«La mia storia inizia 11 anni fa, con un Pap-test positivo (Cin 2) che mi ha mandato nel panico più totale. Non sapevo bene cosa fosse e mi sono subito documentata su google, trovando un mondo di notizie a riguardo. Il ginecologo mi disse subito che si trattava di una lesione pre-cancerogena causata da Papilloma virus ed era necessario intervenire chirurgicamente con un intervento di “conizzazione”, ovvero l’asportazione di un piccolo cono di tessuto dal collo dell’utero, per impedire che si trasformi in tumore. Sembrava tutto risolto, ma dopo sei mesi il Pap test era di nuovo positivo. Ho dovuto rifare lo stesso intervento, dopo un anno e mezzo dal primo, ma il Pap test era di nuovo positivo, anche se in forma più lieve. Nel frattempo ho dovuto sottopormi a ripetute isteroscopie e biopsie, per cercare di individuare le aree colpite dal virus e intanto il tessuto della mia cervice uterina diventa sempre più cicatriziale. A 33 anni rimango incinta: ero un po’ preoccupata, non tanto di trasmettere il virus al bambino, perché il mio ceppo virale non era contagioso, ma era di tipo pre-cancerogeno (tipo 16), quanto per il parto che mi avrebbe creato non poche difficoltà. In effetti, poiché il tessuto della cervice uterina era poco elastico per la presenza di diverse cicatrici, dopo ben 26 ore di travaglio, si sono decisi di praticare il cesareo. Devo riconoscere che la gravidanza è andata bene, senza troppe complicanze. E mio figlio Leonardo è nato perfettamente sano e oggi ha sette anni. Purtroppo dopo la gravidanza, il Pap test era di nuovo positivo e, a questo punto, dall’Ospedale di Vigevano dove ero in cura mi consigliano di trasferirmi all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, dove mi hanno sottoposto alla terza e quarta conizzazione. Poiché sono risultata ancora positiva, mi hanno proposto l’intervento di isterectomia radicale. Non ero molto convinta, anche perché avevo 39 anni e non volevo sottopormi a un intervento così demolitivo. Non mi sono data per vinta e ho continuato a cercare e documentarmi, finché ho visto su google un video del professor Vittorio Unfer, della Clinica UniCamillus di Roma, che aveva curato diverse donne positive all’HPV con un prodotto che sembrava funzionare. L’ho contattato subito con una e-mail e nel giro di poche ore mi ha chiamato, chiedendomi di inviare tutti i miei referti clinici. Ero già in lista per l’intervento chirurgico e lui mi propose di rinviarlo di qualche mese e provare questa cura, a base di quattro sostanze naturali con nomi un po’ complicati. Dopo tre mesi di cura, il mio Pap test era finalmente negativo. La cura aveva dunque funzionato, ma purtroppo l’equipe dell’IEO era molto scettica su questa terapia e insistevano per l’intervento. A questo punto sono passata all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano che, invece, mi ha seguito in questo percorso e mi sta seguendo tuttora. Per un anno il mio Pap test è stato negativo. Purtroppo però lo scorso mese si è di nuovo positivizzato, mentre la biopsia è rimasta negativa. Ora sono in una fase di attesa e continuo a prendere due pastiglie al giorno del farmaco che mi è stato prescritto. Spero che questo prodotto che sto assumendo riesca a tenere sotto controllo la carica del virus, presente ancora nel tessuto della cervice, ma in forma lieve, tanto che la biopsia risulta negativa. Per me è importante non aver subito l’intervento di asportazione radicale dell’utero, anche perché non ho sintomi, a parte i problemi causati dalle continue biopsie e i disagi delle frequenti isteroscopie. In più, all’Istituto Nazionale dei Tumori, sembrano essere più conservativi, aperti a nuove terapie, e stanno collaborando con il professor Unfer. Mi hanno anche proposto, nell’eventualità in cui dovessi ritornare positiva alla biopsia, di provare un vaccino terapeutico, che attualmente è in una fase di avanzata sperimentazione. Da questa mia esperienza consiglio caldamente alle donne di fare prevenzione, sottoponendosi annualmente al Pap test, per evitare che l’infezione da HPV avanzi e si renda allora necessaria l’asportazione dell’utero. E mi vengono in mente quelle donne che magari hanno dovuto rinunciare alla gravidanza perché la diagnosi dell’infezione è avvenuta in fase già avanzata. La nascita di mio figlio Leonardo mi ha comunque ripagata da tutte le sofferenze che ho dovuto affrontare per questa “subdola” malattia, che deve essere individuata precocemente e curata nei centri specializzati».
La testimonianza di Georgia, oggi 40enne, è importante per tutte le donne che stanno vivendo la sua stessa esperienza, ma anche per tutte quelle che magari trascurano la prevenzione. Già col suo lavoro di formatrice in ambito estetico, Georgia incontra molte donne e parla apertamente della sua malattia, raccomandando a tutte di fare annualmente il Pap test che, nel suo caso, pur tra mille vicissitudini, le ha comunque permesso di diventare mamma, tenendo sotto controllo un virus che avrebbe potuto diventare cancerogeno. La sua storia ha ispirato il regista Massimo Ivan Falsetta a girare il cortometraggio “Le molecole del destino”, il cui protagonista è lo stesso professor Unfer, presentato in anteprima in occasione del Congresso nazionale SIFIOG, che si è da poco concluso a Napoli.
Con la consulenza dello stesso professor Vittorio Unfer, Specialista in Ostetricia e Ginecologia e Professore Associato presso l’UniCamillus di Roma, tra i promotori del Congresso, cerchiamo di capire cos’è il Papilloma virus e come funzionano queste nuove terapie nell’eradicazione del virus.
Che cos’è il Papilloma virus e quali patologie comporta?
«È la più comune tra le infezioni sessualmente trasmesse e comprende un centinaio di virus, alcuni dei quali possono causare tumori, soprattutto al collo dell’utero, ma anche all’ano e al cavo orale. L’80% della popolazione sessualmente attiva contrae l’infezione da HPV almeno una volta nell’arco della vita, con un picco di prevalenza nelle giovani donne fino a 25 anni d’età. Nel 50% dei casi l’infezione regredisce spontaneamente in un anno e nell’80% circa dei casi in due anni. Queste tempistiche necessarie all’eliminazione del virus dipendono dal fatto che le difese immunitarie non sempre sono in grado di riconoscerlo. La persistenza del virus, per oltre dieci anni, potrebbe provocare lesioni pre-cancerogene, perché penetra nel DNA della cellula e la trasforma. Alcuni ceppi virali (come 16-18) possono dare origine a lesioni maligne ed evolvere in tumori dell’apparato genitale (cervice) o extra genitale (cavo orale, faringe e laringe) e possono coinvolgere anche la zona anale».
Quali sono le strategie preventive contro l’HPV?
«In Italia, la strategia vaccinale prevede la somministrazione gratuita del vaccino per HPV nelle ragazze e nei ragazzi all’età di 11-12 anni, prima dell’inizio dell’attività sessuale, perché costituisce un valido strumento di protezione. Il vaccino più indicato è il nonovalente, che copre per ben nove ceppi virali, tra cui i due particolarmente aggressivi (16 e 18) che possono provocare lesioni cancerogene. La copertura della vaccinazione stimata è di 10 anni con 2 o 3 dosi di richiamo, a seconda dell’età di partenza. Ma è importante far sapere, anche a chi ha età compresa tra i 22 e 26 anni o tra 27 e 45 anni e non è stato ancora vaccinato o non ha completato il ciclo vaccinale, che la vaccinazione è importante, anche se forse un po’ meno efficace nel ridurre il rischio oncologico».
Quali esami individuano la presenza di questo virus?
«Innanzitutto è da raccomandare il Pap test annuale, a cui andrebbe aggiunto, almeno ogni cinque anni l’HPV test, più specifico e in grado di evidenziare la presenza del virus, prima che provochi lesioni. Oltre al tampone a livello della cervice uterina, consiglierei anche quello anale e orale. L’HPV infatti potrebbe comparire anche in queste aree, provocando lesioni cancerogene. Per questo si raccomanda l’esecuzione di questi esami al partner. E ci stiamo impegnando per sensibilizzare anche i dentisti nella ricerca di questo virus, in presenza di lesioni che possono comparire in bocca»
Quali sono i principali approcci terapeutici?
«Tra gli approcci terapeutici possiamo distinguere le terapie chirurgiche, come la conizzazione, e quelle farmacologiche, il cui obiettivo finale è l’eliminazione del tessuto infettato. Nessuna terapia, però, ha dimostrato di essere in grado di eradicare l’HPV. L’infezione da HPV probabilmente persiste durante il corso della vita del paziente in uno stato di latenza nella cute peri lesionale e diventa contagiosa a intermittenza: i condilomi genitali, infatti, danno recidive anche dopo un’appropriata terapia in un’alta percentuale di pazienti».
Esistono nuove terapie per contrastare l’infezione da HPV?
«Parallelamente ai programmi di prevenzione primaria e secondaria, si aprono nuovi scenari terapeutici per contrastare in maniera efficace la persistenza del virus. La ricerca scientifica di recente ha evidenziato come l’azione di quattro sostanze naturali prevenga, non soltanto le lesioni indotte dall’HPV, ma sia anche in grado di contrastarne la persistenza. In particolare, alcuni ricercatori hanno ipotizzato come l’effetto sinergico di Epigallocatechina Gallato, Acido Folico, Vitamina B12 e Acido ialuronico a bassissimo peso molecolare, possa rappresentare un valido aiuto contro la persistenza del virus. In particolare l’azione dell’acido ialuronico crea una specie di pellicola di protezione che impedisce al virus di penetrare nella cellula. Gli altri componenti rallentano la replicazione e diffusione del virus. La sperimentazione di questa combinazione di molecole è ancora agli inizi e sono appena partiti due studi clinici, con una quindicina di pazienti: uno all’Università di Modena, coordinato dal professor Fabio Facchinetti, e l’altro all’Università di Palermo, coordinato dal professor Vito Chiantera. Lo studio durerà circa un anno: è ancora aperto e in fase di reclutamento di pazienti. I primi risultati sembrano comunque essere incoraggianti, anche se dovremo aspettare ancora del tempo per convalidare questi risultati».
di Paola Trombetta