«L’esordio di questa malattia, chiamata sindrome di Lennox-Gastaut, che rientra nelle Encefalopatie Epilettiche, è stato un fulmine a ciel sereno ed è comparsa quando mia figlia aveva 4 anni, con una grave crisi epilettica. Nei sei mesi successivi, ha avuto un progressivo declino neurologico e perdita di autonomia, tanto da regredire, come comportamenti, a quando aveva un anno, con blocco della muscolatura e regressione cognitiva. All’epoca, prima di avere la diagnosi esatta e poter utilizzare le terapie allora disponibili, ha provato persino ad avere anche 40 crisi epilettiche in un solo giorno, con una qualità di vita per lei e per noi genitori impossibile da gestire. Basti pensare che, per evitare cadute durante le crisi, abbiamo dovuto imbottire tutta la casa, in particolare le zone spigolose, per evitare che si potesse fare male. Purtroppo molti genitori sono costretti ad abbandonare il lavoro per poter accudire i figli perché richiedono un’assistenza continua. Oltre alle attenzioni nell’ambiente domestico, occorre far seguire questi ragazzi nei centri specializzati per le cure, dove sono affidati a specialisti neurologi, fisioterapisti, logopedisti. Il problema si pone quando diventano adulti, perché dopo i 18 anni non possono più essere in carico a queste strutture di Neuropsichiatria infantile e per essere inseriti in strutture protette, ci vogliono magari anni di attesa, in cui l’assistenza è totalmente a carico dei familiari».
Con questa testimonianza Katia Santoro, presidente dell’Associazione Famiglie LGS Italia, ha sintetizzato le molteplici difficoltà delle famiglie di questi pazienti, la cui prospettiva di vita può durare anche per lungo tempo. Il paziente più longevo ha 65 anni. Con l’arrivo di nuove cure, la sopravvivenza è destinata ad aumentare. E le speranze che questi pazienti possano controllare per lo meno i sintomi sta a cuore a tutti i genitori e gli specialisti che li seguono.
Per capire meglio cos’è questa malattia rara, quali i sintomi e le nuove prospettive di cura, abbiamo intervistato la dottoressa Antonella Coppola, dirigente medico del Centro Epilessia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, intervenuta a una conferenza a Milano, in cui è stata annunciata la rimborsabilità in Italia di un farmaco (fenfluramina), già utilizzata per il trattamento delle crisi epilettiche della sindrome di Dravet, anche per la Lennox-Gastaut.
Di che malattia si tratta, quali le cause e i sintomi?
«È una rara forma di encefalopatia epilettica e dello sviluppo (1-2% dei casi di epilessia infantile), caratterizzata da crisi epilettiche di vario tipo, resistenti ai farmaci e da disordini del neurosviluppo, tra cui disabilità cognitive, disturbi motori, comportamentali, relazionali e psichiatrici complessi, molto difficili da gestire nella vita quotidiana. Solitamente si manifesta tra i 3 e 8 anni. Le cause possono essere diverse e al momento non esiste una causa comune. Soltanto nel 10% si riscontra un’anomalia genetica. Altre cause possono essere le malformazioni cerebrali, l’encefalopatia ipossico-ischemica (dalla nascita), infezioni come ad esempio la meningoencefalite o gravi traumi cranici».
Si sopravvive a lungo con questa malattia? A quale età ci sono le maggiori criticità?
«È una malattia che non compromette significativamente la sopravvivenza e il paziente più longevo ha 65 anni. Il periodo più critico per pazienti e genitori è quello di passaggio tra l’età pediatrica e quella adulta, in cui si deve lasciare il neuropsichiatra infantile e passare ad altre figure professionali. Durante l’età pediatrica, infatti, il bambino viene seguito in modo globale, con un approccio a 360°. Il neuropsichiatra infantile si occupa non solo delle crisi, ma anche dello sviluppo psicomotorio, delle abilità cognitive, degli aspetti riabilitativi, dei disturbi comportamentali e del sonno, tipici della malattia. Quando si passa all’età adulta, questo approccio integrato non è più possibile: non esiste infatti una figura equivalente al pediatra o al neuropsichiatra infantile per l’adulto. Il paziente passa alla cura del neurologo, che si occupa quasi esclusivamente del controllo delle crisi epilettiche, mentre le altre problematiche vengono spesso trascurate. In questa fase diventa allora necessario il coinvolgimento di altre figure professionali: il fisiatra per i problemi di deambulazione e postura, soprattutto lo psichiatra per i disturbi comportamentali che spesso rappresentano la problematica predominante in età adulta. Purtroppo il Sistema Sanitario non ha ancora previsto una rete strutturata per prendere in carico in maniera completa questi pazienti che vengono spesso gestiti grazie alle capacità dal singolo neurologo di stabilire una rete professionale con i vari specialisti».
A questo proposito è stata approvata dall’AIFA la rimborsabilità di un nuovo farmaco (fenfluramina) che dovrebbe rappresentare un’ulteriore opzione terapeutica. Come agisce e quali i vantaggi per i pazienti?
«La fenfluramina in realtà è un farmaco che già veniva utilizzato con altre indicazioni, in particolare per la depressione, grazie al suo meccanismo che agisce prevalentemente sul sistema serotoninergico. Ha un meccanismo d’azione diverso rispetto agli altri farmaci che usiamo attualmente. La fenfluramina ha oggi un’indicazione specifica per il trattamento delle crisi epilettiche nella sindrome di Dravet, per la quale aveva ottenuto la rimborsabilità, ora estesa anche a quella di Lennox-Gastaut. Gli studi registrativi hanno dimostrato che questo farmaco riduce la frequenza delle crisi epilettiche di questa sindrome in modo significativo. Ha anche dimostrato di avere un beneficio sulle funzioni cognitive, comportamentali ed esecutive. Il fine ultimo è avere un miglioramento della qualità di vita e della gestione terapeutica dei pazienti».
Si prevede un uso cronico di questa terapia?
«La sindrome di Lennox-Gastaut provoca crisi epilettiche che persistono in età adulta e questo comporta l’uso di farmaci per tutta la vita. Anche questo farmaco avrà dunque un utilizzo cronico. Tra l’altro è generalmente ben tollerato e facilmente gestibile perché richiede l’assunzione di sole due somministrazioni di sciroppo al giorno».
Cosa rappresenta questo nuovo trattamento per i pazienti e in particolare per i caregiver, soprattutto le mamme che si occupano, alcune a tempo pieno, dei figli con questa malattia?
«Rappresenta sicuramente una speranza perché l’etichetta di avere una situazione di farmaco-resistenza fa molto male alla famiglia, perché è come dire di non poter più curare sintomi, come le crisi epilettiche, che hanno un impatto pesante sulla vita di questi pazienti. Sapere che c’è un’arma in più come questo farmaco che ha dato buoni risultati non solo sulle crisi, ma anche sulle problematiche di tipo comportamentale, anche in età adulta, è fondamentale e dà un sollievo a queste famiglie perché l’etichetta di “non speranza” diventa “speranza” e quindi affrontano una quotidianità con maggiore serenità».
Paola Trombetta