Contano anche i fattori socioeconomici se gli adolescenti europei tendono all’(ab)uso dei videogiochi, che gli esperti definiscono “gaming problematico”, trasformandolo in un passatempo così frequente e eccessivamente prolungato, da poter mettere a repentaglio la salute e favorire l’allontanamento dalla scuola e dagli affetti. A questi si sommano aspetti individuali e contesto famigliare/residenziale. Una schiera di ragazzi che arriva a numeri importanti: all’incirca il 20%, solo nella fascia di età tra i 15 e i 16 anni. Lo attesta una ricerca condotta dall’Istituto di Fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc), dal Dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’Università di Padova (Unipd) e dall’australiana Flinders University, nell’ambito dello studio European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs (ESPAD) del 2019, poi pubblicata sulla rivista Addiction, che ha voluto indagare quali aspetti (sociali, relazionali, contestuali) potessero influenzare i comportamenti di “gaming” di 89.000 adolescenti di 30 Paesi europei.
È emerso che in Europa un ragazzo su cinque (20%) è ad alto rischio di “gaming problematico”, con maggiore incidenza per i ragazzi (quasi 31%), all’incirca tre volte superiore rispetto ragazze (9%). Inoltre lo studio fa una classifica dei ragazzi europei più esposti al “gaming” pericoloso: in testa ci sono gli adolescenti rumeni con un rischio di circa il 30%; in coda i ragazzi danesi con un rischio fra i più bassi pari al 12%.
«La percentuale di studenti italiani con un alto rischio di “gaming problematico” è intorno al 24%», spiega Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr-Ifc e coordinatrice dello studio. «Un tasso superiore alla media europea, dove è maggiore il numero di ragazzi (34%) che subisce le conseguenze del gaming rispetto alle ragazze (12.8%)».
Nello sviluppo del fenomeno incidono molto il contesto familiare e le politiche nazionali che possono svolgere un’azione preventiva. Ad esempio, un maggiore sostegno economico può migliorare la qualità della relazione genitori-figli e offrire opportunità per orientare i ragazzi ad attività ricreative alternative, diverse dal “gaming”, per un sano sviluppo della personalità. «La ricerca – aggiunge Alessio Vieno, professore all’Università di Padova – evidenzia che regole genitoriali e supporto emotivo familiare proteggono in adolescenza da un utilizzo eccessivo e distorto dei videogiochi. A riprova di questa considerazione, il fatto che il “gaming problematico” è maggiore negli stati dove sono più marcate le disuguaglianze economiche e minore nei Paesi dove si è investito in politiche di salute pubblica, come i benefici fiscali per le famiglie». In sinergie dunque, famiglia e contesto sociale, possono “salvare” i ragazzi dall’intraprendere “giochi” pericolosi.
Francesca Morelli