“Atleti con la A”: è il primo percorso di avvicinamento all’atletica leggera per giovani con emofilia a partire dai 12 anni di età, che prevede 3 tappe itineranti in giro per l’Italia (Milano, Bologna, Firenze). Il progetto di Sobi Italia, con il patrocinio di FedEmo (Federazione delle Associazioni Emofilici), del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) e della FIDAL (Federazione Italiana di Atletica Leggera), ha lo scopo di educare e informare sulla pratica dell’attività fisica e sportiva per persone con emofilia e di approcciare il tema con maggior consapevolezza, grazie anche al prezioso contributo di clinici, specialisti e istruttori che parteciperanno all’iniziativa. Per l’occasione una madrina d’eccezione: due volte Medaglia d’argento alle Olimpiadi ed ex lunghista, Fiona May. Per tutte le informazioni sul progetto è possibile consultare il sito www.atleticonlaa.it.
L’idea del progetto nasce dall’ascolto di chi convive con l’emofilia e da una serie di considerazioni di quanto oggi sia cambiata la qualità di vita di queste persone alle quali, fino a qualche decennio fa, era preclusa addirittura ogni pratica sportiva. Vivere con l’emofilia in modo più libero e sereno significa anche poter scegliere quale sport si vuole praticare, in particolar modo per i giovani che spesso sono spaesati rispetto alla propria condizione, con il risultato di rinunciare all’attività sportiva. Al fine di poter decidere con maggiore consapevolezza e sicurezza, è importante seguire alcuni accorgimenti, primo tra tutti quello di valutare, insieme all’ematologo, quali siano le proprie capacità e la condizione fisica. Prima di scegliere uno sport, infatti, bisognerebbe pensare a quali effetti potrebbe avere sul proprio corpo, quanto contatto ci sarà con altri eventuali giocatori e soprattutto quali muscoli e quali articolazioni andrà a coinvolgere.
Con la consulenza della dottoressa Chiara Biasoli, responsabile del Centro Emofilia della Romagna presso l’Azienda Romagna a Cesena e membro AICE (Associazione Italiana Centri Emofilia), cerchiamo di approfondire queste tematiche.
Innanzitutto cos’è l’emofilia e qual è il ruolo delle donne nella gestione di questa malattia che colpisce soprattutto i maschi.
«L’emofilia è una malattia rara di origine genetica che ostacola la coagulazione del sangue. Ne esistono principalmente due forme, l’emofilia A e la B: la prima è dovuta alla carenza di Fattore VIII, la seconda alla carenza di Fattore FIX, che favoriscono la coagulazione. È una patologia che ha un grande impatto sulla vita del paziente e dei suoi familiari perché la carenza dei fattori della coagulazione provoca emorragie che possono essere anche gravi e si verificano più frequentemente a livello articolare e muscolare. Colpisce prevalentemente i maschi perché è legata al cromosoma X: avendo due X la donna è portatrice di questa mutazione che trasmette ai figli maschi. Alcune donne possono avere però livelli di fattore della coagulazione relativamente bassi e presentare i segni di una emofilia lieve, o più raramente, moderata o grave. Solo negli ultimi anni si è sviluppata un’attenzione anche nei confronti della donna, che prima è sempre stata considerata solo la “mamma” del giovane emofilico. Non dimentichiamoci che la mamma vive spesso un senso di colpa per aver trasmesso il gene alterato che provoca la malattia. E questo si esprime spesso con un eccessivo senso di protezione, sentendosi quasi in obbligo di dover portare questo grosso fardello».
Le scoperte di nuove terapie rendono sempre più curabile questa malattia e soprattutto permettono ai giovani di condurre una vita quasi normale, senza le proibizioni del passato, come ad esempio la pratica di uno sport, i cui rischi di possibili contusioni potrebbero causare emorragie…
«Oggi esistono terapie sempre più personalizzate: non curiamo la malattia in generale, ma quello specifico paziente, perché ognuno ha caratteristiche diverse, vive la malattia in modo differente, rispetto alla famiglia dove cresce, soprattutto se la mamma non è particolarmente iperprotettiva e asseconda le tendenze del figlio, interessato magari a praticare uno sport. In Emilia Romagna abbiamo avuto un’idea, circa vent’anni fa, di organizzare una settimana di vacanza solo con i ragazzi emofilici, senza genitori. Sono generalmente ragazzini, dai 10 ai 13 anni, che magari per la prima volta escono di casa e per la mamma è un momento importante, anche di crescita e di fiducia, attenuando quello stato di ansia che spesso l’accompagna e impedisce ai figli di condurre una vita normale».
Oggi questo è possibile soprattutto grazie alle nuove terapie che controllano meglio la malattia…
«Nella mia carriera di medico sono contenta di essere arrivata a vedere questi progressi nelle cure. E pensare che quando ho iniziato ad occuparmi di emofilia c’erano solo i primi fattori di origine plasmatica che purtroppo hanno creato non pochi problemi di tipo infettivologico. Poi sono arrivati i farmaci ricombinanti, paragonabili a una terapia sostitutiva classica. Adesso invece il grande progresso è rappresentato da terapie con proteine modificate, che allungano i tempi di emivita dei fattori della coagulazione e altre che utilizzano meccanismi emostatici diversi e possono essere somministrate per via sottocutanea. In alcuni casi selezionati può venire utilizzata addirittura la terapia genica, con sostituzione del gene mutato che provoca l’emofilia. Da pochi mesi anche in Italia è possibile trattare qualche paziente con questa terapia. Di contro, con i recenti fenomeni migratori di giovani che provengono da Paesi dove i nuovi farmaci non sono ancora entrati nella pratica clinica, stiamo ritornando a vedere quella che era la vecchia emofilia degli anni ’60-’70. Ragazzini di 12/13 anni con anchilosi evidenti che non si vedono più nemmeno nei nostri 90enni».
Qual è il rischio più grosso negli emofilici, soprattutto se praticano sport?
«Il problema più grosso dell’emofilia, soprattutto in chi pratica sport, è il danno articolare, dovuto al micro e macro-sanguinamento. Grazie alle terapie innovative e alle scoperte di come fare attività fisica, si riesce comunque a trovare un giusto equilibrio affinché quell’articolazione rimanga sana. E gli atleti emofilici sono molto più seguiti rispetto agli altri sportivi. I centri di Emofilia sparsi in Italia hanno un approccio multidisciplinare, fatto insieme al fisiatra, al fisioterapista, all’ortopedico, al medico dello sport, affinché il paziente riceva un trattamento a 360° non solo post, ma preventivo, per dare un’impostazione e una salute articolare ottimale. I nostri ragazzi oggi hanno la possibilità di fare un trattamento profilattico, prima che il sanguinamento avvenga, e questo li rende praticamente normali, consentendo loro di praticare qualsiasi tipo di attività sportiva».
di Paola Trombetta