Depressione: uscire dal “labirinto” è possibile

Il ritorno alla normalità, dopo un periodo di feste, può essere causa di depressione o indurre una riacutizzazione dei sintomi in chi già sperimenta questa condizione che si stima accompagni la vita di un milione di persone, secondo i dati dell’Oms, trasformando profondamente la loro quotidianità, così come quella di familiari, care-giver, amici.

Le conoscenze sulla patologia, le opportunità diagnostico-terapeutiche sono sensibilmente aumentare grazie alla ricerca, eppure nonostante questo, più di un paziente su due (58%) crede che la depressione sia difficile da diagnosticare e 1 su 3 che dalla depressione non si riesca ad uscire. Solo il 35% dei pazienti consiglierebbe a una persona con il sospetto di soffrire di una forma di depressione di rivolgersi subito a uno psichiatra, a fronte di una medesima percentuale che ritiene che occorra una terapia farmacologica per risolvere il problema. In termini di aiuto, più della metà dei pazienti stima che i caregiver siano indispensabili per la gestione della routine quotidiana della depressione e quasi il 40% li considera essenziali per individuare il percorso terapeutico più adatto. Sono alcuni dati di un’indagine condotta da SWG su un campione rappresentativo di popolazione composta da pazienti con depressione maggiore e caregiver, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione “Out of the Maze – Oltre il labirinto della depressione”, promossa da Johnson & Johnson, con il patrocinio di Fondazione Progetto Itaca ETS e di Cittadinanzattiva APS, che mira a diffondere un messaggio chiaro: con una diagnosi tempestiva e trattamenti adeguati, è possibile trovare una via d’uscita alla depressione maggiore, paragonata a un labirinto. Il percorso è fatto di strade senza uscita e vicoli ciechi, che possono generare frustrazione e mancanza di speranza, ma con il giusto supporto, compreso quello dei caregiver, coinvolti nel percorso di cura dei pazienti, il “filo di Arianna”, metafora che indica la necessità di trovare strumenti e occasioni per risolvere una situazione particolarmente complicata, porta all’uscita. Fondamentale in questo percorso è il riconoscimento dei sintomi e quindi l’avvio precoce a un adeguato trattamento: aspetti sui quali occorre fare ancora chiarezza. Ad oggi, infatti, il 65% dei pazienti italiani – secondo l’indagine – preferisce vedere se i sintomi depressivi si risolvono spontaneamente, considerandoli potenzialmente transitori, prima di rivolgersi a un esperto, mentre solo il 56% opterebbe per intraprendere subito una terapia. Tra coloro che decidono di intervenire in caso di sospetto di depressione, lo psichiatra (57%) è la terza figura di riferimento consultata, preceduto dal medico di medicina generale (75%) e dallo psicologo (62%) e quasi la metà si affiderebbe ad una struttura specializzata. Per quanto riguarda la terapia farmacologica, solo 3 pazienti su 10 ritengono che non se ne possa fare a meno.

«Questi dati dimostrano come, ancora oggi, la depressione sia una patologia spesso sottovalutata, percepita a torto come una fase passeggera che non richiede un trattamento tempestivo», dichiara Andrea Fiorillo, Professore Ordinario di Psichiatria presso l’Università della Campania “L. Vanvitelli” e Presidente della European Psychiatric Association (Società Europea di Psichiatria). «Pertanto è necessario aumentare la consapevolezza riguardo alla serietà della depressione e al valore di una diagnosi precoce, attraverso un sistema di assistenza capillare e integrato, che informi sulla patologia e sui percorsi di cura. Con il giusto approccio terapeutico e il corretto supporto specialistico la depressione può essere superata con efficacia». Grazie a soluzioni in grado di migliorare notevolmente la qualità della vita dei pazienti e dei caregiver, figure chiave nel percorso di cura della persona con depressione, permettendo a molti di intraprendere una via di uscita dalla malattia. Più dell’80% dei caregiver aiuta infatti i pazienti nel richiedere aiuto, il 70% li assiste nella ricerca di uno specialista, il 67% si impegna attivamente nel reperire informazioni sulle opzioni terapeutiche disponibili. In funzione di questo ruolo “coinvolgente”, secondo i dati, oltre il 60% dei caregiver sente il bisogno di un supporto psicologico per sé stesso, ma solo il 33% lo ha effettivamente ricevuto, mentre il 79% desidera avere più informazioni sui percorsi terapeutici disponibili, il 77% conoscere meglio le diverse forme di malattia e il 73% saperne di più su sintomi e possibili ricadute. Inoltre, il 70% ritiene importante poter condividere esperienze con altri nella stessa situazione. «È fondamentale che anche coloro che si prendono cura dei pazienti – sottolinea Felicia Giagnotti – Presidente Fondazione Progetto Itaca ETS – ricevano il giusto sostegno nell’affrontare il loro impegno quotidiano, sia in termini di formazione che di servizi, in quanto il loro ruolo è cruciale nel garantire un processo di cura efficace e completo».

 «Come associazione, siamo consapevoli della difficoltà per i pazienti e i loro familiari a chiedere aiutoconclude Daniela Mondatore, Direttrice della Scuola Civica di Alta Formazione, Cittadinanzattiva. Attraverso iniziative di sensibilizzazione e supporto, lavoriamo per costruire una società più inclusiva e consapevole, dove la salute mentale non sia più un tabù. È importante garantire equità nell’accesso ai percorsi di cura, poiché la depressione è una malattia a tutti gli effetti e merita di essere trattata con la stessa attenzione e rispetto di qualsiasi altra condizione medica clinicamente rilevante. L’impegno delle istituzioni è cruciale per promuovere l’accesso universale a trattamenti adeguati, senza barriere o discriminazioni».

 

di Francesca Morelli

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