Ne soffriva Papa Benedetto XVI e forse è stata addirittura una delle concause delle sue dimissioni, per le conseguenze di una prolungata spossatezza e mancanza di concentrazione durante il giorno. Sì, perché l’insonnia è un disturbo che, pur presentandosi solo di notte, si ripercuote nell’arco delle 24 ore. Un problema silenzioso, spesso considerato un semplice sintomo, nonostante il significativo impatto sulla vita quotidiana, personale, sociale e lavorativa di chi ne soffre e sulla salute a lungo termine cardiometabolica e cognitiva. Per l’insonnia cronica è iniziata una nuova fase che parte dall’assunto che siamo di fronte a una patologia delle 24 ore: non un problema da stigmatizzare, ma una patologia riconosciuta da parte di medici e pazienti che va inquadrata e trattata in maniera appropriata. Finora è mancato un pieno riconoscimento dell’insonnia cronica come patologia e ciò può aver ostacolato le richieste d’aiuto nelle fasi iniziali, generando nel paziente un grande senso di impotenza e una inadeguata gestione della patologia. Le persone che soffrono di insonnia cronica, circa sei milioni in Italia, in prevalenza donne, con frequenza doppia rispetto agli uomini, ricorrono spesso e per lunghi periodi al fai-da-te e vivono in una condizione di sofferenza soggettiva. Oggi, dalla ricerca di Idorsia, azienda impegnata da oltre 20 anni nello studio e sviluppo di molecole per l’insonnia, è arrivata in Italia una nuova proposta terapeutica, che agisce in modo mirato sul sistema dell’orexina, il neurotrasmettitore della veglia, inibendolo in modo fisiologico per le otto ore necessarie al riposo.
«Finalmente l’insonnia viene classificata come un disturbo a sé stante che ha sia una componente notturna, per cui il paziente fatica ad addormentarsi o a mantenere il sonno, sia una componente diurna con specifiche conseguenze durante il giorno come irritabilità, scarsa concentrazione e attenzione, sonnolenza, lacune mnesiche», afferma Liborio Parrino, Direttore della Scuola di Specializzazione in Neurologia e Direttore Centro Medicina del Sonno Università di Parma. «L’insonnia si presenta dunque come una malattia delle 24 ore, una patologia con una sua dignità e non come un sintomo secondario di qualcos’altro. L’insonnia è una malattia complessa, con più di 89 forme differenti».
Un problema sanitario emergente quello dell’insonnia, con marcati picchi in relazione all’età avanzata e al genere femminile. La patologia poi, si distingue in acuta e cronica: la prima ha una durata inferiore a tre mesi e, secondo diversi studi epidemiologici, colpisce fino al 30% della popolazione. La seconda può durare anche tutta la vita, con una forbice di prevalenza tra il 10 e il 15%, vale a dire dai 6 ai 9 milioni di individui che in Italia soffrono di insonnia cronica. Una patologia che comportamenti e abitudini di vita sbagliati possono favorire, come sottolinea Luigi De Gennaro, Professore Ordinario di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica e di Psicofisiologia del Sonno Normale e Patologico, Università Sapienza di Roma. «Le regole del sonno sono una delle strategie per approcciarsi alle insonnie e prevenirne i disturbi. Per prima cosa vanno evitate, prima di mettersi a letto, tutte le sostanze stimolanti (caffè, tè, nicotina, etc.) e l’assunzione di alcol che peggiora le normali funzioni respiratorie durante il sonno. Cercare per quanto possibile di mantenere una certa regolarità negli orari di addormentamento e risvegli. Sconsigliata di sera un’eccessiva assunzione di cibi e di liquidi e assolutamente evitata l’attività fisica nelle ore serali, così come l’uso di dispositivi elettronici, che hanno un doppio effetto negativo: da un lato rimandano l’addormentamento, dall’altro sopprimono la secrezione spontanea della melatonina che è strettamente legata al buio».
L’insonnia presenta un impatto significativamente importante sulla qualità di vita di chi ne soffre, che spesso tende a non cercare aiuto da specialisti o nei Centri di Medicina del Sonno, ma ad affidarsi a trattamenti non specifici o al consiglio di parenti e amici. Ma, come evidenzia Laura Palagini, UO Psichiatria 2 Universitaria, Ambulatorio di medicina del sonno, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana AUOP, capire se si è insonni non è complicato. «L’insonne vorrebbe dormire e soffre perché non ci riesce. Vive una condizione di sofferenza soggettiva, si mette a letto e sente la necessità, la voglia, il bisogno di dormire, ma senza riuscirci perché il corpo è stanco e ha bisogno di recuperare mentre il cervello è attivo, per cui la persona non riesce ad abbandonarsi al sonno. È importantissimo quindi, quando si manifestano le prime avvisaglie di insonnia che perdura nel tempo, non affidarsi alle cure fai da te ma rivolgersi subito a uno specialista del sonno per impedire che la malattia diventi cronica ed evitare l’impatto negativo su mente e corpo».
Sin dalle prime avvisaglie, dunque, è una patologia che andrebbe valutata, inquadrata e trattata secondo le linee guida internazionali. Dopo lunghi anni di sperimentazioni e studi, dalla ricerca Idorsia è arrivata una nuova prospettiva terapeutica per il trattamento specifico dei pazienti adulti affetti da insonnia cronica: daridorexant, il primo farmaco ad arrivare in Italia, appartenente alla classe degli inibitori dell’orexina, neurotrasmettitore fondamentale per mantenere lo stato di veglia.
«Le caratteristiche di questa molecola non sono solo la sua maneggevolezza e la sua sicurezza, come hanno dimostrato gli studi che ne hanno valutato gli effetti collaterali, ma anche l’efficacia: infatti gli studi condotti in doppio cieco verso il placebo hanno dimostrato che funziona sulla qualità e quantità del sonno e rimane efficace anche se assunta per periodi lunghi, senza però dare assuefazione – puntualizza Luigi Ferini Strambi, Professore Ordinario di Neurologia Università Vita-Salute di Milano, Direttore Centro di Medicina del Sonno IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Daridorexant agisce sull’orexina, neurotrasmettitore della veglia, inibendone il funzionamento poiché si lega ai suoi due recettori. Il grosso vantaggio di questo farmaco è la sua emivita ottimale di otto ore: questo vuol dire che impedisce il funzionamento dell’orexina per un periodo di tempo coincidente con il sonno. Al mattino l’orexina ricomincia a funzionare e di conseguenza il farmaco non provoca sedazione dopo il risveglio. Gli studi controllati condotti con daridorexant hanno infatti dimostrato l’assenza di sonnolenza diurna e di problemi cognitivi. Altro vantaggio di daridorexant è che non serve solo a ridurre il tempo di addormentamento, ma facilita anche il mantenimento del sonno. Inoltre, questo farmaco rispetto ad altri composti ipnotici, si è dimostrato sicuro anche nei soggetti che soffrono di apnee notturne, quasi la metà dei quali ha un problema di insonnia con difficoltà di mantenimento del sonno. Ricordiamo che il sonno nutre la salute del corpo e della mente – conclude Ferini Strambi –. Una cattiva qualità del sonno influisce sul nostro organismo e sulla salute del cervello. Il sonno è un potente inibitore del cortisolo che è l’ormone dello stress e agisce anche sull’apparato cardiovascolare. Il sonno inoltre migliora l’attività cerebrale e favorisce l’eliminazione della proteina Beta-amiloide che è coinvolta nella malattia di Alzheimer. Durante la notte viene rilasciata anche la leptina, l’ormone che trattiene l’istinto della fame. Una buona qualità di sonno inoltre migliora il funzionamento del sistema immunitario: per questo si dice che chi dorme bene, si ammala meno».
di Paola Trombetta