Un rush cutaneo, simile a orticaria o dermatite. Un segnale trascurato, apparso sulle braccia in una giovane donna di 25 anni, a fine novembre 2019, è stato scambiato per un sintomo di malattia dermatologica, di origine allergica. Invece era un primo indicatore di Covid-19: lo hanno confermato, di recente, un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano che hanno indagato in modo più accurato quelle strane lesioni apparse, scomparse e poi di nuovo tornate, identificando una nuova, possibile, impronta del coronavirus. Che avrebbe dunque fatto il suo ingresso a Milano ben prima del paziente 1 di Codogno, piccolo Comune nel Lodigiano. Un rush cutaneo che, forse, avrebbe dovuto insospettire in quanto accompagnato da un altro sintomo chiaro del virus, relativo alle vie respiratorie: un leggero mal di gola, non adeguatamente preso in considerazione.
Perdita del gusto e dell’olfatto, disturbi gastro-intestinali come diarrea e vomito, e manifestazioni cutanee: da forme esantematiche, con puntini tipo morbillo, a vescicole e pustole come varicella, a ponfi tipici dell’orticaria localizzati soprattutto sul tronco, a lesioni bluastre che assomigliano a geloni e compaiono prevalentemente su dita di mani e piedi, tanto da esser diagnosticate oggi come “piedi Covid”, tipici nei bambini e adolescenti asintomatici. Ecco l’ultimo segnale della possibile presenza della patologia: un indicatore cutaneo riscontrato in circa il 20% di pazienti positivi. Eppure, dicono gli esperti, il sintomo sulla pelle è guardato con minor attenzione o senza attribuzione di valore-spia. Almeno fino ad ora. «L’indicazione emersa dallo studio internazionale cerca internazionale, condotta da un gruppo di strutture milanesi (Istituto Europeo di Oncologia, Ca’ Granda, Centro Diagnostico Italiano),con l’Ospedale de Mostoles di Madrid e l’Health Investment Banking di Londra, pubblicato sul British Journal of Dermatology – ha dichiarato Ketty Peris, presidente della Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST) e direttrice dell’Unità operativa complessa di Dermatologia del Policlinico Gemelli di Roma – attesterebbe che la pelle può fornire un sospetto diagnostico di Covid, anche quando altri sintomi più facilmente riconducibili al virus sono pochi».
Non tutte le manifestazioni cutanee, naturalmente, possono rappresentare un campanello d’allarme, né una lesione da sola basta a fare una diagnosi di Covid essendo, quelle cutanee, manifestazioni ambigue, riferibili cioè a malattie virali, ma di ben altra natura. Occorre, dunque, un parere esperto: di un dermatologo o di un virologo per una diagnosi differenziale. «Va prestata maggiore attenzione – aggiunge Peris – soprattutto a pazienti allergici, che soffrono di dermatiti o simili, e discriminare se la lesione sia dovuta a un problema dermatologico già in atto o ad altra causa, come Covid appunto. Il quale può essere accompagnato anche da una sintomatologia febbrile e diarroica». Indicatori che vanno tutti discussi con il medico di riferimento, soprattutto se si teme di essere stati in contatto con persone risultate positive al virus o se si appartiene e a una categoria fragile o a rischio: per età (oltre gli 80 anni), sesso (maschile), stato di salute (presenza di malattie respiratorie, croniche, immunodeficienze, neoplasie…), per esposizione professionale (medici, operatori sanitari, farmacisti e così via). Ogni potenziale dubbio, laddove esistente, sarà poi meritevole di un tampone rinofaringeo, che permette l’identificazione dell’Rna virale, e il test sierologico per arrivare a una diagnosi conclamata.
Anche la durata del sintomo conta. Infatti un altro studio americano, del Massachusetts General Hospital di Boston, i cui risultati sono stati presentati al 29° Congresso dell’Accademia Europea di Dermatologia e Venereologia (EADV), confermerebbe che le manifestazioni possono durare nel tempo, fino anche a 150 giorni soprattutto nei cosiddetti “long hauler”. Infatti 990 pazienti di 39 Paesi, quelli arruolati nello studio, dopo aver superato la fase acuta della malattia, portavano ancora sulla pelle “reazioni” postume e resistenti, con un tempo medio di 12 giorni, fino a toccare i 60-150 giorni in alcuni casi, secondo il tipo di manifestazione cutanea, spesso dipendente dalla gravità del virus stesso. Ad esempio geloni o arrossamento e gonfiore dei piedi sono risultati più evidenti in malattia grave, le dita dei “piedi Covid” a malattia relativamente lieve, con una comparsa spesso tra 1 e 4 settimane dopo l’infezione iniziale. I dati, raccolti in un registro internazionale, evidenzierebbero che nel 5% dei casi le eruzioni morbilliformi e orticarioidi potevano durare fino a 28 giorni (con una mediana di 7 e 4 giorni), le papulosquamose fino a 70 giorni (mediana di 20 giorni), geloni e “piedi Covid” anche 60 giorni, fino a toccare in un paio di casi 130 giorni. «I dati – hanno concluso gli autori dello studio – sosterebbero l’ipotesi che Covid-19 può influenzare organi diversi anche in pazienti che hanno superato la fase acuta dell’infezione; la pelle può dunque essere considerata una “finestra” sull’infiammazione e sull’eventuale presenza in altre parti del corpo».
Come trattare le lesioni cutanee quando compaiono? In gran parte dei casi, rassicurano gli esperti, non sono gravi e si risolvono spontaneamente, senza trattamenti specifici. «Laddove necessario – conclude Peris – è possibile ricorrere a cortisonici in crema o per via sistemica, questi ultimi impiegati anche per trattare il virus». Come a dire niente allarmismi, più attenzione, migliore informazione e nessuna trascuratezza: perché ogni indicatore, compreso quello cutaneo, può essere d’ aiuto a una diagnosi più tempestiva di Covid, al migliore tracciamento e contenimento della sua diffusione.
di Francesca Morelli