Melanoma: più del 50% dei pazienti vive grazie a due farmaci immunoterapici 

Nell’ultimo anno i nuovi casi di melanoma, in Italia, sono aumentati del 20%: da 12.300 nel 2019 a quasi 14.900 nel 2020. Nessun’altra neoplasia ha fatto registrare un incremento così elevato in 12 mesi. I motivi? Da un lato la disponibilità di migliori strumenti per la diagnosi e la maggiore partecipazione dei cittadini alle campagne di sensibilizzazione per il controllo dei nei. Dall’altro lato, si osservano le conseguenze negli adulti della scorretta esposizione al sole da adolescenti e dell’utilizzo delle lampade solari, inserite dall’Agenzia Internazionale della Ricerca sul Cancro (IARC) nella categoria di massimo rischio delle sostanze cancerogene, al pari del fumo di sigaretta. Per fortuna in Italia, in dieci anni, le persone vive dopo la diagnosi di melanoma sono aumentate di quasi il 70%.  Questo tumore ha rappresentato il candidato ideale per l’immuno-oncologia, che stimola il sistema immunitario contro il cancro. E oggi la combinazione di due molecole immuno-oncologiche, nivolumab più ipilumumab, conferma risultati importanti nei pazienti con malattia metastatica. L’Istituto Pascale di Napoli è tra i primi centri a livello mondiale nella cura di questa neoplasia, con oltre 4.000 pazienti curati con l’immunoterapia dal 2010. Alle nuove frontiere nella lotta contro il più aggressivo tumore della pelle, è stato dedicato il Convegno internazionale Melanoma Bridge, promosso da Fondazione Melanoma, che si è tenuto dal 3 al 5 dicembre in forma virtuale, con gli interventi dei più importanti esperti mondiali.

«L’immunoterapia rappresenta oggi lo standard di cura in diversi tumori allo stadio metastatico: dal melanoma al tumore del polmone non a piccole cellule, al linfoma di Hodgkin, al carcinoma renale fino a quelli della testa e del collo, al tumore squamoso della cute», spiega il professor Paolo Ascierto, Presidente di Fondazione Melanoma e Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del “Pascale” di Napoli. «Per aumentare il numero di pazienti che traggono benefici dall’immunoterapia, che sono oggi il 30-50% nelle diverse patologie neoplastiche, una delle strategie da seguire è rendere le cellule tumorali più “visibili” al sistema immunitario, grazie agli studi sul microambiente tumorale. Inoltre, si stanno aprendo prospettive interessanti dalle terapie cellulari CAR-T anche nelle neoplasie solide, dopo gli ottimi risultati già ottenuti in alcuni tumori del sangue. L’immuno-oncologia rappresenta lo standard di cura del melanoma non solo in fase metastatica, ma anche nello stadio III e IV, quando la malattia è stata completamente asportata. Trattare i pazienti in questo stadio aumenta la possibilità di evitare una recidiva e, quindi, potenzialmente di guarire la persona. Nivolumab, in particolare, ha dimostrato un beneficio a lungo termine proprio in adiuvante, cioè dopo la chirurgia, con una sopravvivenza libera da recidiva a tre anni del 58% e una riduzione del rischio di recidiva del 32%. Inoltre ci sono evidenze che indicano l’opportunità di anticipare il trattamento con l’immunoterapia prima della chirurgia (neoadiuvante), per poi interromperlo una volta raggiuntata la risposta completa. Oggi la combinazione delle molecole immunoterapiche, nivolumab più ipilumumab, ha evidenziato risultati importanti nella malattia metastatica, con il 52% dei pazienti vivo a 5 anni».
«Nel nostro Paese, il melanoma è il secondo tumore più frequente negli uomini under 50 e il terzo nelle donne in quella fascia d’età», aggiunge Paola Queirolo, Direttore Divisione Melanoma, Sarcoma e Tumori rari all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. «La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è elevata, pari all’87% (89% donne e 85% uomini). E nel nostro Paese vivono quasi 170 mila persone dopo la scoperta della malattia. Questo è determinato dai risultati ottenuti con questa nuova combinazione di farmaci, nivolumab e ipoilimumab, che le linee guida della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) indicano come standard di cura del melanoma in fase avanzata. E sembra agire anche nella riduzione delle metastasi cerebrali, frequenti nel melanoma in stadio avanzato. Per tutti questi vantaggi è auspicabile che questa combinazione terapeutica venga rimborsata dal Sistema Sanitario, come già avviene in altri Paesi Europei».

Paola Trombetta  

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