Negli ultimi 15 anni è diminuita del 16% la mortalità per tumore al seno tra le pazienti più giovani. Un risultato che apre una serie di problematiche da gestire, tra cui la preservazione della fertilità. Un ambito quest’ultimo dove gli specialisti italiani, e in particolar modo l’ospedale San Martino di Genova, sono stati pionieri sul versante della ricerca. Lo dimostrano i numerosi studi scientifici, presentanti nei più importanti congressi nazionali e internazionali. È quanto emerso nel capoluogo ligure in occasione del meeting “Back From San Antonio”, in questi giorni a Genova, dedicato alle principali novità emerse dal “San Antonio Breast Cancer Symposium”.
«Ogni anno nel nostro Paese più di 15 mila donne perdono la vita a causa del tumore mammario», sottolinea Lucia Del Mastro, Professore Ordinario e Direttore della Clinica di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova. «Tuttavia il calo dei decessi, tra le pazienti più giovani, è un dato incoraggiante, dovuto soprattutto a un netto miglioramento delle possibilità terapeutiche. Quando colpisce una donna giovane, al di sotto dei 40 anni, il tumore è biologicamente più aggressivo. Inoltre il rischio che si tratti di una neoplasia ereditaria, legata alla presenza di mutazioni patogenetiche BRCA, è più elevato rispetto ai casi in età più avanzata.
Il percorso di cura, oltre a garantire le ottime probabilità di guarigione attualmente raggiunte, deve prevedere che le donne giovani possano avere, una volta superata la malattia, le stesse aspettative delle donne che non si sono ammalate. Tra queste riveste particolare importanza l’eventuale desiderio di gravidanza futura. Da anni qui a Genova stiamo studiando gli effetti collaterali legati alle terapie antitumorali e che possono portare a disfunzione ovarica, menopausa precoce e infertilità. Grazie a trattamenti adeguati e personalizzati, messi a punto anche attraverso gli studi condotti dal nostro gruppo di ricerca del San Martino-Università di Genova, è oggi possibile diventare madre anche dopo il cancro».
Al convegno di Genova sono stati illustrati i principali risultati di quattro studi che i ricercatori italiani hanno presentato nelle scorse settimane al San Antonio Breast Cancer Symposium. Matteo Lambertini, Professore Associato di Oncologia Medica presso l’Università di Genova-IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, ha parlato di una nuova ricerca sul ruolo della chirurgia preventiva per la riduzione del rischio di recidiva tra le portatrici di mutazioni BRCA. Sono stati analizzati i dati raccolti tra il 2000 e il 2020 di 5.290 pazienti under 40 con tumore del seno trattate in 109 istituti di tutto il mondo. Quelle che hanno subito una mastectomia bilaterale avevano un rischio di morte inferiore del 35% e una riduzione del 42% di recidiva del cancro o di un secondo tumore maligno. «Lo studio evidenzia nuovamente l’importanza della chirurgia di riduzione del rischio>, afferma il professor Lambertini. «È una scelta difficile, spesso dolorosa per una donna, ma che può essere salvavita in determinate occasioni. I benefici della chirurgia sono stati osservati sia nelle donne BRCA1 sia in quelle BRCA2 mutate».
Valentina Guarneri, Professore Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università di Padova e Direttore dell’UOC di Oncologia 2 dell’IOV IRCCS di Padova, ha portato negli Stati Uniti una ricerca sul carcinoma mammario triplo negativo. È stato valutato l’immunoterapico avelumab per pazienti ad alto rischio di recidiva. «È un tipo di cancro al seno molto invasivo perché tende a crescere e diffondersi più velocemente», aggiunge Guarneri. «Al momento vi sono poche opzioni di trattamento disponibili e tra queste vi è l’immunoterapia attualmente indicata come trattamento neoadiuvante. Il nostro studio ha dimostrato che l’anticorpo anti-PD-L1 avelumab, somministrato dopo il trattamento chemioterapico standard, migliora significativamente la sopravvivenza globale. Rispetto ad altre neoplasie, l’immunoterapia è arrivata relativamente tardi nella pratica clinica del carcinoma mammario. Sta però producendo evidenze scientifiche rilevanti in un sottogruppo di malattia in cui le prognosi sono di solito più gravi».
Luca Malorni, Direttore dell’Unità di Ricerca Traslazionale dell’Ospedale di Prato, a San Antonio ha presentato i primi risultati del TOUCH trial. In 145 donne con carcinoma mammario in fase iniziale HR+/HER2+ trattate con trastuzumab e pertuzumab sono stati confrontati paclitaxel e palbociclib, quest’ultimo in combinazione con letrozolo. «Sono tumori mammari in cui dobbiamo implementare le possibilità di cura», sostiene il dottor Malorni. «Nello specifico bisogna ridurre il ricorso alla chemioterapia, favorendo le terapie ormonali anche attraverso una più precisa selezione delle pazienti. Nello studio abbiamo per ora registrato un’ottima compliance al trattamento da parte delle donne che hanno ricevuto palbociclib e letrozolo al posto della chemioterapia. Servono ora studi più ampi, per valutare l’effettiva efficacia di palbociclib nella gestione di questo tipo di neoplasia».
Infine le pazienti over 70 a basso rischio con tumore mammario in stadio iniziale sono state al centro dello studio EUROPA presentato da Icro Meattini, Responsabile Breast Unit dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze. «Abbiamo confrontato gli effetti della radioterapia e della terapia endocrina, dopo un primo intervento chirurgico», sottolinea il professor Meattini. «Abbiamo inoltre reclutato 731 donne in cura presso 17 centri italiani, più uno sloveno. Il trattamento ormonale è risultato associato ad una maggiore riduzione della qualità di vita rispetto a 24 mesi di sola radioterapia. Sono risultati provvisori e che suggeriscono come quest’ultima sia preferibile come terapia per pazienti anziane e quindi più suscettibili agli effetti collaterali delle cure anti-cancro».
«Gli studi dei colleghi italiani dimostrano l’ottimo livello raggiunto dalla ricerca oncologica italiana che ha contribuito nel corso degli anni a stabilire nuovi standard di trattamento adottati in tutto il mondo», ha concluso la professoressa Del Mastro. «Per il futuro ci aspettiamo importanti novità non solo in termini di disponibilità di nuove terapie, sempre più efficaci e personalizzate, ma anche di nuovi strumenti diagnostici. In particolare la biopsia liquida, che stiamo già utilizzando nella malattia metastatica per scoprire mutazioni utili per la scelta terapeutica, potrebbe avere un ruolo importante per individuare precocemente le recidive ed intervenire tempestivamente col trattamento. I dati presentati a San Antonio dal Professor Turner, così come i dati precedentemente presentati al congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) a Chicago, suggeriscono che attraverso la biopsia liquida, è possibile individuare una quota di pazienti che, dopo l’intervento chirurgico, presenta in circolo del DNA rilasciato dal tumore, e quindi indicativo della presenza di micrometastasi non individuabili con le normali tecniche strumentali di radiologia. Sono in corso vari studi per valutare se attraverso l’utilizzo di questi test è possibile migliorare la gestione terapeutica delle pazienti e migliorarne anche la prognosi».
Infine, sempre all’evento di Genova, anche in questa edizione, sono stati assegnati due premi a giovani oncologi under 40, prime firme di lavori scientifici sul carcinoma mammario pubblicati nel 2024. Davide Soldato, rientrato a Genova dopo un periodo di lavoro presso il Gustave Roussy di Parigi, per il lavoro che dimostra l’importanza dell’attività fisica nelle donne operate per carcinoma mammario e Linda Cucciniello, del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, per il lavoro relativo alla possibilità di prevedere la risposta completa al trattamento nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2 positivo.
di Paola Trombetta