«All’inizio ho avuto sintomi simili all’influenza: stanchezza e spossatezza che si sono protratti per un paio di mesi. Poi si è aggiunta un’infezione alle vie urinarie. Ma il copioso sanguinamento alle gengive mi ha indotto a rivolgermi al mio dentista che subito mi ha prescritto un dosaggio della vitamina K. All’epoca, 18 anni fa, avevo 28 anni e vivevo a Pisa dove frequentavo l’Università, dopo essermi diplomata Restauratore di Tele e Tavole all’Accademia di Restauro “Palazzo Spinelli” di Firenze. A Pisa condividevo l’appartamento con tre amiche, una delle quali era specializzanda in Medicina Interna. Appena vide i miei esami, sbiancò! Subito me li fece ripetere perché gli esiti erano talmente anomali che non giustificavano il mio stato di salute pressoché normale. Purtroppo anche l’esame successivo confermò una grave malattia del sangue che venne diagnosticata subito dopo l’immediato ricovero al Centro Ematologico dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa. Si trattava di Leucemia Mieloide Acuta, una patologia per la quale, fino a pochi anni prima, si moriva nel giro di qualche settimana o pochi mesi. Nel mio caso sono riuscita ad affrontare questa “tempesta perfetta” con 36 giorni di ricovero e farmaci mirati, la cui somministrazione proseguì poi con un’infusione una volta al mese e terapie orali per due anni e mezzo. La forza di reagire mi è venuta anche grazie alle persone che mi sono state vicine: le mie amiche coinquiline di Pisa, mio marito, che però lavorava a Parma, la mia famiglia e tutti i miei amici. Ricordo che venivano a trovarmi a turno, quando ero ricoverata in isolamento al Policlinico Universitario di Pisa e li vedevo dalla finestra, mentre parlavo con loro al telefono. E poi, una volta rientrata a Procida dove vive la mia famiglia, ho avuto modo di sperimentare come la medicina del territorio sia efficace, con la certezza che nel mio caso l’aiuto poteva giungere dalle strutture presenti su questa piccola isola. Per questo ritengo fondamentale l’assistenza territoriale e auspico che ci siano anche piccoli presidi ospedalieri di provincia, collegati ai grandi centri di riferimento regionali, a cui si possa accedere per la somministrazione di farmaci, al pari di un intervento a domicilio, reso possibile da associazioni come AIL. La mia esperienza mi ha quindi invogliata a diventare volontaria di un’Associazione come AIL (Associazione Italiana contro Leucemie, linfoma e mieloma). Ho seguito molte ragazze nelle mie stesse condizioni nel Centro Ematologico di Pisa. Nei reparti oncologici c’è “un silenzio che urla”: sta ai volontari saperlo ascoltare. Ho sempre cercato di rincuorare le persone che stavano attraversando la mia stessa “tempesta”. La vicinanza e l’affetto sono fondamentali. Purtroppo non ho potuto avere figli anche perché, oltre alla leucemia, sette anni dopo ho avuto un tumore al seno. Ma cerco di infondere alle giovani pazienti, alcune delle quali potrebbero essere mie figlie, quell’empatia che solo chi è passato dalla stessa malattia è in grado di trasmettere e a me è stata trasmessa fin dal primo momento. E quando la situazione si aggrava, cerco di supportare anche i familiari, immedesimandomi nella loro grande sofferenza. Per questo ritengo che, oltre alle cure sempre più mirate, sia indispensabile un supporto psicologico e la vicinanza di persone care che possono aiutare ad affrontare meglio questa “tempesta”».
La preziosa testimonianza di Emanuela Massa, oggi guarita da una malattia come la Leucemia Mieloide Acuta (LMA), si fa portavoce delle problematiche dei 3500 pazienti che ogni anno in Italia si ammalano di questa patologia che un tempo non dava scampo. Oggi grazie alle terapie mirate, se diagnosticata tempestivamente, guarisce nel 95% dei casi. Per focalizzare l’attenzione sul percorso che devono affrontare il paziente e i caregiver è stata realizzata l’indagine “Leucemia Mieloide Acuta. Un viaggio da fare insieme” promossa da AIL (Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma), realizzata da Doxa Pharma, con il supporto di AbbVie.
Pazienti, caregiver, ematologi e volontari AIL hanno risposto a un questionario online validato da un Board scientifico composto da ematologi di rilievo nazionale, per mettere a fuoco il percorso del paziente e la sua qualità di vita, la gestione della patologia da parte dei clinici, i bisogni e le richieste di tutte le figure coinvolte.
«La diagnosi di una patologia aggressiva come la LMA crea angoscia, preoccupazione e paura nelle persone che ne sono colpite e comporta per la famiglia e il caregiver un impatto molto importante», dichiara Sergio Amadori, Professore Onorario di Ematologia e Consigliere Nazionale AIL. «Oggi lo scenario nazionale della presa in carico è di buona qualità. Il paziente, nel momento in cui comincia ad avere dei sintomi che fanno sospettare una malattia ematologica, viene indirizzato a un Centro di Ematologia che si preoccupa di avviare il percorso diagnostico e terapeutico fino alla possibile guarigione o follow-up. Questo è solo un aspetto della gestione di questi pazienti complessi, in cui il ruolo dei familiari, del caregiver, dei volontari e dei servizi territoriali diventa altrettanto importante. Non sempre, però, le strutture sono perfettamente organizzate per poter seguire l’intero percorso di cura del paziente. E questo è un punto fondamentale, perché la diagnosi deve essere fatta in tempi il più possibile rapidi».
Come inizia il viaggio dei pazienti? Uno su quattro dichiara di non essersi rivolto immediatamente al medico per la difficoltà di cogliere la gravità della situazione, anche a causa di sintomi che sembrano inizialmente sopportabili. Quasi il 60% si rivolge in prima battuta al medico di famiglia, prima di essere indirizzato dall’ematologo. In ogni caso, entro due settimane dalla comparsa dei sintomi, l’80% dei pazienti viene preso in carico. Nella maggioranza dei casi (88%) l’ematologo comunica personalmente al paziente la diagnosi. Fondamentale, fin dalle prime fasi del percorso di cura, il supporto ricevuto da AIL, sia in ospedale che attraverso l’assistenza domiciliare: l’88% degli ematologi ritiene che l’Associazione abbia un ruolo fondamentale nel supportare i pazienti.
«AIL è un’Associazione molto presente sul territorio nazionale grazie alle 82 sezioni, sempre attive anche in piena pandemia, che assicurano il supporto ai pazienti e ai loro famigliari, sia attraverso le attività di assistenza domiciliare, che attraverso le Case alloggio dedicate ai pazienti: dopo le dimissioni dall’ospedale devono infatti essere seguiti per lunghi periodi dal Centro ematologico», afferma Giuseppe Toro, Presidente Nazionale AIL. «I risultati di questa indagine ci confortano nella scelta di collaborare con gli ematologi, con i medici di base e con quanti operano sul territorio. E proseguiremo con le campagne di raccolta fondi per sostenere la ricerca scientifica e garantire ai pazienti terapie sempre più innovative ed efficaci per migliorare la loro qualità di vita».
La Leucemia Mieloide Acuta è una patologia del sangue aggressiva, estremamente eterogenea, caratterizzata dalla proliferazione incontrollata delle cellule staminali emopoietiche del midollo osseo. La LMA colpisce a tutte le età, ma la sua incidenza aumenta progressivamente durante il corso della vita, raggiungendo un picco tra i 60 e gli 80 anni. In Italia ogni anno ci sono circa 50 nuovi casi di LMA per milione di abitanti, per un totale di circa 3500 nuovi casi.
«Sotto il nome di LMA si riconoscono molte malattie che negli anni abbiamo imparato a identificare grazie alla genetica e alla biologia molecolare e per questa ragione i pazienti sono riferiti a Centri che garantiscano un completo inquadramento biologico della loro malattia», spiega Alessandro Rambaldi, Professore di Ematologia, Dipartimento di Oncologia e Ematologia, Università di Milano e Azienda Socio-Sanitaria Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «Non ci si può prendere cura di pazienti ematologici se non si hanno a disposizione i laboratori per caratterizzare queste malattie. Capire quale forma di LMA abbiamo di fronte è fondamentale anche per la scelta del trattamento. A questa prima valutazione di dati clinici ed ematologici deve seguire la valutazione della funzione del midollo osseo, con una diagnosi d’emergenza. Subito dopo, partono una serie di indagini per la caratterizzazione immunologica, citogenetica e molecolare che possono prevedere l’evoluzione, quantificare le cellule leucemiche e scegliere la terapia più adatta».
Nonostante i notevoli progressi degli ultimi anni, i trattamenti disponibili per la cura della LMA sono ancora limitati. Dal punto di vista degli ematologi il principale bisogno (78% delle risposte) è legato proprio alla disponibilità di farmaci innovativi.
«Le terapie introdotte in questi ultimi anni sono farmaci che colpiscono specifici target cellulari e si differenziano dalle chemioterapie utilizzate finora, che continuano a rappresentare la base del trattamento della LMA», puntualizza Alessandro Maria Vannucchi, Professore Ordinario di Ematologia, Direttore dell’Ematologia, Ospedale Careggi e della Scuola di Specializzazione in Ematologia, presso l’Università di Firenze. «Alcuni di questi farmaci possono essere utilizzati in associazione alla terapia convenzionale; altri in particolari gruppi di pazienti, che magari non tollerano la chemioterapia convenzionale; altri ancora per pazienti che non rispondono al primo trattamento o per mantenere una risposta dopo il trapianto di cellule staminali. Questa serie di nuove molecole sta modificando il panorama terapeutico della LMA, assicurando significativi miglioramenti in termini di sopravvivenza o di assenza di recidiva della malattia».
Nella maggioranza dei casi (80%) il paziente con LMA è seguito da un team multidisciplinare: ematologo, infermiere, psicologo e nutrizionista sono le figure più attive su questi pazienti.
«Nei Centri di ematologia italiani, tutti di alto livello, i pazienti vengono ricoverati e subito presi in carico dal team multidisciplinare», sottolinea Fabio Efficace, Responsabile Studi Qualità di Vita, Fondazione GIMEMA. «È decisiva per il paziente la presa in carico della malattia da parte di diversi specialisti, in quanto si tratta di un malato complesso che può presentare complicanze e ha esigenze molto peculiari, a cominciare dalla nutrizione e dal supporto psicologico. Abbiamo dati di letteratura che confermano come il team multidisciplinare abbia ripercussioni positive, addirittura sulla sopravvivenza e sulla migliore qualità di vita del paziente. La comunicazione è anche un aspetto cruciale, così come la rapidità con cui vengono condivisi i dati di laboratorio, le condizioni cliniche del paziente e su come accetta e affronta la malattia».
Allo scopo di favorire un miglioramento della qualità di vita di pazienti e caregiver, la proposta più apprezzata riguarda servizi di assistenza domiciliare che siano in grado di dare continuità alla gestione ospedaliera del paziente, per un percorso di cura strutturato a 360 gradi. A questo va sicuramente affiancato un supporto psicologico che sia in grado di aiutare pazienti e caregiver nella gestione quotidiana della patologia e del suo impatto sulla vita quotidiana.
di Paola Trombetta
Leucemia Linfatica Cronica: oggi è possibile la remissione della malattia
A differenza della Leucemia Mieloide Acuta, la Leucemia Linfatica Cronica (LLC) è una forma a crescita lenta, che presenta un numero eccessivo di linfociti immaturi (un tipo di globuli bianchi), in prevalenza nel sangue e nel midollo osseo. Ogni anno in Italia circa 1200 persone ricevono una diagnosi di LLC, il tipo più comune di tumore ematologico, che colpisce gli uomini il doppio delle donne, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 65 e i 74 anni. Grazie ai progressi della ricerca scientifica è possibile parlare oggi di “remissione della malattia” e i pazienti possono recuperare una buona qualità di vita.
I dati dello studio MURANO, confermati da numerose esperienze cliniche, evidenziano i benefici del trattamento dei pazienti, con Leucemia Linfatica Cronica ricaduti o refrattari, con un farmaco innovativo, venetoclax. Questo trattamento a durata fissa, rispetto ad altre terapie continuative, ha una ridotta incidenza di eventi avversi, compreso il Covid-19: diversi studi dimostrano come la risposta alla vaccinazione sia più alta nei pazienti in remissione di malattia e liberi da terapia.
«I progressi della ricerca scientifica e le innovazioni terapeutiche si traducono in un significativo impatto sulla vita dei pazienti», dichiara Giuseppe Toro, Presidente AIL – Associazione Italiana contro leucemie, linfomi e mieloma. «Una gestione terapeutica efficace favorisce il miglioramento della qualità di vita del paziente con Leucemia Linfatica Cronica. I dati positivi a disposizione confermano il minor rischio di progressione della malattia e fanno sì che i pazienti possano tornare a condurre una vita normale. In questo percorso continua ad essere centrale la relazione medico – paziente, soprattutto nella gestione di una malattia cronica e nella sua evoluzione. I dati a disposizione confermano il minor rischio di progressione della malattia e fanno sì che i pazienti possano tornare a condurre una vita normale, riappropriandosi della propria quotidianità».
«La partecipazione attiva dei medici è fondamentale anche per migliorare il coinvolgimento dei pazienti», sottolinea Marco Vignetti, Presidente della Fondazione GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto). «La pandemia di COVID-19 ha posto sfide senza precedenti nella gestione dei pazienti con tumore e ha aumentato la richiesta di strumenti sanitari digitali che facilitano il monitoraggio da remoto dei pazienti. GIMEMA ha per questo recentemente sviluppato la piattaforma GIMEMA-ALLIANCE per comprendere meglio le esigenze dei pazienti, i sintomi, l’aderenza alle terapie e facilitare la gestione dei pazienti nella pratica clinica». P.T.