega Gianpiero Catalano, Direttore UO Radioterapia del Gruppo MultiMedica – con conseguenti cicatrici che vengono comunque preferite a quei puntini. La possibilità di cancellarli è un’opzione che, una volta concordata e condivisa con lo specialista radio-oncologo, può contribuire a migliorare la qualità di vita di molte pazienti».
«La rimozione della “stigmate” della patologia – prosegue Matteo Tretti Clementoni, Direttore Medico di Laserplast – può aiutare la paziente a raggiungere il “well-being”, lo stato di salute a cui fa riferimento l’Organizzazione Mondiale della Sanità: non solo assenza di malattia, ma condizione di benessere fisico, psicologico e sociale. Sentirsi libere di indossare un bikini, di vivere la propria intimità, grazie all’eliminazione di quel tatuaggio della radioterapia, significa aggiungere un ulteriore tassello nel percorso che ogni donna compie per riappropriarsi della propria vita dopo il tumore. Dunque, oltre a tutte le cure mediche, prioritarie e fondamentali, anche tornare a “prendersi cura” del proprio aspetto fisico può essere in qualche modo parte della terapia». Una attenzione al corpo che può partire proprio dalla pelle, luogo privilegiato della comunicazione con gli altri.
«Quando queste pazienti arrivano finalmente alla guarigione, il tatuaggio da radioterapia – aggiunge Roberta Ganzetti, psicoterapeuta presso l’Unità di Dermochirurgia e Chirurgia Plastica della clinica Villa Donatello di Firenze – non è più funzionale a uno scopo terapeutico, bensì resta un retaggio di una malattia che non c’è più. Una volta raggiunta la completa elaborazione dell’esperienza vissuta, è probabile che voglia liberarsi anche di un simile tattoo. Decidere e sapere di poterlo fare, abbracciando il cambiamento, è un’importante forma di libertà».
Francesca Morelli