L’unione fa la forza. Anche per combattere lo stigma che avvolge i malati di Alzheimer e le loro famiglie, contribuendo al miglioramento della qualità di vita di chi soffre di questa o di una qualsiasi altra forma di demenza. È un impegno di comunità – che coinvolge istituzioni di ogni ordine e grado, associazioni, cittadini comuni, pazienti, famigliari, volontari – quello richiesto, ed emerso chiaro, dal convegno ‘‘Ricordati di me. Gli ultimi dati della ricerca Scientifica alla luce delle Dementia-Friendly Commnunity”, organizzato a Milano dalla Federazione Alzheimer Italia, in collaborazione con UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica di Inforrmazione) e Fondazione Golgi Cenci, in occasione della XXII Giornata Mondiale Alzheimer del prossimo 21 Settembre. Non si può dimenticare, non si può essere soli nell’affrontare, vivere, gestire, imparare a conoscere ma anche a studiare l’Alzheimer di cui ancora la diagnosi precoce resta un ‘evento’ difficile e la scoperta di terapie efficaci un obiettivo da raggiungere per i quasi 47 milioni di ammalati nel mondo, di cui oltre un milione e 200 mila in Italia, destinati a raddoppiarsi entro il 2050.
E così di ‘comunità’ sono le iniziative promosse per le celebrazioni di quest’anno. ‘Un salto per l’Alzheimer’, una raccolta fondi – un crowdfunding di massa – pensata da Fabio Marelli, speaker di Discoradio, in collaborazione con l’Associazione Alzheimer Milano e l’Accademia Italiana di Paracadutismo di Casale Monferrato, che intende raccogliere entro il 30 settembre 5 mila euro (www.buonacausa.org) da destinare al servizio di Terapia Occupazionale dedicato ai malati di Alzheimer e ai loro familiari, messo in atto dall’Associazione Alzheimer Milano insieme alla Federazione Alzheimer Italia. A obiettivo raggiunto lo speaker si lancerà nel vuoto con il paracadute, in tandem con il suo preparatore, a simboleggiare che nella malattia di Alzheimer occorre affidarsi con totale fiducia alle braccia e alle cure di un’altra persona, familiare o specializzata nell’assistenza.
E, una seconda, di più largo respiro rivolta all’istituzione di città ‘dementia-friendly’, con luoghi solidali e ospitali, in cui anche un malato di Alzheimer possa muoversi con sicurezza e vivere con autonomia le prime fasi delle malattia senza sentirsi ghettizzato e isolato. «Si tratta di una rivoluzione low-cost – dichiara Marco Trabucchi, professore ordinario di Neuropsicofarmacologia dell’Università di Roma Tor Vergata – fatta di piccoli interventi diffusi, da sviluppare a livello locale con l’impulso di amministrazioni e sindaci lungimiranti, lasciando sullo sfondo i piani nazionali», cui affiancare anche maggiore sensibilizzazione del problema Alzheimer e una particolare attenzione alla persona. «Primo passo – continua Trabucchi – è l’educazione nelle scuole, coinvolgendo bambini e ragazzi, perché una adeguata conoscenza della malattia aiuta a ridurre la paura, e quindi lo stigma; in secondo luogo, occorre formare non solo gli operatori sanitari, ma su tutti coloro che lavorano in una città – forze dell’ordine, commercianti, impiegati negli uffici aperti al pubblico – per fare in modo, ad esempio, che il malato che si perde per strada venga riportato a casa o che in una piazza o in un ufficio una persona con demenza venga accolta, ascoltata, trattata con dignità. In questo modo si crea capitale sociale, che diventa anche modello solidale per altre “emergenze vulnerabilità”. Un progetto globale e comunitario dedicato a creare un’atmosfera friendly intorno al malato di Alzheimer, aiutando così anche la famiglia più iperprotettiva o stressata, ad aprirsi e a non vergognarsi del problema che sta vivendo». Un progetto che, secondo lo specialista, va sperimentato dapprima nelle città di medio-piccole dimensioni, con non più di 20-30 mila abitanti, dove è più facile il rapporto diretto tra gli abitanti. «È in questo teatro – conclude il professore – che devono collocarsi le risposte concrete ai malati e alle loro famiglie. Centri diurni, Caffè Alzheimer, meeting point, Rsa aperte, interventi domiciliari per essere davvero efficaci devono essere inseriti nella cultura e in una comunità “amica della demenza”». (Francesca Morelli)