“Ho sposato la scienza”, ripete più volte la dottoressa Maria Elena Bottazzi nelle sue recenti interviste. E i risultati di questo importante “matrimonio” si sono visti in questi anni che hanno portato la dottoressa a studiare diversi vaccini per guarire malattie infettive di origine tropicale, spesso trascurate dalla medicina ufficiale. Fino alla recente scoperta di un vaccino contro il Covid, Corbevax che, a differenza di quelli finora in commercio, non è sottoposto ad alcun brevetto e costa circa dieci volte meno rispetto alla media dei vaccini utilizzati. È stato realizzato da un’équipe del Texas Children’s Hospital and Baylor College of Medicine di Houston, dove la dottoressa Bottazzi lavora, in collaborazione con un’azienda indiana. Ma il merito della scoperta è soprattutto suo e del dottor Peter Hotez che, proprio per questo, sono stati candidati al Premio Nobel per la Pace 2022. Per questo donnainsalute ha voluto dedicarle un riconoscimento speciale come “scienziata dell’anno”, in occasione della Giornata dedicate alle donne.
«È un privilegio davvero speciale poter aiutare i Paesi più poveri, che non hanno la possibilità di utilizzare un vaccino costoso, come quelli in uso nelle nostre nazioni e, proprio a causa di questi costi eccessivi, non riescono a vaccinare la loro popolazione», ha commentato la dottoressa dopo aver saputo della sua candidatura al Nobel, proposta dalla deputata americana Lizzie Fletcher della zona di Houston. Parliamo ad esempio di Paesi come l’India dove Corbevax ha ricevuto l’autorizzazione all’uso nel dicembre scorso e già sono state ordinate 300 milioni di dosi, i cui costi sarebbero stati impossibili con i vaccini tradizionali. E i paesi poveri sono sempre stati nel cuore della dottoressa che ha vissuto la sua gioventù in Honduras, dove si è trasferita all’età di 11 anni con il padre, diplomatico honduregno e il fratello, in seguito alla separazione dalla mamma che è invece di origini liguri. L’ambiente rurale del Paese d’origine del padre, dove ha vissuto da ragazza e dove ha conseguito la laurea in Microbiologia all’Università autonoma nazionale di Honduras a Tegucigalpa nel 1989, l’ha profondamente sensibilizzata e orientata ad approfondire gli studi su alcune malattie tropicali intestinali, provocate da virus endemici con un alto tasso di mortalità, soprattutto infantile. Ha poi proseguito gli studi, conseguendo un dottorato all’Università della Florida nel 1995 e ha completato il post-dottorato in Biologia cellulare all’Università di Miami (1998) e della Pennsylvania (2001). Oggi è professore di Biologia presso la Baylor University di Waco in Texas e decano associato alla National School of Tropical Medicine presso il Baylor College of Medicine di Houston, dove sta svolgendo la sua ricerca.
«Già da dieci anni stiamo studiando con il nostro gruppo di ricerca i vaccini per i virus di Sars e Mers, fin da quando scoppiarono queste epidemie. Ma quando l’emergenza terminò, tutti si dimenticarono, mentre noi abbiamo continuato su questa strada e abbiamo ora applicato queste ricerche per il vaccino contro Covid-19. La tecnica è sempre la stessa ed è già consolidata da anni per altri vaccini, come quello per l’epatite B e la pertosse. Come tutti gli altri vaccini che abbiamo sviluppato, anche Corbevax si basa sulla tecnica delle proteine ricombinanti e sulle fermentazioni microbiche. Nel caso del Covid-19 abbiamo scelto un lievito. In pratica prendiamo un lievito, lo inseriamo in grandi contenitori e diamo inizio a una fermentazione dalla quale estraiamo alcune proteine che imitano Spike, la stessa che consente al Coronavirus di penetrare nelle cellule umane e di moltiplicarsi facendoci ammalare. Infine prendiamo le molecole ottenute da questo processo di fermentazione e le combiniamo con immunostimolanti e adiuvanti. È un procedimento sperimentato da tanti anni, semplice e poco costoso e dovrebbe rassicurare tutte le persone che ancora non vogliono o non possono sottoporsi ai vaccini, per la loro sicurezza ed efficacia. Poiché si tratta di un procedimento poco costoso, abbiamo preferito puntare su produttori in Paesi poveri, cominciando da quelli indiani. Ora stiamo replicando con il Bangladesh, l’Indonesia e l’Africa. Ma non basta trasferire la tecnologia, occorre che sia economicamente interessante per i Paesi poveri produrre i vaccini, quindi occorre anche incentivarli economicamente».
«Stiamo inoltre osservando che le persone che hanno ricevuto vaccini basati su virus inattivati (come Sinovac o Sinopharm) non sono protette bene contro le varianti del virus», aggiunge la dottoressa. «Per questa ragione è urgente vaccinare le persone laddove i vaccini non sono mai arrivati, ma anche fare booster (ossia rinforzi) nelle regioni dove i vaccini non stanno funzionando adeguatamente. L’aspetto interessante di questo nuovo vaccino è che garantisce un livello di sicurezza alto, quindi la gente l’accetterà forse maggiormente perché basato su tecnologie che già si usano in altri ambiti».
Corbevax infatti ha già superato tre fasi di test clinici che hanno coinvolto più di 3.000 persone e ha dimostrato un’efficacia del 90% contro il ceppo originale di Wuhan e dell’80% contro le varianti Delta e Beta. Per quanto concerne Omicron, questo nuovo vaccino non è molto diverso rispetto agli altri, soprattutto quelli a base di mRNA (Moderna e Pfizer), perché ha registrato un’efficacia alta nella neutralizzazione del virus. Nessun vaccino comunque funziona al 100%, tuttavia produce grandi benefici. Pertanto, se continueremo ad avere zone del mondo non vaccinate, è probabile che sorgano nuove varianti, che poi avranno inevitabilmente un impatto anche sui Paesi ricchi. Ecco perché è importante aiutare i Paesi poveri a produrre e utilizzare i vaccini, anche per evitare la comparsa nel mondo di nuove varianti. Ed è la scommessa che la dottoressa Bottazzi con la sua équipe sta portando avanti con grande determinazione.
di Paola Trombetta