Il tumore al seno è il più diffuso al mondo, con più di 2 milioni di casi diagnosticati nel 2020. In Italia si registrano circa 55 mila nuovi casi all’anno e la sopravvivenza a 5 anni si attesta all’88%. Garantire a tutte le pazienti le migliori cure possibili, personalizzare le terapie, tenendo conto delle caratteristiche della malattia. Oggi questo si può fare grazie ai test genomici che individuano l’esatta tipologia del tumore e dunque la cura più appropriata, senza dover ricorrere indistintamente alla chemioterapia, risparmiando così alle donne i molti effetti collaterali che questa comporta. È il messaggio emerso al Congresso Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) che si è appena concluso a Roma.
A quasi un anno dall’istituzione del fondo da 20 milioni, i test genomici per il tumore del seno non sono ancora disponibili gratuitamente per tutte le donne. Anche se le Regioni hanno recepito il decreto del Governo, tocca ora rendere disponibile la determinazione del test in ogni ospedale. «Stiamo perdendo tempo prezioso: ogni giorno che passa decine di donne rischiano di non accedere ai test che possono evitare chemioterapie inutili», sottolinea Saverio Cinieri, Presidente eletto AIOM. «Ad alcune pazienti “fortunate” possiamo prescrivere da mesi gratuitamente esami che permettono di non dover assumere farmaci chemioterapici inutili e controproducenti. Altre invece ancora non possono averli, se non a pagamento. Questi test genomici permettono di individuare i casi specifici in cui la chemioterapia è davvero indispensabile, in aggiunta all’ormonoterapia, dopo un primo intervento chirurgico».
«Si calcola che possano essere prescritti a una paziente su cinque», prosegue Giordano Beretta, Presidente Nazionale AIOM. «Sono quindi oltre 10mila le donne che nel nostro Paese ogni anno potrebbero trarre numerosi benefici da esami relativamente poco costosi e facili da effettuare. I farmaci chemioterapici sono molto temuti soprattutto per alcuni effetti collaterali che provocano, come caduta dei capelli e peli, danni a pelle e unghie, anemia, fatigue o alterazione dell’olfatto e del gusto. Non vanno poi sottovalutati i costi indotti dalla somministrazione di queste terapie. L’utilizzo dei test genomici deve essere considerato un investimento che genera risparmi e che soprattutto evita sofferenze alle donne». Attualmente solo in 11 Regioni alcuni ospedali hanno iniziato a ordinare i test, anche in attesa delle gare regionali.
Nuovi farmaci per il tumore HER 2 positivo
La diagnosi mirata del tumore al seno consente l’individuazione di quelle tipologie, definite HER 2 positive, per le quali esistono oggi farmaci innovativi di grande efficacia, che evitano il ricorso alla chemioterapia. Tra queste alcune nuove molecole che hanno cambiato il percorso terapeutico del tumore alla mammella HER2 positivo in stadio precoce e persino nel tumore metastatico. Per lo stadio precoce le molecole sono trastuzumab emtansine (TDM-1) e pertuzumab, entrambi inibitori di HER2: il primo è indicato nelle pazienti con residuo di malattia, dopo terapia neoadiuvante seguita da chirurgia; il secondo nelle pazienti ad alto rischio con coinvolgimento linfonodale che hanno effettuato chirurgia al momento della diagnosi.
«Dopo il trattamento neo-adiuvante, il tumore può regredire completamente oppure può persistere un residuo tumorale. Nelle pazienti in cui persiste un residuo tumorale il rischio di sviluppare metastasi successivamente è più alto rispetto alle pazienti nelle quali il tumore regredisce completamente», spiega Lucia Del Mastro, Professore di Oncologia Università di Genova e coordinatrice della Breast Unit dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova. «In queste pazienti ad alto rischio, al posto della terapia con solo trastuzumab, è oggi possibile somministrare un’altra combinazione: trastuzumab-emtansine (TDM-1), un anticorpo monoclonale coniugato, formulato per portare con sé, direttamente alle cellule tumorali, molecole di un chemioterapico, in grado di ridurre in maniera rilevante il rischio di sviluppare metastasi».
Una rivoluzione riconosciuta anche dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che ha conferito l’innovatività a trastuzumab-emtansine (TDM-1) per la sua efficacia nel prevenire le ricadute nelle pazienti HER2+ ad alto rischio. Lo studio KATHERINE ha coinvolto proprio pazienti a maggiore rischio di ricaduta. I risultati del trial, che ha confrontato la monoterapia a base di trastuzumab emtansine (TDM-1) con quella a base di solo trastuzumab, ha mostrato una riduzione del 50% del rischio di recidiva o di decesso nelle pazienti in trattamento con T-DM1.
Nelle pazienti che non rispondono a questa combinazione terapeutica e sviluppano metastasi, è stata presentata un’ulteriore novità di cura: la combinazione di altre due molecole, trastuzumab-deruxtecan, l’anticorpo monoclonale farmaco-coniugato (ADC) anti-HER2 che ha dimostrato una sopravvivenza libera da progressione addirittura superiore rispetto a trastuzumab-emtansine (T-DM1). Questo nuovo farmaco ADC anti-HER2 è stato attualmente approvato per il trattamento di pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo, non operabile e/o metastatico, precedentemente trattato con trastuzumab e taxano. I risultati positivi dello studio di fase 3 “DESTINY-Breast03” sono stati riproposti all’AIOM, ma già avevano ottenuto consensi in occasione del Presidential Symposium al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica 2021 (#ESMO21), con il riconoscimento da parte della FDA della Breakthrough Therapy Designation che viene dato per accelerare lo sviluppo di farmaci particolarmente promettenti. Lo studio citato ha dimostrato che la combinazione trastuzumab-deruxtecan ha registrato una riduzione del 72% del rischio di progressione della malattia o di morte rispetto alla combinazione trastuzumab-emtansine e ha ottenuto un miglioramento di tre volte e mezzo maggiore, con una progressione di malattia di 25 mesi rispetto a 7 mesi. Un consistente beneficio in termini di riduzione della progressione di malattia è stato osservato nei sottogruppi chiave di pazienti trattate con trastuzumab-deruxtecan, comprese quelle con metastasi cerebrali.
«Le pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2-positivo sottoposte a precedenti terapie, solitamente vanno incontro a una progressione della malattia in meno di un anno, con i trattamenti anti-HER2 attualmente disponibili», aveva spiegato all’ESMO Javier Corté, responsabile dell’International Breast Cancer Center (IBCC) di Barcellona. «Il grande beneficio riscontrato nei sottogruppi di pazienti che hanno ricevuto trastuzumab deruxtecan in DESTINY-Breast03, sono notevoli e confermano la possibilità che questa combinazione di molecole diventi il nuovo standard di cura per le pazienti precedentemente trattate per il carcinoma mammario metastatico HER2-positivo».
«Questo beneficio osservato è di un’entità mai riscontrata prima nel carcinoma mammario. Non solo cambierà lo standard di cura, ma dimostra l’enorme potenziale di questa classe di farmaci a target molecolare, le cui prospettive appaiono brillanti, sia in termini di utilizzo in fase sempre più precoce, sia in termini di sviluppo di nuove molecole all’interno della stessa classe», ha commentato Giampaolo Bianchini, Responsabile del Gruppo Mammella, IRCCS Ospedale S. Raffaele di Milano, il centro che in Italia ha arruolato il maggior numero di pazienti nello studio Destiny Breast-03. «In questo stesso studio, il profilo di sicurezza relativamente agli eventi avversi più comuni con trastuzumab deruxtecan è risultato in linea con gli studi clinici precedenti Gli eventi avversi più comuni sono stati neutropenia (19,1%), trombocitopenia (7,0%), leucopenia (6,6%), nausea (6,6%), anemia (5,8%), fatigue (5,1%), vomito (1,6%), aumento delle ALT (1,6%), inappetenza (1,2%), diarrea (0,4%), alopecia (0,4%). Il 10% delle pazienti ha avuto una malattia polmonare interstiziale di basso grado che si è risolta in breve tempo».
di Paola Trombetta