È la terza patologia tumorale più frequente in Italia, con 42.500 casi all’anno. Ma la sopravvivenza a cinque anni è superiore alla media europea: il 63% delle donne e il 54% degli uomini colpiti dal tumore al polmone sono vivi a 5 anni, contro il 57% e 49% nel vecchio continente. E questo grazie alla scoperta di nuove cure, tra cui l’immunoterapia. Il farmaco più innovativo di questa classe si chiama Pembrolizumab, indicato per il trattamento in prima linea del carcinoma polmonare non a piccole cellule, metastatico, in presenza del biomarcatore PD-L1. Di recente l’AIFA ha approvato la nuova indicazione della combinazione di questa molecola con alcuni farmaci chemioterapici (platino e pemetrexed) per il carcinoma polmonare non a piccole cellule, metastatico, in assenza di mutazioni EGFR o ALK. La scoperta di questa molecola, che agisce sul sistema immunitario, è frutto della sperimentazione condotta all’Istituto dei Tumori di Milano e ha visto come protagonista la professoressa Marina Garassino, responsabile dell’Oncologia Toracica all’Istituto Nazionale dei Tumori e presidente dell’Associazione Women for Oncology.
Vorrei partire dalla scoperta di questa molecola, che ora è diventata un farmaco immuno-oncologico. Cosa si prova a vedere i risultati concreti, dopo anni di studio e di ricerca?
«È veramente emozionante avere scoperto e studiato per anni una molecola che è diventata un vero e proprio farmaco, in grado addirittura di curare uno dei tumori più diffusi, come quello al polmone. L’Istituto dei Tumori è stato il primo centro in Italia che ha creduto e sperimentato l’immunoterapia nel tumore del polmone. Dapprima abbiamo studiato le singole molecole, usate da sole, come Pembrolizumab. Sono stata il “principal investigator” dello studio Kenyote-189 che ha avuto l’idea di sfruttare la sinergia tra due tipi di trattamenti: la chemioterapia e l’immunoterapia. Le cellule tumorali, morendo, rilasciano sostanze captate dal sistema immunitario, promuovendo la distruzione di altre cellule tumorali da parte dei linfociti: l’associazione di questi due approcci terapeutici migliora decisamente i risultati rispetto alla sola chemioterapia, riducendo addirittura del 44% il rischio di morte, come abbiamo dimostrato con lo studio Kenyote-189. Nello specifico, la chemioterapia ha un’azione sinergica antitumorale se associata al Pembrolizumab, determinando, quando viene usata in prima linea, il raddoppio della sopravvivenza».
Oltre al tumore al polmone non a piccole cellule, in quali altri tipi di tumori si sono avuti buoni risultati con questa molecola?
«Pembrolizumab rappresenta una nuova opzione terapeutica anche per il carcinoma uroteliale (che interessa la vescica e la via escretrice) e colpisce ogni anno circa 31.600 soggetti. AIFA ha approvato di recente la rimborsabilità della molecola in monoterapia per il trattamento del carcinoma uroteliale avanzato o metastatico in pazienti che hanno ricevuto una precedente chemioterapia con platino. Buoni risultati si sono ottenuti anche nel melanoma, che interessa 12.300 soggetti l’anno: l’anticipazione della terapia con Pembrolizumab, subito dopo la chirurgia, permetterà di portare a guarigione un’alta percentuale di pazienti. AIFA ha approvato la molecola nel trattamento adiuvante del melanoma, in stadio III, con coinvolgimento dei linfonodi, dopo asportazione del tumore. Importanti passi avanti si sono ottenuti anche nei tumori del sangue, in particolare nel Linfoma di Hodgkin (2.300 nuovi casi all’anno), che colpisce sempre più giovani sotto i 35 anni».
Anche il tumore al polmone si sta diffondendo soprattutto nei giovani. Quali le cause e come intervenire per ridurre i rischi?
«Tenendo conto che la principale causa del tumore al polmone è il fumo, abbiamo visto che il 70% dei fumatori inizia da giovane. Dati allarmanti confermano che il 26% dei giovani che fumano hanno iniziato da adolescenti e alle scuole medie. Sono in aumento inoltre le ragazze fumatrici, mentre in lieve calo sono i ragazzi. Per questo è indispensabile fare prevenzione, soprattutto nelle scuole. Con Women for Oncology, stiamo promuovendo programmi di disassuefazione dal fumo: per disincentivarli al fumo, mettiamo in evidenza i molteplici rischi a cui vanno incontro. Non solo il tumore al polmone, che considerano una “malattia da vecchi”, per loro lontano e dunque non sufficiente come motivazione. Parliamo piuttosto dei problemi legati alle performance sportive che il fumo può causare, con compromissione a livello respiratorio e cardiaco. E per le ragazze, un buon deterrente al fumo è l’osservazione della variazione del colore della pelle che diventa grigia. In questo modo, anche le campagne contro il fumo possono avere un effetto più incisivo ed efficace».
di Paola Trombetta
Un altro farmaco da poco rimborsato dal SSN
In questi primi giorni dell’anno è stato finalmente rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale, anche in prima linea, osimertinib, inibitore della tirosin chinasi (TKI), per il trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule, localmente avanzato o metastatico, con mutazioni del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFRm). Si tratta di una terapia di precisione, in grado di agire sia a livello delle mutazioni di EGFR, sia a livello della mutazione di T790M, dimostrando un’importante attività clinica sulle metastasi nel sistema nervoso centrale. La molecola, già disponibile in Italia per il trattamento in seconda linea, aveva ricevuto l’approvazione in oltre 70 paesi, tra cui Stati Uniti, Giappone e UE, per il trattamento in prima linea. Osimertinib è attualmente in fase di studio come terapia adiuvante (studio Adaura), nella malattia localmente avanzata non operabile, in combinazione con la chemioterapia.
«Si tratta di un importante traguardo per i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule con mutazione di EGFR, che potranno accedere a questo trattamento subito dopo la diagnosi, con benefici in termini di sopravvivenza, ma anche di sicurezza e tollerabilità, elementi importantissimi per la qualità di vita dei pazienti», puntualizza la professoressa Silvia Novello, Ordinario di Oncologia Medica al Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e Presidente di WALCE (Women Against Lung Cancer in Europe). P.T.
Parte da Milano la “Rete italiana per lo screening polmonare”
Nei primi mesi del 2020 partirà uno studio internazionale con l’obiettivo di arruolare, nei prossimi due anni, 24 mila forti fumatori (che consumano almeno un pacchetto di sigarette al giorno) ultracinquantacinquenni, in sei diversi Stati Europei: Italia, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, Francia e Spagna. Nel nostro Paese l’obiettivo minimo è reclutare almeno 10mila partecipanti grazie al coinvolgimento diretto dei medici di famiglia della SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie). Sarà così creata la RISP (Rete Italiana di Screening Polmonare) per meglio definire le modalità di un nuovo screening attraverso l’uso di TAC spirale a basso dosaggio e di alcuni biomarcatori. In tutta Italia la Rete verrà coordinata dall’Istituto Nazionale Tumori di Milano attraverso un finanziamento dell’Unione Europea e con il sostegno del Ministero della Salute. Tra gli obiettivi che si pone la Rete Italiana di Screening Polmonare c’è anche quello di combattere il fumo, uno dei principali fattori di rischio oncologico. Da qui la necessità di coinvolgere i medici di famiglia per indurre a smettere con questo pericoloso vizio. «Nonostante le innumerevoli Campagne informative, sono ancora più di 11 milioni i fumatori nel nostro Paese», conferma Ovidio Brignoli, vice-presidente della SIMG. «Di questi oltre il 21% sono forti fumatori, consumando più di 20 sigarette al giorno. Proprio a loro vogliamo rivolgerci, perché sono le persone più esposte al rischio di tumore polmonare. Dobbiamo cercare di motivarli a smettere sulla base delle informazioni relative al loro stato di salute. Utilizzando la TAC spirale, non evidenziamo solo la presenza di un tumore, ma anche eventuali danni coronarici e rischio di infarto. E questo potrebbe rappresentare un ulteriore deterrente al fumo». P.T.