Mal di schiena persistente per più di tre mesi, che interessa anche le gambe e arriva fino al ginocchio. E non si placa neppure di notte, a differenza della normale lombosciatalgia. Purtroppo il dolore viene spesso sottovalutato, in particolare dal medico di base che si limita a prescrivere generici antinfiammatori (FANS). Ma se persiste nel tempo, potrebbe anche nascondere una malattia reumatica cronica come la spondilite anchilosante, la cui incidenza in Italia interessa dallo 0,6 all’1,6% della popolazione.
«Ad essere maggiormente penalizzate sono le donne, che soffrono di mal di schiena, spesso sottovalutato dal medico di base che ne attribuisce la causa magari agli eccessivi sforzi domestici e allo stress legato alla gestione contemporanea di lavoro e famiglia», puntualizza Silvia Tonolo, Presidente Anmar (Associazione Nazionale Malati Reumatici). «Anch’io ho passato questo calvario e ho avuto la diagnosi otto anni dopo aver sopportato tanti dolori da non riuscire a volte a tenere in braccio mio figlio quando era piccolo. Dopo anni e ripetute visite da diversi ortopedici, è stato un osteopata che mi ha proposto di fare un test genetico specifico, dal quale è emerso che ero affetta da spondilite anchilosante, una malattia reumatica cronica per la quale, oggi, esistono fortunatamente farmaci specifici, più efficaci dei tradizionali FANS o antinfiammatori generici che di solito il medico di base o l’ortopedico prescrivono. Ma devono essere assunti precocemente per essere efficaci. Purtroppo la spondilite anchilosante non sempre viene riconosciuta subito e colpisce soprattutto i giovani, nel pieno della loro attività lavorativa e sociale. Il problema che si pone è il ritardo diagnostico, e conseguentemente terapeutico, che complica la gestione di una malattia così invalidante. È fondamentale sensibilizzare, non solo i cittadini, ma anche i medici di base che, in presenza di sintomi che continuano per più di tre mesi, dovrebbero inviare il paziente direttamente dallo specialista reumatologo. È importante anche la figura del farmacista che può intercettare i pazienti nelle fasi precoci e consigliare di consultare il reumatologo in caso di mal di schiena che dura da diversi mesi, evitando così un’odissea diagnostica tra vari specialisti prima di arrivare a quello giusto».
Per questo l’associazione ANMAR, in collaborazione con AbbVie, ha promosso la Campagna di sensibilizzazione “Non Voltargli la Schiena”. Sul sito www.nonvoltarglilaschiena.it, si trovano informazioni dettagliate sui differenti tipi e sulle cause del mal di schiena. Chi soffre di mal di schiena per più di 3 mesi è invitato a fare un breve test online di autovalutazione, validato dagli esperti, per verificare i sintomi e approfondire l’argomento parlandone con il proprio medico.
Secondo l’Oms, il mal di schiena è la prima causa di disabilità nei giovani adulti e di assenza dal lavoro. Colpisce 1 italiano su 2 e più dell’80% delle persone ne soffrirà almeno una volta nel corso della vita. In molti casi il dolore è di tipo meccanico, uno strappo o una lesione muscolare, ma per circa 1 persona su 5, soprattutto giovani tra i 20 e i 30 anni, si tratta di un mal di schiena cronico che potrebbe essere la spia di una malattia reumatica come la spondilite anchilosante. Questo test online aiuta a svelarne le cause.
«Il mal di schiena è una patologia molto comune, ma quando il dolore persiste per oltre tre mesi, allora si parla di mal di schiena cronico», puntualizza il professor Francesco Ciccia, Ordinario di Reumatologia presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. «I dolori lombosacrali, tipicamente notturni e presenti a riposo o al risveglio, che si attenuano con il movimento, sono campanelli d’allarme che necessitano di una valutazione specialistica reumatologica. Una diagnosi precoce è infatti fondamentale per un adeguato trattamento che impedisca l’insorgenza di gravi danni articolari ad alto impatto invalidante. Il mal di schiena non è una diagnosi, ma è un sintomo che va prontamente diagnosticato e trattato. Il ritardo diagnostico diventa pericoloso perché, nel tempo, le condizioni che provocano il mal di schiena infiammatorio possono limitare i movimenti e, nei casi più gravi, causare la fusione delle ossa della colonna vertebrale, trasformandosi in una forma di spondiloartrite, come la spondilite anchilosante, una malattia che colpisce in giovane età e determina un progressivo irrigidimento della colonna vertebrale, con forti dolori, mobilità ridotta e danni strutturali a lungo termine. È perciò fondamentale una maggiore informazione tra i giovani per non sottovalutare i sintomi di una possibile malattia reumatica cronica, che potrebbe veramente rovinare la qualità di vita. Uno studio italiano ha addirittura associato il noto “pessimismo cosmico” che ha caratterizzato il pensiero del poeta Giacomo Leopardi a questa malattia, sulla base dei sintomi da lui stesso descritti in alcune lettere, dalle quali si può ipotizzare che soffrisse di una malattia di questo tipo».
La spondilite anchilosante è associata ad una disabilità paragonabile a quella dell’artrite reumatoide e costituisce un onere importante per l’assistenza sanitaria, non solo per l’evidente impatto clinico, epidemiologico e sociale, ma anche per l’elevato carico di malattia legato ai costi, diretti e indiretti, generati dalla gestione della patologia stessa. Si calcola che la persona con spondilite anchilosante necessiti di 2-4 visite specialistiche al mese, con costi diretti per visite ed esami fino a 400 euro al mese per paziente. Inoltre, la perdita di produttività associata alla malattia può arrivare fino a 8 giornate perse al mese, con costi indiretti a carico del paziente che possono superare anche 8 mila euro l’anno. Il risultato è che 1 persona su 3 con spondilite anchilosante è costretta a lasciare il lavoro a causa del suo stato di salute.
«Oggi per fortuna la ricerca ha sviluppato farmaci mirati, come i biologici e, da ultimi, i Jak-inibitori, che bloccano i recettori di molte citochine infiammatorie coinvolte nella malattia», conclude il professor Ciccia. «Con queste nuove possibilità terapeutiche, il 70-90% dei malati non sviluppa disabilità e riesce a controllare bene la sintomatologia dolorosa».
di Paola Trombetta