«Sono tante le telefonate, spesso cariche di ansia per ciò che attiene la cura e la risoluzione dei problemi di vita quotidiana di un neonato, che giungono ogni giorno da parte di giovani mamme alla nostra linea di ascolto. Con il tempo ho imparato a capire se l’apprensione che emerge dalle loro parole è motivata da una problematica di base, emotiva o umorale, o se si tratta invece solo di un pretesto per essere ascoltate, seguite e anche coccolate». È la testimonianza, racchiusa in un video che sarà presto lanciato on-line, di una volontaria del Progetto Itaca che racconta una sofferenza femminile – quella della depressione post-partum – spesso dimenticata, trascurata, in quasi la metà dei casi non denunciata o sfuggita a un adeguato controllo e trattamento medico, con ripercussioni importanti e inevitabili non solo sulla mamma, ma anche sullo sviluppo emozionale e cognitivo del bambino che ne porterà i segni nella vita adolescenziale e adulta. Lo stato depressivo post-gravidanza, che può manifestarsi subito dopo il parto, ma anche comparire nei 12 mesi successivi e oltre, sta registrando un trend in crescita: in Italia si ammalano ogni anno tra le 55 e le 80 mila donne (in Lombardia ne soffre 1 donna su 3) tanto da spingere la regione ad attivare e finanziare un progetto biennale “Depressione in gravidanza e post partum: modello organizzativo in ambito clinico, assistenziale e riabilitativo”, svolto dall’Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano in collaborazione con l’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (O.N.Da.) e la partecipazione dell’Associazione Progetto Itaca.
La depressione post-partum non ha più solo il volto femminile, sempre più spesso ne soffrono anche i papà! A rivelare il peso del problema, e tutte le sue implicazioni, è stata una indagine condotta da O.N.Da. tra poco più di mille persone (502 donne e 500 uomini fra i 25 e i 55 anni) scelte fra coloro che non conoscevano la depressione post-partum, coloro che l’avevano sperimentata ma senza avere ricevuto una diagnosi e fra coloro in cui invece la patologia era clinicamente conclamata. «L’indagine – dichiara Francesca Merzagora, Presidente di O.N.Da. – ha evidenziato da un lato la necessità di promuovere una maggiore informazione sulla malattia, come identificarla, a chi rivolgersi in caso di difficoltà e come affrontarla, e dall’altro il bisogno di attivare iniziative concrete da parte delle Istituzioni e Strutture Sanitarie, mediante la creazione di gruppi di sostegno, per supportare le mamme in difficoltà attraverso un’assistenza domiciliare integrata; ma anche per aiutare i papà, che da alcuni anni sviluppano in prima persona questa patologia con un’incidenza in crescita». Una realtà esistente presso il Centro Psiche Donna, attivo da più di 10 anni all’interno dell’Azienda Ospedaliera Milanese, alla quale questo progetto apporta una grande novità: un irradiamento dell’assistenza dalla donna, all’ospedale e ora alla famiglia. «Nei nostri anni di attività – commenta Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Neuroscienze dell’A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico e coordinatore scientifico del progetto – siamo arrivati al riconoscimento dei sintomi (tristezza, pianti immotivati, stanchezza, affaticamento, pensieri negativi e rifiuto verso il bambino, isolamento), dei fattori di rischio (fra questi predisposizione alla malattia, squilibri ormonali, violenze domestiche) e dei fattori protettivi nel periodo perinatale, mancava però una parte importante: andare dalle donne, avvicinarle alla possibilità di avere un riconoscimento e la cura della propria sofferenza. Il progetto sta consentendo a psichiatre, psicologhe e pediatre di recarsi direttamente a casa di donne che da poco hanno partorito, per dare conforto, attenzione e supporto a loro e al bambino per superare questo momento difficile».
Un aiuto che diviene prezioso soprattutto in quei casi in cui la condizione depressiva è aggravata dal contesto ambientale, dalla lingua e dall’etnia. «Molte donne che assistiamo – continua Mencacci – sono straniere o hanno sposato uomini di altri Paesi e culture. In queste situazioni, in cui la probabilità di sviluppo della patologia è maggiore, è importante creare un clima di interazione e di comunicazione che permetta a tutti, mamme e papà, l’avvicinamento alle cure perché il nostro obiettivo è rafforzare nel modo più efficace possibile tutta la famiglia». L’intento è, infatti, arrivare a instaurare fra la donna che soffre di depressione post-partum e il/i medici un rapporto chiaro, diretto e intimo, nell’ambiente protetto e accogliente della casa nella quale trovare la tranquillità necessaria per vivere più serenamente la maternità. «Un’équipe dedicata giunge al domicilio – precisa Luca Bernardo, Direttore del Dipartimento Materno-infantile dell’A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico e coordinatore scientifico del progetto – e, in particolare, un neonatologo pediatra potrà parlare con la mamma e visitare il bambino dal punto di vista armonico, del movimento, della tonicità e della suzione. Questa valutazione consente di dare alla mamma, spesso in una condizione di difficoltà grave, la serenità e gli strumenti per accudire il proprio piccolo facendole comprendere che questo senso di inadeguatezza che sta vivendo non è determinato dalla sua incapacità al ruolo di madre ma che è una condizione possibile, comune a molte donne, che richiede l’aiuto di professionisti dedicati».
Per accedere al progetto, è necessario mettersi in contatto con il Centro Psiche Donna (tel. 02.6363.3313 – Via Mecedonio Melloni 52 – www.centropsichedonna.it), fissare un appuntamento per una prima visita e iniziare un percorso di aiuto e cura.
di Francesca Morelli