NEONATI RIFIUTATI ALLA NASCITA: UN PROBLEMA ANCORA DA RISOLVERE

Hanno di norma tra i 18 e i 30 anni e versano in condizioni di difficoltà: sono sole, per lo più straniere (oltre il 60% contro il 37% di italiane), non hanno supporto familiare o un lavoro, hanno partorito in una città diversa da quella di residenza o dalla propria patria, posseggono una istruzione medio-bassa. E rifiutano il proprio bambino alla nascita: 56 casi su un totale di 80.060 bambini nati, anche nell’ultimo anno, e fra donne italiane. Sono questi il profilo e i numeri delle donne che non accolgono la maternità, tanto da abbandonare il proprio bambino senza riconoscerlo, emerso da ‘Ninna Ho’, una indagine durata un anno – tra luglio 2013 e giugno 2014 – nell’ambito di un progetto di tutela per l’infanzia abbandonata, presentata di recente a Roma all’Auditorium del Ministero della Salute, condotta su un campione nazionale di 100 Centri nascita. Sono diversi i motivi del rifiuto e del successivo abbandono che l’indagine, effettuata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) e promossa dalla Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus e dal Network KPMG in Italia, ha messo in luce: disagio psichico e sociale, innanzitutto, paura di perdere il lavoro o di essere espulse e dover crescere un figlio da sole in un Paese straniero, coercizione, giovane età, solitudine e violenza, nessuna forma di aiuto o di sostegno (ospedali, consultori, assistenti sociali, centri di aiuto alla vita), durante la gravidanza. Una eventualità, quella dell’abbandono e del rifiuto, che in taluni casi potrebbe essere evitata. «Occorre agevolare e incrementare l’informazione – dichiara il professor Costantino Romagnoli, Presidente SIN – per arrivare direttamente a queste donne in difficoltà attraverso ambulatori, centri di assistenza sociale, consultori e parrocchie». Ancora è necessario rafforzare le politiche per la famiglia e per l’infanzia, favorendo una maggiore integrazione e collaborazione tra attività ospedaliera e territoriale e una migliore presa in carico della madre e del bambino da parte di Consultori e Servizi sociali.  Le madri in difficoltà devono poi essere sensibilizzate sulla possibilità consentita dalla legge di partorire in anonimato e non riconoscere il neonato. «Da anni siamo impegnati con ‘Ninna Ho’ – ha aggiunto Mariavittoria Rava, Presidente della Fondazione Francesca Rava –  nell’informare le donne di questo opportunità o ancora mediante l’installazione di culle termiche salvavita presso un network di ospedali in tutta Italia». Non ultimo il rapporto umano: in particolare l’ascolto inteso come empatia così da creare un clima di fiducia che consenta alle donne di aprirsi e affrontare il disagio legato alla difficoltà della condizione che stanno vivendo. «E’ necessario promuovere un cambiamento culturale, un atteggiamento più accogliente – conclude il professor Romagnoli – e meno giudicante verso la difficoltà materna. Ciò favorirebbe lo sviluppo di contesti in cui la donna sarebbe più libera di esprimersi e di chiedere e ricevere aiuto senza timore».

 di Francesca Morelli