LATTE MATERNO: L’ALIMENTO PIU’ INDICATO PER I NEONATI, SOPRATTUTTO SOTTOPESO

Agirebbe come scudo protettivo, svolgendo una azione di prevenzione primaria contro numerose complicanze che possono insorgere in caso di nascite premature. È il latte materno, la cui assunzione nei primi 28 giorni di vita, ovvero fin dalla permanenza in una unità di terapia intensiva neonatale, potrebbe ridurre del 19% il rischio di sepsi tardiva, una infezione batterica che può manifestarsi nelle prime 4 settimane di vita, con conseguenze importanti sulla qualità di vita e lo sviluppo neurocognitivo dei piccoli. L’indicazione arriva da uno studio finanziato dal National Institute of Health, presentato in occasione del Congresso Internazionale sulla lattazione e allattamento al seno tenutosi di recente a Madrid (Spagna), promosso da Medela. «La nostra ricerca – spiega la dottoressa Paula Meier, infermiera diplomata e pediatra presso il Rush University Medical Centre di Chicago – condotta nell’arco di 5 anni su 430 coppie di madri-neonati con basso peso alla nascita, ha dimostrato una netta riduzione di sepsi ogni 10 milligrammi di latte materno in più assunto. L’aumento della dose media giornaliera da meno di 25 ml a più di 50 ml, nei primi 28 giorni di vita, tutela anche da problematiche di salute più generali e da un ritardo nello sviluppo neurologico, spesso dipendenti da sepsi». Con ricadute positive anche in termini di assistenza e costi socio-sanitari: minore permanenza dei neonati in terapia intensiva e minore impiego di risorse dedicate. L’assunzione di latte materno nei primi 14 giorni di vita, secondo un altro studio condotto dalla dottoressa Jea Kim, consentirebbe di controllare anche l’enterocolite necrotizzante, un’importante infezione intestinale che può fare comparsa nei primi giorni/mesi di vita, con tassi di insorgenza tre volte più bassi rispetto a neonati nutriti con latte da donatrice o artificiale. «I risultati di questi studi – commenta Marcello Giovannini, Professore emerito di Pediatria all’Università degli Studi di Milano e Presidente della Società Italiana di Nutrizione Pediatrica – sono molto significativi e sottolineano come il latte materno, alimento fondamentale per la salute di ogni neonato, sia ancora più importante nei neonati prematuri e fortemente prematuri la cui condizione li espone ad un maggior numero di possibili complicanze neonatali». Ma per ottenere i migliori benefici, l’attenzione va posta anche alla lunghezza (almeno 3-4 mesi) e all’esclusività dell’allattamento al seno: due condizioni necessarie e indispensabili per garantire al piccolo più tutela anche verso infezioni delle basse vie aeree (riduzione dei tassi di ospedalizzazione del 72%) e di otite media (50% in meno di probabilità di sviluppare la malattia). Una protezione, quella svolta dal latte materno, che si estende anche a patologie allergiche, come asma, dermatite atopica e eczema, a infezioni del tratto gastrointestinale, la cui efficacia perdurerebbe anche nei due mesi successivi alla cessazione dell’allattamento al seno, e all’obesità con una riduzione del 15-30% di manifestare questa condizione in età adolescenziale e adulta. «E’ stato dimostrato – continua il Professor Giovannini – che ogni mese di allattamento al seno si associa a una riduzione del 4% del rischio di sovrappeso». Possibili effetti postivi si avrebbero anche sulla diminuzione del pericolo di sviluppare celiachia, diabete di tipo 1, leucemie e linfomi. Proprio in relazione agli effetti benefici sulla salute, oltre che per l’empatia che si instaura tra mamme e neonato durante la nutrizione al seno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità la raccomanda fino ai sei mesi di vita, consigliandone la prosecuzione anche una volta introdotti altri alimenti fino all’anno di vita o fino a quando mamma e bambino lo desiderano. Cadute le preoccupazioni associate all’allattamento al seno in casi particolari, come ad esempio accertamenti diagnostici con mezzo di contrasto (TAC o risonanza magnetica), dove secondo quanto espresso di recente dal Ministero della Salute, dagli esperti della Sirm (Società Italiana di Radiologia Medica), Sip (Società Italiana di Pediatria), Sin (Società Italiana di Neonatologia) e del Tavolo Tecnico Operativo Interdisciplinare per la promozione dell’Allattamento al Seno, la sospensione può essere indicata solo quando l’indagine radiologica viene eseguita con gadopentato, dimeglumina, gododiamide o godoversaetamide, sostanze alle quali può essere correlato un rischio di fibrosi sistemica nefrogenica, restano davvero poche le indicazioni a non scegliere questa forma di nutrimento naturale per i propri piccoli. «Possono giustificare il non allattare al seno, in forma temporanea o permanente – aggiunge ancora il pediatra – bambini con rare patologie metaboliche congenite che richiedono l’alimentazione con formule speciali, mamme affette da HIV o da una malattia grave che impedisce loro di prendersi cura del neonato, in caso di assunzione di farmaci non compatibili con l’allattamento, o ancora in presenza di neonati fortemente prematuri o con basso peso alla nascita per cui può non essere possibile fin da subito l’alimentazione esclusiva al seno». Altre condizioni cliniche neonatali da non trascurare? Ittero, bimbi pigri nel mangiare e calo ponderale. «In queste situazioni – conclude Giovannini – non sempre è necessaria una supplementazione. Va però dedicata particolare attenzione a questi neonati, favorendo in ogni modo l’avvio efficace dell’allattamento al fine di distinguere i casi in cui sia veramente necessario somministrare un’aggiunta e i casi in cui se ne può fare a meno».

 

di Francesca Morelli

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