«Fin dall’esordio della malattia, sono sempre stata convinta che avresti vinto questa guerra che ti eri trovata a combattere all’improvviso. La volontà di non soccombere e la caparbietà nel voler vincere il male oscuro ti hanno aiutata. La resilienza è stata la tua salvezza e ti ha dato la capacità di assorbire gli urti senza romperti e di riorganizzare la vita senza alienare la tua identità». Sono alcune frasi della prefazione del libro: “Ora conosco il tuo nome” (Kimerik Edizioni) scritto da Danila Piovano, 56 enne di Racconigi (Cuneo), in cui racconta il suo stato d’animo quando ha scoperto la malattia, un Parkinson giovanile diagnosticato dopo ben 17 anni di tribolazioni. Un’esperienza che ha stravolto la sua vita, ma l’ha resa più forte e coraggiosa nell’affrontare qualsiasi situazione. Come l’emergenza sanitaria di questi mesi che la vedono in prima linea, come dipendente dell’Azienda Sanitaria del suo territorio: una situazione che sta vivendo serenamente, senza ansia e paure, cercando anzi di incoraggiare quanti non riescono ad essere forti come lei, di fronte a questo nemico invisibile che ha sconvolto le nostre esistenze. Anche Danila ha dovuto lottare contro un nemico invisibile, che per 17 anni non ha avuto un nome. E in occasione della Giornata mondiale dedicata al Parkinson (11 aprile) ha voluto raccontare la sua odissea.
«Il mio problema è iniziato in modo subdolo, all’improvviso, al sesto mese della mia seconda gravidanza, quando avevo 32 anni. Una mattina, alzandomi dal letto, non riuscivo più a reggermi sul piede destro. All’inizio ho pensato a un problema legato alla gravidanza, anche perché era accompagnato da nausea, vomito e senso di stordimento, tanto che era stato in seguito diagnosticato come labirintite. Dopo la nascita di mia figlia e la ripresa del lavoro, mi resi conto che erano comparsi anche problemi di rigidità muscolare e non dipendevano solo dalla gravidanza. Il medico di famiglia aveva ipotizzato una depressione post-partum e sono stata curata per diverso tempo con antidepressivi. Poi la situazione muscolare era peggiorata: mi capitava spesso di avvertire tremori in tutto il corpo o di bloccarmi all’improvviso e non riuscire a muovermi. Così decisi di rivolgermi a un reumatologo che ipotizzò una fibromialgia. Per diversi anni ho continuato a prendere farmaci antinfiammatori e antidolorifici. Nel frattempo, la mia vita è precipitata: la malattia di mia mamma che per diverso tempo è stata ricoverata in ospedale. E poi la crisi cardiaca di mio padre, il suo ricovero in ospedale e due anni fa purtroppo il suo decesso. Era l’uomo più importante della mia vita: un faro nella notte che si è spento. Io sempre di corsa, insieme a mio fratello, per assisterli in ospedale e a casa, nonostante la mia progressiva difficoltà a camminare e dolori muscolari sempre più intensi. Finché un giorno, dopo diversi anni in cui soffrivo di questi disturbi, guardando una trasmissione di Mara Venier della domenica pomeriggio, ho sentito la testimonianza di una donna che aveva problemi simili ai miei e che si era rivolta all’Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano. Da lì la decisione di prendere un appuntamento a Milano. Quando sono arrivata per la visita, ho avuto la fortuna di incontrare due persone speciali, che chiamo i miei “angeli”: Paola, la mia neurologa e Barbara, la genetista. Dopo esami e approfondimenti di ogni genere, anche test genetici, nonostante non avessi avuto parenti con problematiche neurologiche, la mia malattia aveva finalmente un nome: Parkinson giovanile di origine genetica. Finalmente avevo individuato il nemico da combattere e l’ho affrontato con tutta la mia volontà e le mie forze. Se il Parkinson mi vuole, mi deve correre dietro, perché io non mi fermo! Con la terapia a base di levodopa, sono riuscita a controllare la malattia e a vivere quasi normalmente. Considerando i tanti anni di convivenza con la malattia, avrei già dovuto essere sulla sedia a rotelle. E invece non mi sono fatta mancare niente, anche le esperienze più estreme come il lancio con il paracadute o la guida di un piper. Mi manca solo un bel viaggetto in aliante, che avrei dovuto fare in primavera ma, a causa del Coronavirus, dovrò rimandare…».
La malattia di Parkinson giovanile, ad insorgenza prima dei 40 anni, interessa il 10% dei pazienti parkinsoniani. Per ogni informazione, ci si può rivolgere all’Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani (www.parkinsongiovani.com).
«I parkinsonismi giovanili sono un gruppo di disordini del movimento, assimilabili per molti aspetti alla malattia di Parkinson tradizionale, ma si distinguono da questa, oltre che per l’età precoce di insorgenza, anche per la sintomatologia e per la frequente associazione con mutazioni di geni specifici, tanto da essere equiparati a una malattia genetica a tutti gli effetti», commenta la dottoressa Barbara Garavaglia, responsabile della Struttura di Genetica per i disturbi del Movimento dell’Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano. «Nella genesi di questa malattia si stanno studiando diversi geni, tra cui il gene parkina, che interviene nel metabolismo di alcuni neurotrasmettitori, come la dopamina, che agisce sul controllo della muscolatura. Questi pazienti “genetici” rispondono meglio degli altri al trattamento con la levodopa, il farmaco di eccellenza per il Parkinson. E assumono questa terapia anche per tanti anni, controllando bene i problemi motori. Un’altra differenza rispetto alla malattia tradizionale sono i sintomi: nella forma giovanile prevalgono discinesie e distonie muscolari, più accentuate nelle giovani donne; quasi mai è presente il tremore. Nonostante la malattia abbia una prevalenza negli uomini (1,5 a 1), la donna paga un prezzo più alto, in quanto vede compromessa la propria attività lavorativa, ma anche il ruolo centrale all’interno della famiglia, l’educazione dei figli, l’organizzazione della casa. Proprio sulle differenze di genere nel Parkinson è in corso uno studio, finanziato da AIFA, a cui partecipa anche l’Istituto Besta per valutare le differenze di genere di una serie di predittori delle fluttuazioni motorie e discinesie: clinici, metabolici, farmaco genetici e genetici. Coinvolge 11 centri italiani e circa duecento pazienti, e servirà anche a indagare sui geni coinvolti in questa malattia, attraverso l’uso di marcatori metabolici. Da questa ricerca si potranno forse trovare nuove strade per la cura del Parkinson giovanile, fino all’ipotesi, seppur remota, di una possibile terapia genica. Ci auguriamo, inoltre, che questa forma di Parkinson venga riconosciuta come “malattia rara” in modo che i pazienti possano avvantaggiarsi di tutte le agevolazioni previste (esenzione per farmaci e test genetici)».
di Paola Trombetta