“Slow violence”: non sempre riconosciuta, ma presente nella comunicazione scientifica

La slow violence potrebbe essere tradotta in italiano come “violenza inconsapevole, ma in un’epoca in cui si parla di comunicazione non violenta quanti la conoscono? Ecco qualche esempio. La parola Salute può richiamare alla mente “lotta, guerra, male oscuro, brutto male, lottatore, lunga battaglia, male incurabile, lotta al cancro”. Il termine Ambiente: “salviamo il pianeta, la terra ha la febbre, crisi, negazionista, colpa, piccole azioni, bomba d’acqua”. Ricerca scientifica: “per la prima volta uno studio dimostra, ora la scienza lo conferma, è scientificamente provato, nuova cura disponibile in Italia, in arrivo il primo trattamento per la lotta ai big killer”. Sono alcune parole di “slow violence, scaturite dal progetto indipendente di Medicina narrativa, condotto da Silvia Pogliaghi ed Elena Trentin, giornaliste scientifiche freelance. Intitolato Scienza, Media e la grammatica della Slow Violence: riflessioni sulle forme di sensazionalismo nella comunicazione, svolto nell’ambito del XV Master in Medicina Narrativa Applicata di Istud Sanità e Salute. Il progetto ha evidenziato che la slow violence è un’espressione sconosciuta alla grande maggioranza dei giornalisti e comunicatori scientifici, i quali tuttavia non si sono sottratti dal cercare di decifrarla, riportandola entro i confini del proprio lavoro. Così facendo, hanno contribuito a disegnare un quadro delle sue declinazioni, del suo impatto sulle persone e delle prospettive per il futuro. Tra queste la richiesta di saperne di più sulla violenza inconsapevole attraverso una formazione specifica. <Abbiamo voluto dedicarci a questa tematica ispirate dal libro di Maria Giulia Marini, Non-violent Communication and Narrative Medicine for Promoting Sustainable Health, (Ed. Springer Nature, 2024), in cui la slow violence viene esaminata sotto il profilo della comunicazione sanitaria>, spiega Silvia Pogliaghi. <Con il nostro progetto abbiamo pensato di fare un passo oltre, per capire se e come la slow violence possa contribuire a creare sensazionalismo nella comunicazione scientifica, esplorandone la percezione in un piccolo campione di professionisti, senza la pretesa di proporre delle tesi o di giungere a conclusioni rappresentative di una certa tendenza>.

Allo studio hanno aderito 20 giornalisti e comunicatori della scienza che, nell’arco di un mese, si sono narrati in forma anonima e volontaria. L’invito prevedeva la risposta a 29 domande elaborate secondo la metodologia della medicina narrativa. Ha risposto una netta prevalenza di donne (solo tre gli uomini) del Nord Italia, in un’età compresa fra i 31 e i 50 anni, con un’esperienza ventennale nel settore, per lo più freelance e con collaborazioni sia nel giornalismo che nella comunicazione (editoria, aziende sanitarie, agenzie di comunicazione). Quasi la metà degli intervistati tratta temi di salute (medicina, benessere, sanità), a cui fanno seguito quelli di carattere ambientale e scientifici. La violenza inconsapevole sarebbe percepita anche in certe immagini diffuse dai media, che riguardano soprattutto la salute. In questo caso, c’è il rischio di una possibile strumentalizzazione. Di qui il prevalere, in prima istanza, di emozioni a valenza negativa (angoscia, apprensione, irritazione) riportate da giornalisti e comunicatori alla visione di quattro foto.  <Il nostro progetto mostra quanto la slow violence, nonostante corra sottotraccia, rappresenti un problema che i colleghi riconoscono. Gli esempi riportati aprono a varie direzioni, poiché si spazia dall’uso delle parole scritte alle dinamiche di lavoro. Questo ci aiuta a caratterizzare meglio la slow violence e la grammatica con cui si manifesta. Il prossimo passo sarà quello di dare seguito alla richiesta di formazione arrivata in massa dai colleghi, aprendo questa opportunità anche ai portatori di interesse>, conclude Elena Trentin. <La metà degli intervistati individua la slow violence anche nei rapporti e nelle dinamiche di lavoro, chiamando in causa fenomeni come la discriminazione di genere, specie verso le donne, gli interessi economici e i giochi di potere, la scarsa etica e deontologia, i tempi di lavoro frenetici e gli spazi di scrittura contenuti. È tuttavia forte il richiamo a un impegno più concreto e responsabile per rendere la comunicazione più rispettosa e sostenibile, e scongiurare prassi e comportamenti che generano slow violence>.

Paola Trombetta

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