Ogni mese ritorna, compromettendo talvolta anche la qualità della vita e dell’umore. Il dolore mestruale è spesso considerato “fisiologico”, mentre in alcuni casi potrebbe mascherare un problema più serio: l’endometriosi. Un problema riportato all’attenzione delle donne il 28 marzo, Giornata dell’endometriosi. «Si tratta di una patologia femminile cronica recidivante – spiega Lucia Maragno, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, presso il Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi degli Istituti Clinici Zucchi di Monza, del Gruppo San Donato – caratterizzata dall’anomala presenza di endometrio, il tessuto che riveste le pareti interne dell’utero, all’esterno dell’organo, dunque nell’addome, nelle ovaie: una condizione che è motivo di uno stato di infiammazione perdurante, cronico appunto».
Le cause dell’endometriosi non sono ancora note, ma l’ipotesi più accreditata riguarda la teoria di Sampson (o la teoria delle mestruazioni retrograde), secondo cui alcune cellule, durante le mestruazioni, mutano il loro percorso andando nella direzione opposta. Dunque, stando a questa teoria, le cellule non uscirebbero più attraverso la vagina, ma si orienterebbero invece verso le tube fino a raggiungere l’ovaio, l’addome o altri organi. Molto diffusa, spesso dolorosa, complessa da diagnosticare per la sua sintomatologia aspecifica (crampi e dolori addominali, forti sanguinamenti) e senza una causa ben definita, l’endometriosi colpisce tra il 2 e il 10% delle donne italiane, all’incirca 3 milioni: ne soffrirebbe, infatti, il 5% delle donne in età fertile, con un’incidenza maggiore tra i 25 e i 35 anni, benché la malattia spesso compaia in fasce di età più basse, con tassi che possono arrivare al 25-50% in donne infertili, fino a raggiungere il 60-70% in coloro che hanno dolore pelvico cronico. Convivere con l’endometriosi può essere difficile, sia che si tratti della forma asintomatica (senza dolore né particolari manifestazioni) sia di quella dolorosa, per l’impatto che ha anche sulla quotidianità e la vita intima, di coppia: «Il dolore durante le mestruazioni – aggiunge Manuela Farris, ginecologa – è il sintomo principale, che può essere presente anche dopo o durante i rapporti sessuali, e come tale è meritevole di un’adeguata diagnosi e trattamento. Dunque, in caso di dolore mestruale, ma anche di flusso abbondante, è sempre bene consultare il ginecologo che, se necessario, potrà valutare l’eventuale presenza di endometriosi con un’ecografia e avviare un corretto percorso terapeutico che oggi può avvalersi di diverse soluzioni. Queste possono prevedere farmaci come le pillole contraccettive, il sistema intrauterino al Levonorgestrel (IUS) e progestinici specifici in grado agire sul dolore causato dall’endometriosi. Non esiste una terapia più indicata di un’altra, la scelta dipende anche dalle esigenze e dai progetti di vita della donna. Per esempio, potrebbe essere necessaria una combinazione di diversi trattamenti, con accorgimenti particolari per chi voglia diventare mamma e abbia difficoltà a concepire. La chirurgia, un’altra possibile terapia, va valutata solo in casi selezionati e non prima di avere comunque eseguito una risonanza magnetica. Soffrire di endometriosi impatta sulla qualità della vita: per l’aspetto emotivo è possibile farsi supportare da gruppi di sostegno, enti di beneficenza e forum online per “condividere” il problema evitando che la donna con endometriosi si senta sola a dover affrontare e convivere con questa condizione».
Trattare correttamente l’endometriosi, soprattutto se si manifesta in giovane età, è fondamentale per evitare di compromettere il desiderio di maternità: «In caso la problematica evolva senza essere adeguatamente trattata – chiarisce Maragno – la formazione di aderenze a livello delle ovaie e delle tube può causare infertilità. Per questa ragione, una diagnosi precoce attraverso l’esame obiettivo addominale e pelvico, l’ecografia e la risonanza magnetica (RM) e in caso di dubbi con ulteriori valutazioni e test diagnostici, possono essere determinanti nel preservare la possibilità della donna di concepire e portare a termine la gravidanza, con la nascita di un bambino sano». Anche in caso di endometriosi, la maternità non è comunque preclusa, grazie a nuove opportunità terapeutiche: «Se la diagnosi di endometriosi viene effettuata in giovane età – precisa ancora Maragno – si può ricorrere alla vitrificazione degli ovociti, una tecnica che consente di preservare un determinato numero di ovuli maturi di una donna attraverso il congelamento ultrarapido così da mantenere le cellule inalterate per un periodo di tempo illimitato. Nel caso non si riuscisse ad ottenere una gravidanza spontanea, quando la si desidera, ricorrere alla procreazione assistita impiegando i propri ovociti». Gli studi attuati al riguardo, dimostrano infatti in modo sistematico che il tasso di fecondazione degli ovuli vitrificati è identico a quello degli ovuli appena estratti dal corpo della donna. «Sebbene l’endometriosi sia una condizione di malattia cronica, a lungo termine – conclude Farris – abbiamo trattamenti che possono migliorare la situazione e la qualità della vita di molte donne che sono in grado di gestire i loro sintomi e condurre una vita normale». E anche stringere un piccolo fra le braccia, realizzando il desiderio di maternità.
Conoscere meglio l’endometriosi, diagnosticarla e trattarla adeguatamente sono lo strumento e il mezzo per raggiungere questo obiettivo: per far sì che sempre un maggior numero di donne possano diventare mamme… Ma anche per fare corretta informazione e sensibilizzazione, Sigo (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia), Aogoi (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) e Augui (Associazione Ginecologi Universitari Italiani), in occasione della Giornata dell’Endometriosi, hanno aperto una webmail (endometriosi@sigo.it) in cui le donne possono “discutere” dei propri dubbi, chiedere informazioni sia di tipo diagnostico che terapeutico, anche relativamente al concepimento, ricevendo in breve tempo risposte dai ginecologi delle differenti Associazioni/Società Scientifiche. Possono inoltre imparare ad avvicinarsi e a conoscere meglio la problematica anche grazie a un video, con una testimonial d’eccezione: Nancy Brilli, visibile a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=53vP54VEE1Q. «Il nostro obiettivo, attraverso questo servizio di webmail – commenta Antonio Chiantera, Presidente Sigo – è far comprendere alle donne come la conoscenza della malattia sia il primo passo del percorso di cura e come la prevenzione e una pronta diagnosi possano fare la differenza, evitando che l’endometriosi incida in maniera negativa sulla salute riproduttiva della donna, ovvero programmando con il proprio ginecologo di riferimento la gravidanza, se desiderata». Ma non solo, i ginecologi italiani lanciano un appello alle Istituzioni affinché in tutte le Regioni siano identificati e supportati economicamente centri dedicati all’endometriosi in cui si possano identificare e ricevere il migliore approccio alla malattia: «È fondamentale e indispensabile – conclude Elsa Viora, Presidente Aogoi – che le donne trovino sempre accoglienza e ascolto e sia offerto loro un percorso diagnostico-terapeutico adeguato».
di Francesca Morelli
Vitrificazione: quanti ovociti occorre prelevare?
Uno, dieci, un numero definito o imprecisato? Quanti ovociti è necessario prelevare per garantire una possibile fecondazione e concepimento in caso di problemi di infertilità? Ha risposto la scienza sviluppando, nell’ultimo decennio, nuove tecniche di vitrificazione degli ovociti che hanno permesso lo sviluppo di efficaci programmi di preservazione della fertilità, offrendo sempre maggiori garanzie di una futura gravidanza alle donne la cui riserva ovarica può essere compromessa per diversi motivi, compresa l’endometriosi. Arrivando anche a definire il numero di ovociti necessari, identificato in almeno 20. Lo asserisce anche un recente studio dell’Unità di Crioconservazione di IVI di Roma, condotto su 485 donne con endometriosi, sottoposte a tecniche di preservazione della fertilità in Spagna tra gennaio 2007 e luglio 2018: maggiore è il numero di ovociti vitrificati, più alte sono le possibilità di successo del percorso di fecondazione assistita. In particolare, in donne di età inferiore ai 35 anni, con endometriosi, è stato raggiunto un tasso di successo del 95% nei trattamenti di Procreazione medicalmente assistita (PMA) effettuati a seguito della vitrificazione di circa 20 ovociti; mentre, nelle pazienti di età superiore ai 35 anni, il tasso di successo si è attestato intorno all’80%. «È risaputo – dichiara Ana Cabo, coautrice dello studio – che il numero di ovociti crioconservati e l’età della paziente sono fattori chiave per il successo del percorso di riproduzione assistita». I dati emersi dallo studio erano già noti per altre tecniche di PMA, quali il social freezing e trattamenti di oncofertilità, ma non erano ancora stati verificati in caso di endometriosi, in cui il rischio di esaurimento prematuro della riserva ovarica è maggiore. «Questa ricerca – commenta Daniela Galliano, medico chirurgo specializzato in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Responsabile del Centro PMA di IVI – è nata con l’obiettivo di fornire ai medici specialisti e alle pazienti con endometriosi uno strumento in più per stabilire aspettative realistiche circa le loro possibilità di concepimento, sulla base appunto degli ovociti vitrificati. Infine una raccomandazione: l’endometriosi può risultare fortemente invalidante e può essere causa di infertilità, per cui consiglio alle donne che sospettano di esserne affette di effettuare gli esami necessari per diagnosticarla precocemente, per migliorare al più presto possibile la loro qualità di vita. Soprattutto è bene informare le giovani donne che forti dolori durante il ciclo o durante i rapporti sessuali non sono normali: consultare uno specialista quanto prima è fondamentale per intervenire e limitare l’avanzamento della malattia». F.M.