«Ho scoperto di avere una malattia dal suono dolce, ma non per questo meno insidiosa: mieloma. E il mondo mi è letteralmente crollato addosso. All’ultimo concerto sul palco del teatro di Vienna due anni fa non riuscivo neppure ad alzarmi, alla fine del concerto, per un fortissimo dolore alla schiena. Ma non sapevo ancora di essere malato. La diagnosi è venuta poco dopo. Si trattava di un tumore del sangue, Mieloma multiplo, contro il quale sto ancora combattendo. E dopo due anni ritornare a suonare, soprattutto sul palco del Teatro Ariston di Sanremo, è stata un’esperienza tanto emozionante quanto di grande speranza. Che la vita, nonostante questa grave malattia, possa riprendere e continuare come prima. Per questo ho voluto dedicare al pubblico di Sanremo “Tomorrow”, un brano carico si speranza in un domani dove ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello».
“La commovente testimonianza del maestro Giovanni Allevi di aver condiviso la sua esperienza di malattia sul palco del Festival di Sanremo, dove è tornato a suonare in pubblico dopo due anni dalla diagnosi di Mieloma multiplo, ha dato coraggio e speranza alla comunità dei pazienti e la sua testimonianza autentica e potente, piena di grazia e di forza, ha dato voce alle emozioni e ai pensieri dei malati”. È il commento ufficiale diffuso da AIL (Associazione Italiana Leucemie, Linfomi e Mielomi) che da 55 anni supporta i pazienti con attività di informazione e assistenza, accompagnandoli in ogni fase della malattia, dalla diagnosi al percorso di cura, cercando di migliorare la qualità di vita e di sensibilizzare l’opinione pubblica alla lotta contro le malattie del sangue.
«Le parole del maestro Allievi sono arrivate dritte al cuore di tutti, soprattutto di coloro che stanno affrontando un percorso di cura, creando un senso di condivisione profonda e sincera», ha commentato Rosalba Barbieri, vice presidente AIL Nazionale e presidente AIL di Novara, intervenuta alla conferenza stampa dove si è parlato della Campagna: “Dal primo momento: vicini ai pazienti con Linfomi non Hodgkin”, sottolineando, insieme all’efficacia di nuove terapie, come polatuzumab, appena approvato in Italia per il trattamento in prima linea del linfoma a grandi cellule B, la necessità di una figura di supporto come lo psiconcologo, per gestire il carico emotivo che la malattia comporta, non solo nel malato, ma anche nei familiari.
Quanto è importante la figura dello psiconcologo nell’affiancare un malato affetto da malattie oncoematologiche?
«È importantissima la figura dello psicologo “formato” per seguire i pazienti ematologici e oncologici in generale perché sono pazienti che, vivendo delle patologie particolari, hanno bisogno di interventi personalizzati. Sono persone estremamente fragili, che hanno bisogno di essere accompagnati nel percorso, non solo della malattia, ma anche dopo».
Cosa fa in concreto AIL per garantire questa assistenza psicologica?
«L’Associazione AIL a livello nazionale mette a disposizione un Numero verde (800 22 65 24) dove risponde non solo l’ematologo, l’esperto del lavoro, ma anche lo psicologo. A chiamare non sono solo i pazienti che stanno combattendo la patologia, ma anche gli ex-pazienti, che hanno paura di ricadute. Quando una persona è malata, viene seguita e rassicurata dall’ematologo che crea un ambiente protetto. Per qualsiasi problema, si trova sempre una soluzione. Quando invece esci dalla malattia, è come se ti sentissi spaesato. E allora spesso chiamano il numero verde AIL per avere il conforto dello psicologo anche da guariti, perché hanno il timore di riammalarsi».
Anche i familiari chiedono spesso l’assistenza dello psicologo?
«Succede più di quanto si possa immaginare. Mi è capitato proprio ieri: una donna giovane mi ha telefonato, parlandomi della mamma ricoverata d’urgenza per una leucemia fulminante. Mi ha chiamato non tanto per la madre, ma per il suo bisogno di essere seguita ed aiutata ad affrontare questa situazione, per capire come comportarsi, cosa fare. Per non parlare delle ansie delle mamme nei confronti dei figli a cui viene diagnosticata una malattia del sangue. Il familiare deve dare speranza: per questo non può abbattersi, disperarsi. Il paziente ha bisogno di avere una spalla su cui appoggiarsi, che lo rassicuri anche sull’efficacia delle terapie e lo incoraggi per una futura guarigione».
Questa figura professionale segue anche i pazienti nelle sperimentazioni cliniche di nuovi farmaci?
«Lo psiconcologo è presente in reparto e prende in carico tutti i pazienti, anche se alcuni purtroppo rifiutano di farsi seguire. In genere, affiancano il paziente anche durante le sperimentazioni cliniche, perché in questo caso inizia un cammino che non si sa dove vada a finire. A volte purtroppo le sperimentazioni non arrivano a buon fine. Ma c’è sempre la speranza che dà coraggio ai pazienti di poter sperimentare una nuova cura che guarisca la malattia».
Lo psiconcologo è presente in tutte le realtà ospedaliere?
«Purtroppo non ancora: nell’ambito ematologico ne sono presenti circa una sessantina in tutt’Italia. Noi a Novara abbiamo da anni incluso questa figura professionale nello stesso team con gli ematologi e gli infermieri, che prendono in carico il paziente e i familiari fin dal primo accesso in ospedale. La mia esperienza di malattia grave che ha colpito più di 20 anni fa mio marito, mi ha confermato l’importanza dello psiconcologo. Per questo mi auguro che sempre più reparti di oncologia abbiano a disposizione queste figure professionali fondamentali, anche per ottimizzare la gestione della malattia, con una migliore prospettiva della qualità di vita e perché no, anche di una futura guarigione dalla malattia stessa».
di Paola Trombetta