Le donne verso un cuore più consapevole

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di mortalità nel mondo. Solo nel 2020 hanno determinato quasi il 50% dei decessi a livello globale: nelle donne la mortalità è più tardiva, circa di un decennio, rispetto agli uomini, soprattutto dopo i 60 anni. Di recente queste patologie stanno interessando fasce d’età più giovane e tra le cause si registra una sintomatologia più sfumata, atipica, differente rispetto agli uomini e questo comporta diagnosi spesso ritardate. Le donne a volte trascurano questi sintomi su sé stesse, mentre sono più attente a quelli dei partner.

Per fare chiarezza sulle malattie cardiache nelle donne, abbiamo intervistato la dottoressa Adele Lillo, referente nazionale del Gruppo di Studio sulle Malattie Cardiovascolari di Genere di ARCA (Associazione Regionale Cardiologi Ambulatoriali – www.arcacardio.eu), la terza Società scientifica, accanto alla SIC (Società Italiana di Cardiologia) e l’ANCO (Associazione Nazionale Cardiologi Ospedalieri). È cardiologa dell’ASL di Bari, presso il Distretto 10 dell’Ospedale Fallacara di Triggiano (Bari), dove ha fondato un ambulatorio cardiologico dedicato alle donne per la prevenzione e la cura, in cui viene offerto anche un percorso multidisciplinare che prevede, oltre al cardiologo, la presenza di un diabetologo, endocrinologo, fisiatra, e anche dello psicologo, per una completa presa in carico della donna. L’abbiamo intervistata in occasione dell’evento: “Le donne verso un cuore consapevole”,  che si è svolto presso la Sala conferenze “Unione Femminile Nazionale”, in corso di Porta Nuova 32, a Milano, per festeggiare la Giornata Internazionale della Donna. Oltre a cardiologi, ricercatori, psicologi, anche i pazienti erano presenti con le loro testimonianze di malattia vissuta, di cui hanno parlato in una tavola rotonda con la partecipazione dell’Associazione per la lotta all’ictus cerebrale (A.L.I.Ce Italia ODV), del Coordinamento Nazionale Associazioni del Cuore (Conacuore ODV) e della Fondazione Italiana per il Cuore (FIPC)

Alla dottoressa Lillo chiediamo come mai il rischio cardiovascolare nelle donne è sottostimato e scarsa è anche la consapevolezza su queste patologie?
«Non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, la consapevolezza delle donne di andare incontro a un rischio cardiovascolare è sottostimato, e questo fa parte di un retaggio culturale. Le donne si occupano principalmente dei mariti, dei figli e dei familiari. Anche nella nostra esperienza, abbiamo visto che le donne italiane, di qualsiasi livello di istruzione, erano a conoscenza dei fattori di rischio cardiovascolare tradizionali, come ipertensione arteriosa, diabete, fumo, ipercolesterolemia, perché accompagnavano dal medico i loro familiari e mariti. Ma quando si chiedeva se avessero fatto un controllo cardiologico, anche dopo una gravidanza, nonostante eventuali complicanze (ipertensione gravidica, diabete gestazionale), raramente erano motivate a proseguire un percorso di controlli cardiovascolari. Per questo motivo abbiamo condotto una survey nazionale di 5600 donne, per indagare il loro grado di consapevolezza. Quello che abbiamo notato è che solo poco più del 10% si riteneva ad alto rischio cardiovascolare rispetto all’uomo. Il dato più sconcertante è che il 62% delle donne a rischio cardiovascolare molto alto, erano convinte di avere un basso rischio. Questo dato non era influenzato dal livello di istruzione. Un altro dato interessante è che il 33% delle donne equipara i lavori domestici all’attività fisica e molte donne non seguono un’alimentazione corretta, con frutta e verdura».

Oltre alla scorretta alimentazione, quali sono i fattori di rischio cardiovascolare nella donna?
«Il messaggio che come ARCA stiamo cercando di diffondere è che il rischio cardiovascolare della donna è in continuo divenire, legato alle differenti età. Spesso le giovani hanno avuto un menarca precoce, intorno ai 10 anni, soffrono di ovaio policistico, fanno uso di contraccettivi, tutti fattori che aumentano il rischio cardiovascolare. Poi arrivano alla gravidanza e magari hanno un rischio di ipertensione o di diabete non controllato. C’è poi il momento della menopausa che provoca un cambio fisiopatologico, con ridistribuzione del  grasso a livello viscerale, aumento del colesterolo LDL, sindrome metabolica, comparsa di diabete, stato ansioso depressivo, insonnia, vampate di calore che condizionano negativamente la qualità di vita, lavorativa e sociale. Oltre ai fattori di rischio tradizionali (ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete, fumo, obesità), dobbiamo considerare nella storia della donna altre problematiche che sta vivendo. Potrebbero influire negativamente anche situazioni di violenza fisica, isolamento sociale, condizione di migrante, rischi legati all’inquinamento ambientale, tutti fattori da attenzionare quando valutiamo una donna».

Quando la donna dovrebbe rivolgersi al cardiologo e quali esami consigliare?
«Qui entra in gioco in prima istanza la figura del medico di famiglia che dovrebbe indagare la familiarità della paziente per malattia cardiovascolare, ipertensione, diabete. Già in giovane età, in presenza di familiarità, il medico potrebbe proporre un elettrocardiogramma, che oggi viene fatto normalmente per praticare attività fisica. Andrebbe anche affiancato a una visita cardiologica ed esami più specifici per valutare lo stato metabolico, la funzionalità tiroidea, il colesterolo. Il messaggio che dobbiamo dare è che, anche dopo la gravidanza, soprattutto in presenza di ipertensione e diabete, la donna dovrebbe continuare a fare lo screening cardiologico almeno annuale, fino alla perimenopausa e alla menopausa conclamata, per definire meglio nel tempo il rischio cardiologico. Noi a Bari abbiamo un ambulatorio dedicato alla cardiologia di genere, avviato 5 anni fa e stiamo seguendo 680 donne seguite in cinque anni, con almeno un fattore di rischio cardiovascolare (94%), per lo più ipertese e ipercolesterolemiche, con un tasso aumentato di fumatrici. Dopo la valutazione e il trattamento, abbiamo riportato a target il 94% delle pazienti. Abbiamo intercettato un 6% di donne a rischio alto e molto alto, che sono state indirizzate ad esami di terzo livello, ad esempio la coronarografia, prima che si manifestasse l’evento acuto».

Quali patologie cardiovascolari compaiono più di frequente nelle donne?
«Un aspetto da sottolineare è che le malattie cardiovascolari mostrano peculiari differenze tra donna e uomo. Ad esempio le coronaropatie dell’uomo interessano le grosse coronarie e spesso sono caratterizzate da placche stenotiche che provocano l’evento acuto. Nelle donne riguardano invece le piccole coronarie, e sono caratterizzate da un vasospasmo prolungato, in assenza di placca stenotica. Un esempio classico è la famosa “sindrome del cuore infranto” o “sindrome di Takotsubo”: in genere si verifica dopo uno stress emotivo importante, ad esempio la perdita del partner. Generalmente la disfunzione cardiaca che ne deriva è transitoria, con il ripristino della normale funzione cardiaca, che non esclude però un rischio futuro».

Le donne che si rivolgono al Pronto Soccorso con un dolore di tipo cardiaco vengono trattate con la stessa sollecitudine degli uomini?
«Purtroppo no. Il secondo importante problema, oltre alle differenze anatomiche delle coronarie coinvolte, riguarda la sintomatologia. Mentre nell’uomo è più tipica e riconoscibile, con il dolore retrosternale irradiato al braccio sinistro, e quindi viene più facilmente attenzionata, nella donna questa sintomatologia è più sfumata e viene spesso scambiata per uno stato ansioso e viene rimandata a casa. E magari ritorna il giorno dopo con una sindrome coronarica acuta ormai avanzata e ha un ritardo di accesso alle cure, a esami diagnostici come la coronarografia, con un maggiore rischio di mortalità. Nel 2018 uno studio multicentrico americano condotto da Greenwood Brad aveva eseguito un’analisi su oltre 600 mila accessi un grosso ospedale della Florida, osservando che, quando la donna veniva visitata da un medico uomo, era trattata con minor attenzione rispetto alla collega donna che invece valutava nello stesso modo donne e uomini. E questo si era tradotto, a distanza di un anno, in un’aumentata probabilità di un nuovo evento acuto e un aumentato rischio di mortalità nelle donne».

C’è un’età più a rischio per la malattia cardiovascolare nelle donne?
«Un altro studio americano pubblicato nel 2023 sul Journal of the American Heart Association, su 177.602 donne di età compresa tra 18 e 55 anni, con diagnosi primaria di infarto miocardico acuto (STEMI), evidenzia come la percentuale di ospedalizzazione è aumentata nelle donne di età compresa tra 18 e 34 anni e tra i 35-44 anni. La prevalenza di fattori di rischio cardiovascolari tradizionali e non tradizionali specifici per le donne o prevalentemente femminili è aumentata in tutti i sottogruppi di età. Inoltre, come riportato da un’ampio studio di sorveglianza condotta dal gruppo di Arora e pubblicato nel 2019 su Circulation, le giovani donne ricoverate avevano più fattori di rischio rispetto al sesso maschile, particolarmente diabete, ipertensione, fumo, ed erano meno trattate con ipocolesterolemizzanti e meno sottoposte a coronarografia e procedure di rivascolarizzazione. Il maggior rischio di eventi CV nelle giovani è legato indubbiamente all’aumento del fumo, anche con tabacco riscaldato. Si stanno iniziando i primi studi per valutare gli effetti cardiovascolari di questo tipo di fumo. C’è anche uno stile di vita non adeguato rispetto all’alimentazione, al fumo, all’alcol, alla mancata attività fisica, allo stress. E poi si registra una scarsa consapevolezza della donna giovane che non si considera a rischio come la donna in menopausa. E’ vero che la donna giovane ha un rischio minore perché è protetta dall’ombrello estrogenico, ma non può considerarsi esente da rischio. La donna infatti ha un ritardo di 10 anni rispetto all’uomo per un evento acuto, grazie alla protezione estrogenica, ma la mortalità è maggiore perché non attenzionata sul proprio rischio cardiovascolare e non adeguatamente trattata farmacologicamente, a differenza degli uomini. Tra i fattori generi-specifici nelle donne ci sono anche le terapie oncologiche: chemioterapia e radioterapia che possono contribuire ad aumentare il rischio cardiovascolare nelle donne».

Donne giovani con rischio cardiovascolare o con patologie cardiache già note possono affrontare una gravidanza?
«Oggi c’è una grande attenzione a queste donne. Se c’è una volontà di affrontare una gravidanza, deve essere fatta una valutazione cardiologica e curare eventuali rischi, con controlli più ravvicinati nella donna durante i nove mesi di gestazione. Il messaggio importante è di rivolgersi a uno specialista cardiologo prima di affrontare una gravidanza, soprattutto in presenza di malattia conclamata, ma anche dove ci sia solo una familiarità per cardiopatie familiari».

di Paola Trombetta

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