Al risveglio ha avvertito la pancia vuota e temeva di aver perso il bambino che portava in grembo. Invece Ibrahim era già nato da 20 giorni con taglio cesareo, mentre la mamma Sadaf Arif era intubata a causa del peggioramento delle sue condizioni, dopo aver contratto il Coronavirus insieme a una pericolosa infezione batterica. Una storia a lieto fine che inizia il 22 ottobre quando la donna, 30enne di origini pakistane, da 10 anni in Italia, viene ricoverata all’Ospedale San Gerardo di Monza con polmonite da Covid-19, alla 30a settimana di gestazione. Dopo qualche giorno le sue condizioni peggiorano e viene ricoverata in Terapia Intensiva dove si rende necessaria l’intubazione. Il giorno dopo, il 28 ottobre, viene fatto nascere il bambino con taglio cesareo, a causa di un riassorbimento completo di liquido amniotico. Il bimbo pesa 1,45 chilogrammi e viene accolto nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale. Ora pesa 2 chili e 500 grammi e sta bene. Anche la mamma, che lo ha visto per la prima volta dopo 21 giorni dalla nascita, si è ripresa e per Natale stringerà tra le braccia il suo bambino a casa. Prima di lasciare l’ospedale, Sadaf si è prodigata per ringraziare, con le difficoltà di una lingua che non è la sua, tutto il personale sanitario che in questi mesi l’ha accudita, coccolata e soprattutto le ha salvato la vita e ha fatto nascere il suo bambino! “Grazie dottori, grazie infermiere, Grazie Dio!”.
All’Ospedale San Gerardo di Monza la gioia per questa nascita è stata grande. In tutti i mesi di pandemia, da marzo ad oggi, è stato questo il caso più grave e per fortuna si è concluso a lieto fine. Quante donne positive al Covid-19 hanno partorito in questo ospedale, che è stato uno dei più martoriati in questa seconda ondata della pandemia? E quali problemi hanno dovuto affrontare? Ne abbiamo parlato con la professoressa Patrizia Vergani, Direttore della Scuola di Specializzazione di Ginecologia e Ostetricia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e Responsabile dell’UO di Ostetricia Fondazione MBBM/Ospedale San Gerardo di Monza.
Quante donne hanno partorito con l’infezione da Covid all’Ospedale San Gerardo, dall’inizio della pandemia? Ci sono stati altri casi gravi come quello della signora pakistana?
«In totale abbiamo ricoverato nel reparto Covid della Fondazione MBBM, presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, 135 donne positive al SARS Cov-2. Di queste 40 sono state ricoverate nella prima ondata e 95 nella seconda. Alcune sono state trasferite da altri ospedali perché in Regione Lombardia è stato avviato, dall’inizio della pandemia, un sistema di accentramento dei casi (sistema Hub-Spoke) per garantire la miglior sicurezza per le madri e i bambini. I parti avvenuti da noi sono stati 81 mentre 54 provenivano da altri ospedali. L’80% dei parti sono stati naturali e il 20% sono stati tagli cesarei per indicazioni diverse da Covid-19, ad eccezione della signora pakistana, l’unica ricoverata in condizioni così gravi da essere intubata per grave insufficienza respiratoria».
Quali sono i rischi per la gravida positiva al Covid-19 e per il feto?
«Le donne in gravidanza non sembrano avere maggiori probabilità di contrarre l’infezione rispetto alla popolazione generale, né avere prognosi più gravi. La percentuale di donne, positive al Coronavirus, che hanno partorito nel nostro ospedale è stata del 10%. La maggior parte erano asintomatiche o con sintomi lievi. Il 28% (38 su 135) ha avuto polmonite, ma solo l’8% (11 su 135) ha avuto bisogno di ossigeno. Per fortuna solo tre sono state ricoverate in terapia intensiva e soltanto la signora Pakistana ha avuto una forma grave, a rischio di perdere la vita. Tra le donne sintomatiche prima della 34a settimana, molte avevano comorbilità come diabete, ipertensione, obesità. Nessun bimbo ha avuto conseguenze per la malattia della madre, come sofferenza o alterazione della crescita, ma ci sono stati diversi parti prematuri spontanei (da 34 a 37 settimane) in percentuale leggermente superiore a quello che avviene nelle donne sane».
Sull’argomento gravidanza e Covid sono stati pubblicati studi scientifici?
«Un gran numero di articoli sono stati pubblicati in questi mesi su riviste scientifiche internazionali sia mediche (Lancet, New England Medical Journal, Brithish Medical Journal), che del settore ostetrico-ginecologico (Brithish Journal Obstetrics and Gynecology, American Journal Obstetrics and Gynecology, International Journal Obstetrics and Gynecology). I centri di riferimento delle Regione Lombardia, tra cui noi, hanno organizzato studi prospettici per raccogliere i dati pubblicati. Anche l’Istituto Superiore di Sanità ha promosso uno studio epidemiologico italiano, a cui il nostro ospedale ha partecipato, centralizzando tutte le informazioni delle pazienti positive e anche la raccolta di campioni biologici, per studiare la possibile trasmissione da madre a neonato e le conseguenze della malattia durante la gravidanza e il puerperio».
Quali fattori di rischio sono stati evidenziati?
«I fattori di rischio che sembrano essere associati all’infezione, nelle donne in gravidanza ricoverate in ospedale con Covid-19, riguardano soprattutto le donne africane o afro-americane, asiatiche e le etnie minoritarie; quelle sovrappeso (BMI 25-29 kg / m2) o obese (BMI 30 kg / m2); quelle con co-morbilità pre-gravidica, come diabete preesistente e ipertensione cronica; l’età materna superiore a 35 anni; la condizione socio-economica più svantaggiosa. La mortalità materna non è ancora stata stabilita, anche se sembra un evento eccezionale. In un report recente inglese relativo alla popolazione del Regno Unito sui casi di morte materna (il rischio per i paesi industrializzati è di circa 1:100.000 gravidanze), si sono registrate sette donne morte con Covid-19, ma di queste solo in una la causa della morte era correlata direttamente a questo virus. In Italia finora non ci sono casi segnalati. È rassicurante che, nonostante oltre 31 milioni di infezioni da Covid-19 confermate, non ci sia stato un significativo aumento dell’incidenza di anomalie congenite, né di mortalità neonatale. Non ci sono ancora dati disponibili sufficienti sul rischio di aborto spontaneo. Abbiamo visto però che il Covid-19 materno è associato a un rischio di parto pretermine, circa tre volte superiore rispetto alla popolazione. La maggior parte di queste nascite premature (94%) sono iatrogene, decise cioè dai medici per le gravi condizioni delle madri».
Quanti bambini nascono positivi da mamme infette? C’è il rischio di trasmissione del virus durante il parto vaginale?
«Il rischio di trasmissione verticale del virus in donne con COVID‑19 non è ancora stato chiarito e comunque si tratta di casi molto rari. Si è dimostrata l’assenza del virus a livello delle secrezioni vaginali, per cui il parto vaginale, lo Skin to skin e il clampaggio ritardato sono sicuri.
Il taglio cesareo va riservato alle stesse indicazioni ostetriche delle donne in gravidanza senza il coronavirus».
Quali precauzioni deve avere una donna positiva nei confronti del suo bimbo? È possibile l’allattamento e con quali accorgimenti?
«La donna positiva deve seguire scrupolosamente le indicazioni che vengono date dai sanitari circa le protezioni individuali e i comportamenti. Ciò che previene il contagio nelle donne previene anche il contagio nei feti e neonati. In caso di madre Covid-19, il latte materno, in analogia ad altre note infezioni virali a trasmissione respiratoria, non va inteso come veicolo di trasmissione (WHO 2020). Infatti a tutt’oggi non ci sono studi epidemiologici che documentino l’esistenza di questo rischio. La mamma affetta da Covid-19 deve seguire le norme di prevenzione del contagio. Per proteggere il neonato dalla tosse e dalle secrezioni respiratorie, la madre metterà una mascherina durante le poppate e si laverà spesso le mani. Inoltre, le superfici con cui la mamma viene a contatto devono essere regolarmente pulite e disinfettate».
di Paola Trombetta