Emicrania, il “percorso donna” di Onda e Anircef

Diffusa, frequente, invalidante, incisiva, invasiva e pervasiva. Aggettivi che ben descrivono il quadro sintomatologico e le implicazioni di una “compagna” che si presenta, spesso all’improvviso, nella quotidianità: l’emicrania. Terza problematica più rappresentata a livello mondiale, secondo l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) e seconda più disabilitante per il genere umano, ne soffre il 14% della popolazione globale. Ma a farne le spese maggiori sono le donne: in termini di frequenza, tre volte superiore rispetto all’uomo, di intensità con attacchi molto più severi e invalidanti e di durata, del maggior numero complessivo di comorbilità con implicazioni negative più pesanti sulla qualità della vita familiare, lavorativa e socio-relazionale. Spesso poi nella donna l’emicrania è “puntuale”, presentandosi cioè in specifici appuntamenti o subendo variazioni nell’andamento che coincidono con le fluttuazioni ormonali.

Parlare di emicrania alla conclusione della Settimana Mondiale del Cervello, ha il suo perché: molti i traguardi raggiunti in conoscenza e cura, con nuove terapie dai minori effetti collaterali, ma c’è ancora molto da fare, soprattutto nel percorso di gestione della patologia nelle varie fasi della femminilità. Nasce così il progetto “Percorso emicrania donna: organizzazione dell’assistenza integrata”, frutto del lavoro di Fondazione Onda e Anircef (Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee), che ha l’obiettivo di garantire una più tempestiva, appropriata ed efficace presa in carico multidisciplinare della patologia attraverso la collaborazione di tutti gli specialisti coinvolti nel percorso di cura. Mancano infatti sul territorio i riferimenti medici, centri specialistici e percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali omogenei che il progetto intende attuare, “razionalizzandolo” in maniera specifica e differenziata in relazione ai diversi cicli vitali della donna, partendo dalla pre-adolescenza fino alla menopausa. Modelli che tengono conto anche di aspetti bio-psico-sociali, cioè di tutte le varabili ambientali che possono impattare o condizionare lo sviluppo dell’emicrania. E, non ultimo, il progetto sottolinea la necessità di continuare a fare ricerca, perché l’emicrania non è mai uguale a sé stessa a partire dall’insorgenza e dalle manifestazioni.

Compare generalmente dopo la prima mestruazione, raggiungendo il massimo della sua prevalenza nella quarta e quinta decade di vita, con sintomi che tendono a migliorare in particolari stati, come in gravidanza, soprattutto nel corso del secondo e terzo trimestre, per poi riaffiorare dopo il parto e l’allattamento. E in menopausa? La scomparsa dell’emicrania non è la regola: in un terzo delle donne persiste e in un altro terzo può addirittura peggiorare. «In funzione di tutti questi aspetti – dichiara Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda – è necessaria una presa in carico personalizzata dell’emicrania, ovvero una nuova organizzazione dell’assistenza alla donna con patologia, fino ad arrivare ad un nuovo modello di gestione. Le criticità di approccio all’emicrania emergono sin dall’infanzia dove, sebbene esistano linee guida nazionali e internazionali per la diagnosi e il trattamento delle cefalee in età pediatrica, il passaggio tra la prepubertà e la post-pubertà non viene adeguatamente attenzionato. In queste fasi viene spesso sottovalutata l’importanza dell’analisi dei fattori socio-ambientali e situazionali che rappresentano una fonte di stress e favoriscono l’insorgenza dell’emicrania, come anche l’intervento farmacologico va riservato solo ai casi in cui terapie socio-comportamentali non abbiano prodotto miglioramenti».

E poi quali altre indicazioni? Il consulto di un neurologo o di uno specialista delle cefalee è sempre auspicabile, se non addirittura necessario, in molte fasi della vita femminile, già a partire dal periodo mestruale, che in alcune donne può accompagnarsi con episodi di emicrania connotati da sintomi di elevata intensità e prolungati, che potrebbero richiedere la valutazione di prescrizione di farmaci specifici e di una adeguata profilassi perimestruale. Il consulto del neurologo o dello specialista diventano perciò fondamentali, soprattutto in vista dell’assunzione della contraccezione che presenta delle criticità: per esempio, l’emicrania con aura è una controindicazione assoluta all’uso di contraccettivi orali estro-progestinici a causa dell’aumentato rischio di eventi ischemici, richiedendo il trattamento con contraccettivi a base di soli progestinici. Anche gravidanza e menopausa richiedono un occhio di riguardo: nel primo caso per la definizione di terapie che siano sicure per la futura mamma e per il feto; nel secondo per valutare la prescrizione della Terapia ormonale sostitutiva (Tos). La quale può presentare dei pro e dei contro: il diritto della medaglia è associato a un rischio ischemico inferiore della Tos rispetto ai contraccettivi a base di estrogeni, consentendo quindi il suo ricorso in donne con emicrania ad aura sporadica, ma il rovescio è che i sintomi emicranici potrebbero peggiorare con l’assunzione della Tos in questo caso la terapia va immediatamente sospesa. E se si sta seguendo un percorso di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita)? La gestione dell’emicrania resta ancora una “zona d’ombra”, con un approccio non del tutto definito a causa soprattutto della mancanza di dati in letteratura che stabiliscano una sorta di “linea guida”: vero è infatti che molte donne abbandonano il progetto di genitorialità dopo il primo tentativo, poiché la stimolazione ormonale utilizzata per il prelievo degli ovociti, spesso si associa all’aumento degli attacchi e dell’ingravescenza dei sintomi. Quindi l’emicrania è un fattore da non trascurare in caso di tecniche di riproduzione assistita, prendendo in considerazione eventuali protocolli più leggeri. Anche le donne che stanno seguendo una terapia ormonale contro il tumore del seno potrebbero subire un peggioramento delle manifestazioni dell’emicrania; da qui la necessità di un’alleanza fra oncologo e ginecologi e il pool di tutti gli esperti coinvolti. «ANIRCEF si impegna fortemente perché tutte le persone che soffrono di cefalea in Italia – conclude la Professoressa Cinzia Finocchi, Presidente Anircef – trovino una risposta adeguata al loro problema di salute e perché la ricerca scientifica risolva le incertezze e i bisogni non ancora corrisposti».

di Francesca Morelli

È ancora uno stigma

L’emicrania è più stigmatizzata della demenza, della malattia di Parkinson e dell’ictus. Lo ha attestato un’indagine condotta dalla European Migraine & Headache Alliance (EMHA) e da Alleanza Cefalalgici, su oltre 4.000 persone con e senza patologia in tutta Europa, che mette in evidenza la differente percezione di questa condizione fra le due classi di popolazione. Chi è “libero” dall’emicrania la considera nel 26% dei casi, come un forte mal di testa e chi la sperimenta si sente nel 93% dei casi, invece, incompreso. Con successive reazioni a catena: il 35% ammette di ritardare o evitare di rivolgersi a un medico a causa dell’imbarazzo e del timore di essere giudicati, mentre il 74% ritiene che i medici non prendano sul serio la loro condizione. Ancora, per gran parte degli intervistati l’emicrania ha influenzato o condiziona quotidianità e scelte di vita: il 62% ritiene che la patologia sia un elemento che ha influito sulla valutazione delle proprie capacità professionali da parte del datore del lavoro, e l’80% dei lavoratori non full-time riferisce l’impatto negativo sulla possibilità di carriera a tal punto che il 43% non ha dichiarato di essere emicranico, nonostante si riconoscano le difficoltà nel portare a termine i compiti lavorativi. Da ciò anche le importanti implicazioni psico-emotive: secondo l’indagine, lo stigma dell’emicrania fa sentire le persone affette da questa patologia arrabbiate, sole e tristi. «È fondamentale – dichiara Alessandra Sorrentino, rappresentante di Alleanza Cefalalgici presso l’EHMA – iniziare ad affrontare lo stigma in modo che la persona con emicrania non si senta più invisibile, che venga presa sul serio e non si senta un peso». Ciò a partire dalla ridefinizione del linguaggio con cui si parla di emicrania, dove termini come “invalidante”, “episodico”, “cronico” e “refrattario” rappresentano il primo stigma. EMHA sta infatti pensando a un uso più appropriato del linguaggio per facilitare la migliore comprensione tra famiglie, colleghi, operatori sanitari e autorità, ovvero un nuovo sistema di categorizzazione per comunicare la gravità dell’emicrania, segnando un passo significativo verso l’eliminazione dello stigma e la promozione dell’inclusione delle persone colpite.    F.M.

 

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