GIORNATA NAZIONALE DELL’EPILESSIA: LA STORIA DI SARA

Sara è una bimba di 8 anni. Soffre di epilessia infantile da quando ne aveva 5 e mezzo. Lei e i suoi genitori lo hanno scoperto per caso. Senza nessun segnale premonitore, la malattia ha colto tutti di sorpresa, anche perché nella sua famiglia nessuno ne ha mai sofferto. Le sue crisi sono sempre state particolari, discrete, solo notturne. All’inizio avvenivano anche 4 o 5 volte al mese, sempre qualche minuto dopo la fase di addormentamento, così Sara non se ne accorgeva nemmeno, non aveva la percezione di quello che accadeva. Rimaneva solo un po’ stordita.

Secondo il professor Oriano Mecarelli, Responsabile dell’Ambulatorio per le Sindromi Epilettiche dell’UOC di Neurofisiopatologia del Policlinico Umberto I di Roma, «l’epilessia può manifestarsi a tutte le età ma molto frequentemente insorge in età pediatrica o durante l’adolescenza. Considerando che in Italia le persone affette da questa patologia sono circa 500mila, con 30mila nuovi casi l’anno, oltre un terzo iniziano a presentare i sintomi in età infantile».

In generale esistono decine di sindromi epilettiche, che si distinguono tra loro per la causa che le ha provocate o per le modalità in cui si presentano. Molti credono ad esempio che l’unica forma di crisi epilettica sia quella in cui il soggetto cade a terra e, preda di convulsioni violente, perde conoscenza: ma non è questa l’unica forma in cui una crisi si palesa e Sara ne è la dimostrazione. Nella maggior parte dei casi, alla base dell’epilessia vi è una predisposizione genetica; in altri casi è dovuta a malformazioni cerebrali dalla nascita o lesioni acquisite a seguito di un grave incidente, nel caso di un trauma cranico; può insorgere a seguito di una malattia infettiva, ad esempio la meningite o l’encefalite, o a seguito di un ictus o tumore al cervello. Poi ci sono le forme “cripto geniche” di epilessia, cosiddette perché ancora non se ne conosce la causa.

Chi soffre di epilessia deve fare i conti con un disagio psichico oltre che fisico e una tendenza all’emarginazione. Se a soffrirne è un bambino, la situazione è ancora più delicata e diviene fondamentale la giusta coesione tra medico e genitori. I medici devono “istruire” i genitori indicando loro il comportamento migliore da assumere con il bambino e con chi vive intorno a lui, per non farlo sentire un “malato”.

Per Sara è andata così: accertata la diagnosi e fatti i dovuti esami (l’indagine più comune è l’elettroencefalogramma; altri esami sono la TAC cerebrale e la risonanza magnetica) ed eseguite le prime ricerche sulla patologia, Rachele, sua madre, ha capito che la cosa migliore da fare sarebbe stata accompagnare la piccola nei suoi percorsi quotidiani senza limitarla nelle azioni e nelle scelte per timore di vederla soffrire, per non comprometterne l’equilibrio emotivo. Secondo Rachele questi bambini possono vivere serenamente, come tutti gli altri,  senza limiti o disagi.

Rachele ha cercato un modo per spiegare alla figlia e alla sua sorellina più piccola, cosa stesse accadendo e ha pensato che il modo migliore per farlo sarebbe stato quello di raccontare una favola. “Dei tanti fili che ci sono nella testa, ognuno serve per fare qualcosa: giocare, parlare, dormire, pensare…” – si legge nel libro Sara e le sbiruline di Emily, scritto da Rachele – “poi, ogni tanto può capitare, o almeno è così che succede a me, che uno di questi fili inizi a tremare, come se fosse stato toccato da un fulmine, da una scossa elettrica…”. 

Sara e Rachele sono solo una piccola testimonianza di come la nuova frontiera terapeutica sia raccontare l’esperienza della malattia da parte del paziente e condividere la propria esperienza, attraverso la narrazione, soprattutto con il medico curante. E lo sa benissimo la LICE che – in occasione della Giornata nazionale che si celebra il 4 maggio – ha presentato il libro di medicina Narrativa A volte non abito qui, che contiene 33 tra racconti e poesie scritti da persone affette da  epilessia, da loro familiari o da caregiver. «La Medicina Narrativa è una disciplina che dovrebbe essere implementata nella pratica clinica – prosegue il professor Mecarelli – così come avviene nel mondo anglosassone, costituendo essa una parte fondamentale per la migliore costruzione del rapporto medico-paziente».

Certo per curare l’epilessia sono fondamentali le cure farmacologiche, peraltro generalmente molto lunghe, cadenzate e costanti. Per questo, nei casi di epilessia pediatrica, è fondamentale che i genitori seguano attentamente il bambino durante la terapia. «L’epilessia – conclude Mecarelli – non comporta in modo automatico disturbi cognitivi o comportamentali e, con i dovuti accorgimenti e le dovute cure, il bambino che ne è affetto può svolgere un’esistenza normale. Alcuni farmaci antiepilettici possono però avere influenze negative riguardo lo sviluppo intellettivo e cognitivo, ed è per questo che è necessario che il bambino con epilessia sia seguito in Centri Specializzati, che sono distribuiti su tutto il territorio nazionale».

Per sostenere le attività della Fondazione è possibile devolvere il 5X1000 dell’Irpef alla Fondazione Epilessia LICE onlus (Cod. Fiscale 97609380585): una buona azione che non costa nulla, ma che aiuterà a perseguire gli obiettivi della Fondazione di ricerca scientifica in campo epilettologico.

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di Lara Luciano

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