Oggi le diagnosi e le terapie del tumore della mammella sono sempre più precise grazie all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Studi condotti negli Stati Uniti hanno evidenziato che, grazie agli algoritmi su cui si basa l’Intelligenza Artificiale, è possibile ottenere una riduzione del 5,7% dei falsi positivi e del 9,4% di quelli negativi, con un aumento dell’11,5% di sensibilità. I risparmi per il sistema sanitario sono notevoli, perché vengono evitate biopsie nei casi di tumori che si rivelano invece benigni. Alle nuove strategie nella diagnosi e nella cura del cancro della mammella è stata dedicata la settima edizione dell’International Meeting on New Drugs and New Insights in Breast Cancer, che si è tenuta i giorni scorsi a Roma, al Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, con la partecipazione di circa 200 esperti da tutto il mondo. «Oggi in Italia vivono più di 834 mila donne dopo la diagnosi di tumore del seno, con una sopravvivenza a 5 anni che raggiunge l’88%», conferma Francesco Cognetti, Presidente di FOCE (Federazione degli Oncologi, Cardiologi ed Ematologi) e di Fondazione Insieme Contro il Cancro. «Dal 2015 al 2021, è stata stimata una riduzione dei decessi quasi del 7% per la neoplasia più frequente nel nostro Paese (54.976 casi nel 2020). Un risultato molto importante, ottenuto grazie a programmi di screening, che consentono di individuare la malattia in fase iniziale, e a terapie sempre più efficaci. Passi in avanti sono in corso nelle forme tumorali più difficili da trattare come quelle triplo negative, che rappresentano circa il 15% di tutti i tumori della mammella. In questi casi, fino a oggi, la chemioterapia è stata l’unica arma utilizzabile. L’immunoterapia, in associazione alla chemioterapia, ha cambiato il panorama terapeutico in queste pazienti, anche nella malattia locale o localmente avanzata. Anche nelle forme di tumore più complesse, come quelle dove è presente in abbondanza la proteina HER2, assistiamo oggi allo sviluppo di ulteriori armi, soprattutto nelle forme più avanzate e in presenza di metastasi cerebrali, in grado di prolungare la sopravvivenza. Ci sono poi le prospettive di utilizzo di una nuova classe di terapie a bersaglio molecolare, gli inibitori di CDK4/6 dopo la chirurgia, con migliori risultati rispetto alla sola ormonoterapia. Nelle fasi più avanzate di malattia, nelle pazienti già trattate con l’associazione di ormonoterapia tradizionale e anticicline, possono essere utilizzati i nuovi SERD, cioè farmaci selettivi sui recettori per gli estrogeni, con ulteriori possibilità di controllo della malattia. E la chirurgia è sempre meno aggressiva anche in pazienti con metastasi linfonodali. Nella diagnosi e trattamento, l’Intelligenza Artificiale sta aprendo un nuovo mondo, ma servono Linee Guida per rendere operativi in tutto il territorio questi sistemi, che oggi sono una realtà solo in alcuni centri di riferimento come il Policlinico Gemelli».
«Attraverso la radiomica, le immagini ottenute da esami radiologici, come TAC, Risonanza Magnetica o PET, vengono convertite in una mole di dati numerici», afferma Luca Boldrini, oncologo radioterapista e direttore del Dipartimento di ricerca di Radiomica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma. «La loro analisi richiede l’utilizzo di tecniche molto avanzate, che vengono utilizzate anche nella gestione dei big data. Siamo di fronte a un grande patrimonio di dati numerici, che non riuscirebbe a essere elaborato e valorizzato opportunamente con la semplice osservazione visiva da parte dell’essere umano. Si pensi ad esempio che alcuni studi di intelligenza artificiale, applicata alla lettura delle mammografie, hanno dimostrato un aumento della sensibilità media di circa il 10% nella diagnosi di tumori mammari. L’Intelligenza Artificiale può anche rappresentare uno strumento al servizio dell’oncologia di precisione. Le neoplasie della mammella sono infatti caratterizzate da specifiche alterazioni molecolari, bersaglio di terapie mirate, che rappresentano la base del meccanismo decisionale delle terapie. È possibile unire queste informazioni alle migliaia di altri dati clinici disponibili (come età, stadio di malattia o valori ematologici) ed inserirle negli algoritmi su cui si basano i modelli d’Intelligenza Artificiale per individuare, ad esempio, nuovi biomarcatori, oppure realizzare comparazioni tra specifiche variabili e la sopravvivenza delle pazienti, lo stadio di malattia o la risposta alle terapie, creando veri e propri modelli predittivi. L’Intelligenza Artificiale può essere utile anche per definire i tempi di accesso alle cure oncologiche. I nostri ricercatori hanno sviluppato un modello che indica, ad esempio, quanto tempo attende una paziente prima di iniziare la radioterapia dopo l’intervento chirurgico, anche in relazione alla disponibilità della cura presso il luogo di residenza».
Nel trattamento della patologia avanzata i progressi sono notevoli. «Nel nostro Paese vivono più di 37 mila persone con carcinoma mammario metastatico, una cifra in costante aumento grazie ai nuovi trattamenti», aggiunge Giovanni Scambia, Direttore scientifico Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. «Il 30% di queste pazienti vive a 5 anni dalla diagnosi. Nella malattia metastatica diffusa riusciamo a ottenere remissioni prolungate, per cui per molte donne si può parlare di cronicizzazione con una buona qualità di vita. Non è raro trovare pazienti vive anche dopo 10 anni dalla diagnosi. Questi risultati possono essere ancora migliorati, se la valutazione della neoplasia metastatica avviene da parte di gruppi multidisciplinari. Tutte le pazienti devono essere trattate nelle Breast Unit, cioè in Centri di Senologia, dove è più alta l’adesione alle linee guida, migliore l’esperienza degli specialisti e viene garantito un approccio multidisciplinare. A livello europeo, è stabilito che possano definirsi Breast Unit solo le strutture che trattano almeno 150 nuovi casi ogni anno: è dimostrato che, in questi centri, la sopravvivenza è migliore».
«Sono diversi i sottotipi di carcinoma mammario, definiti in relazione alle alterazioni molecolari», spiega Giampaolo Tortora, Ordinario di Oncologia medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore della Unità di Oncologia medica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli. «Questo ci consente di scegliere in maniera selettiva il trattamento in relazione alle caratteristiche di ogni sottogruppo. In alcuni tipi di tumore della mammella, pari a circa il 20% del totale, la proteina HER2 è presente in quantità eccessiva, causando così una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate. Dal punto di vista biologico, è una delle forme più aggressive e, in passato, non essendoci armi disponibili, queste pazienti presentavano la prognosi peggiore. Oggi invece, grazie a terapie mirate che bloccano il recettore HER2, utilizzate sia nelle forme iniziali che in quelle metastatiche, è cambiato il decorso clinico». La terapia adiuvante, cioè successiva alla chirurgia, può essere considerata uno dei maggiori successi in oncologia negli ultimi trent’anni. «Nelle pazienti con malattia iniziale e iperespressione di HER2 – continua il professor Tortora – il trattamento sistemico adiuvante con la chemioterapia, la terapia ormonale e un anno di terapia biologica con un anticorpo anti-HER2 rappresenta oggi lo standard di cura ed è in grado di ridurre il rischio di recidiva e di morte. Una percentuale di pazienti compresa fra il 15 e il 20% continua a recidivare con un picco di incidenza a 18-24 mesi dall’intervento chirurgico, anche se alcune pazienti presentano recidive tardive anche a 10 anni. Nuove possibilità sono oggi disponibili perché studi recenti hanno dimostrato che farmaci innovativi, aggiunti alle terapie standard a quel 15-20% delle pazienti non ancora guarite, sono in grado di ridurre ulteriormente le recidive a distanza a 5 anni».
In fase neoadiuvante, cioè prima della chirurgia, nelle forme HER2 positive sono inoltre disponibili associazioni di diversi farmaci anti-HER2 e ormonoterapia, evitando così il ricorso alla chemioterapia e ottenendo gli stessi risultati in termini di efficacia. «Altri passi avanti sono stati realizzati nella malattia metastatica che esprime i recettori ormonali e HER2 negativa, in pazienti in postmenopausa», spiega Alessandra Fabi, Responsabile della Medicina di Precisione Neoplasia della Mammella al Policlinico Universitario A. Gemelli. «È dimostrato che la combinazione degli inibitori di CDK4/6 con la terapia ormonale è migliore rispetto alla sola terapia ormonale. Grazie a questo regime, metà delle pazienti è vivo a 5 anni: è la più lunga sopravvivenza finora raggiunta nel carcinoma della mammella avanzato e ciò ci consente di parlare di vera e propria cronicizzazione della malattia, ritardando il ricorso alla chemioterapia. Si stima che circa il 40% delle donne sottoposte a una chemioterapia, dopo un tumore della mammella, continui a percepire la fatigue, una sensazione di profonda stanchezza, indipendente dallo sforzo fisico, che impatta in circa una donna su tre, sulla qualità della vita. E i clinici dovrebbero porre più attenzione a questi problemi». La prevenzione resta comunque la prima arma per sconfiggere la malattia.
«Gli screening mammografici e la maggiore sensibilizzazione delle donne all’adesione ai programmi di prevenzione secondaria hanno portato, negli ultimi anni, a un consistente incremento di diagnosi di carcinomi in stadio precoce», afferma Riccardo Masetti, Direttore Chirurgia Senologica Policlinico Universitario Gemelli e Presidente Susan G. Komen Italia. «Vanno recuperati quanto prima i ritardi accumulati durante la pandemia, pari a quasi 5 mesi. Gli esami di screening effettuati tra gennaio 2020 e maggio 2021 si sono ridotti, rispetto al 2019, del 28,5% per il cancro della mammella. E sono oltre 3558 le diagnosi mancate. Se scoperta in fase precoce, questa neoplasia presenta altissime percentuali di guarigione. La chirurgia conservativa ha progressivamente sostituito la mastectomia nel trattamento delle neoplasie in stadio iniziale, perché, associata alla radioterapia, è in grado di garantire alle pazienti le stesse percentuali di sopravvivenza globale e libera da malattia e migliori risultati estetici, oltre all’indubbio vantaggio psicologico collegato alla conservazione della mammella, che si traduce in una migliore qualità di vita».
di Paola Trombetta