«Avevo la tosse da più di un anno e ne attribuivano la causa al reflusso gastro-esofageo. Quando mio marito Amos si ammalò di tumore e iniziò a fare la chemioterapia, per non peggiorare la sua situazione, temendo che la tosse fosse legata a una polmonite, decisi di fare una lastra ai polmoni. Per i medici il responso fu appunto polmonite e per questo venni curata. La tosse però persisteva. Mi venne in mente allora di rivolgermi al medico che aveva curato mio padre, al quale era stata diagnosticata, in età avanzata, la fibrosi polmonare. Parlando con questo medico, nacque il sospetto che potesse essere la stessa cosa e mi prescrisse una Tac che confermò, cinque anni fa, la diagnosi di presunta fibrosi polmonare idiopatica: avevo 46 anni. In quei giorni le mie preoccupazioni erano altre: mio marito, con una gravissima forma di melanoma, pochi mesi dopo venne a mancare. Non avevo la voglia di pensare al mio problema e di curarmi. Furono gli amici, nei mesi successivi, a convincermi di rivolgermi a un centro specializzato a Forlì dove, dopo aver effettuato una biopsia polmonare, fu confermata la diagnosi di IPF familiare».
Così Daniela Gorini, 51 anni di Pistoia, ricorda gli esordi della sua malattia: la fibrosi polmonare idiopatica (IPF). «Dopo la diagnosi mi furono proposte alcune opzioni terapeutiche: scelsi di entrare nella sperimentazione di una nuova terapia, oggi arrivata in commercio (nintedanib). Si tratta di un farmaco capace di rallentare la progressione della malattia: non cura, quindi, ma permette di allungare la speranza di vita e di arrivare in condizioni migliori a un eventuale futuro trapianto. Purtroppo su di me aveva effetti collaterali rivelatisi alla lunga insostenibili. Su consiglio dei medici di Forlì, cominciai a pensare al trapianto polmonare, unica terapia in grado di curare l’IPF. Complice l’incontro con Fabrizio Andreotti, il mio attuale compagno, mi rivolsi al centro di Siena, riferimento regionale per le malattie polmonari rare e centro trapianto polmonare con venti anni di esperienza alle spalle. Qui, valutata la situazione, mi proposero l’altro farmaco disponibile in commercio per la malattia (pirfenidone): da quasi un anno lo sto assumendo, lo tollero meglio e, ad oggi, pare abbia rallentato la progressione della malattia. Da cinque anni convivo con la fibrosi polmonare e ho dovuto smettere di lavorare, sia per la mancanza di fiato e quindi di forze, sia per l’attività in sè che mi portava a contatto con polveri e sostanze nocive nella mia situazione. Comunque devo riconoscere di essere fortunata, perché ancora non ho bisogno dell’ossigeno-terapia e tutto sommato riesco a fare una vita più o meno normale (a parte le limitazioni imposte dalla scarsità del respiro). A differenza di tanti altri malati che non ce l’hanno fatta. Come Emanuela, la moglie di Fabrizio, mancata a soli 42 anni dopo aver lottato per quasi tre anni e aver effettuato un trapianto di polmone, purtroppo senza i risultati sperati. Per ricordarla, nel 2012 pochi mesi dopo la morte, Fabrizio ha fondato a Pistoia l’associazione “Un Soffio di Speranza. Il Sogno di Emanuela ONLUS”. Il nostro incontro ci ha dato modo di tornare a sperare dopo che la vita ci aveva riservato enormi dolori. Ora insieme cerchiamo di aiutare le persone che hanno questa malattia, li incoraggiamo, li supportiamo, informandole sui possibili percorsi terapeutici e sui centri di eccellenza, cerchiamo di trovare soluzioni ai piccoli e grandi problemi legati alla malattia, ci impegniamo assieme agli altri dell’associazione per la raccolta fondi da devolvere alla ricerca medica. La Toscana, con il Piemonte, sono regioni fortunate! Da noi la patologia ha il riconoscimento come malattia rara: i farmaci, ma soprattutto i tantissimi esami necessari per il monitoraggio della malattia e delle terapie, vengono rimborsati dal SSN. Insieme alle associazioni presenti sul territorio nazionale, “Ama Fuori dal Buio” di Modena, “ Un Respiro di Speranza” di Roma, e altre, ci stiamo muovendo per il riconoscimento, a livello nazionale, di pari diritti e dignità per tutti i pazienti IPF, per l’accesso alle cure, ai diritti sociali quali indennità lavorative e pensioni di invalidità. Lo scorso primo marzo è stata presentata in Parlamento la “Carta Europea del Paziente IPF (http://www.ipfcharter.org/the-charter-ita/ )”. Riassume in una decina di punti i diritti fondamentali di noi pazienti, che dovrebbero essere garantiti a livello nazionale ed europeo. I sintomi della persona malata sono soprattutto la tosse secca e stizzosa (che è comune a molte altre malattie), la difficoltà a sostenere gli sforzi fisici, la mancanza di fiato quando si cammina (lunghe camminate, salite e scale sono praticamente impossibili per molti pazienti IPF): l’ossigeno-terapia è necessaria col progredire della patologia quando diventa insostenibile effettuare molte delle normali attività quotidiane. Questa malattia, purtroppo, viene spesso trascurata, ignorata, i pazienti bistrattati. Diagnosi tardive che fanno pensare a una patologia legata esclusivamente alla terza età, invisibilità dei sintomi (soprattutto nelle fasi iniziali) fanno sì che venga considerata una malattia non grave. Invece è progressiva, una malattia che non guarisce e porta inesorabilmente, prima o poi, alla necessità di un trapianto di polmoni per poter vivere. Di qui l’impegno delle nostre associazioni nella diffusione della cultura del dono: troppe sono ancor oggi le persone che non ce la fanno, che devono arrendersi nell’attesa di un trapianto, di quel dono che non arriva… ».
CHE COS’E’ LA FIBROSI POLMONARE?
Come Daniela, sono circa 9mila l’anno in Italia le persone affette da Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF), una rara patologia polmonare, gravemente invalidante, che colpisce 35mila soggetti in Europa. «Fino a pochi anni fa, per le persone che riuscivano ad avere una diagnosi, se pur tardiva, la prognosi era terribile: circa un paio di anni di sopravvivenza e nessuna terapia approvata», fa notare il professor Alberto Pesci, direttore della Clinica Pneumologica dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Ospedale San Gerardo di Monza. «Dopo tre anni di malattia, viveva solo il 50% dei pazienti. La capacità polmonare veniva infatti compromessa dal progressivo diffondersi di tessuto fibroso che non permette una buona ossigenazione ai polmoni. Si potevano alleviare i sintomi, in particolare la dispnea, ovvero la mancanza di fiato, usando l’ossigeno e sperando in un trapianto, se si era giovani».
«All’epoca, le associazioni di pazienti erano poche e nessuna regione prevedeva un percorso diagnostico terapeutico riconosciuto a livello istituzionale: la malattia era praticamente ignota, tanto che nella legge 279 del 2001 non era neppure stata inserita tra le malattie rare riconosciute», aggiunge il professor Carlo Vancheri, direttore del Centro di Riferimento Regionale per la Prevenzione, Diagnosi e Cura delle Malattie Rare del Polmone di Catania e Ordinario di Malattie Respiratorie presso l’Università degli Studi di Catania. «Poi, in meno di 5 anni, sono stati fatti passi da gigante, tanto che oggi l’IPF può essere portata ad esempio di successo nel mondo delle malattie rare, sia dal punto di vista terapeutico, con la scoperta di due farmaci, pirfenidone e nintedanib, sia per la diffusione in poco tempo di associazioni di pazienti, tanto in Italia quanto in Europa. Il ruolo delle associazioni per una patologia come l’IPF è fondamentale. Da un lato possono fornire supporto a chi ha appena scoperto di essere affetto dalla malattia e alle famiglie dei pazienti. Possono dare una speranza, soprattutto ora che per la patologia sono disponibili anche trattamenti farmacologici. Purtroppo però l’IPF non è ancora stata inserita tra le malattie rare: le uniche regioni che l’hanno riconosciuta come tale sono il Piemonte e la Toscana, in cui si prevedono rimborsi anche per tutti gli esami diagnostici. Obiettivo delle associazioni è la richiesta della rimborsabilità di tutti gli esami e le spese correlate a questa patologia in tutte le Regioni».
QUALI SONO LE CURE?
«Fino a qualche anno fa, l’unica possibilità terapeutica per queste persone era rappresentata dal trapianto di polmoni, disponibile per pochi pazienti di età inferiore ai 65 anni», puntualizza il professor Venerino Poletti, Clinical Professor & Chair dell’Istituto Malattie Apparato Respiratorio, Università di Aarhus in Danimarca e Direttore della Pneumologia all’Ospedale Morgagni di Forlì. «Oggi, grazie ai progressi della ricerca scientifica e farmacologica, abbiamo a disposizione ben due farmaci in grado di rallentare il decorso della patologia. Si tratta del pirfenidone, commercializzato in Italia già da tre anni, e del nintedanib, immesso in commercio da pochi mesi. Il pirfenidone è in grado di rallentare il declino della funzionalità polmonare, senza aumentare il pericolo di sanguinamento o eventi cardiovascolari. Il rischio di morte, dopo 1 anno di trattamento con questo farmaco, si è ridotto del 48%. Questi due importanti risultati raggiunti per alcuni pazienti possono significare qualcosa in più: la speranza di raggiungere il traguardo del trapianto di polmoni».
Per questo la Federazione delle Associazioni presenti sul territorio nazionale, nata di recente, ha presentato alla Camera dei Deputati la Carta dei diritti del malato di fibrosi polmonare. Diritto alla diagnosi, alle cure, a ricevere un approccio olistico e alle cure palliative: sono questi i punti chiave della Carta dei diritti, con la quale si vuole assicurare una maggiore tutela del paziente e soprattutto la garanzia delle cure che possono veramente salvare una vita. E per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla malattia è stata presentata il 24 giugno a Baveno, in occasione dell’importante appuntamento scientifico “Air Meeting Italia 2016”, la Campagna #DIAMORESPIRO, realizzata dall’Osservatorio Malattie Rare, con il supporto incondizionato di Roche che già lo scorso anno aveva promosso l’iniziativa #SENZAFIATO. Scattatevi una foto o registrate un video con il vostro smartphone mentre gonfiate un palloncino! E se non lo avete, potete anche soffiare le candeline, suonare uno strumento musicale, restare in apnea in mare o in piscina. Pubblicate le foto sul vostro social preferito (youtube, twitter, facebook o instagram) e utilizzate l’hashtag #DIAMORESPIRO. Le foto e i video saranno raccolti sul sito www.diamorespiro.it e contribuiranno a migliorare la conoscenza di questa patologia che purtroppo viene diagnosticata con grande ritardo.
di Paola Trombetta