Sentirsi “ubriachi di sonno”, affaticati, fisicamente debilitati e con la mente annebbiata, come ottenebrata da una bevuta di alcol in eccesso. Non sono gli esiti di una notte brava, o del caldo arrivato all’improvviso, degli ambienti non sempre condizionati e magari anche di qualche chilo di troppo che staziona sull’addome. Talvolta dietro il cattivo riposo potrebbe esserci una problematica più seria: le apnee ostruttive notturne (Osas), una patologia delle vie respiratorie superiori che causa microarresti della respirazione, anche più di 30 in un’ora, con una durata da pochi secondi ad alcuni minuti, e che hanno come conseguenza un importante “debito di sonno”, perché a ogni arresto respiratorio il cervello è costretto a svegliarsi per far fronte all’evento, con sensibili ripercussioni sulla salute. Quali l’aumentata predisposizione ai disturbi cardiovascolari – dall’ipertensione arteriosa alla fibrillazione atriale, all’insufficienza cardiaca cronica, all’aterosclerosi e ictus – fino all’insufficienza renale.
Un problema, quello dei disturbi del sonno, aumentato sensibilmente nel corso degli ultimi 20 anni, con numeri importanti: oltre 4 milioni di persone affette da insonnia cronica e 9 milioni da disturbi del sonno che patiscono gli effetti di stili di vita scorretti, frenetici, sregolati che alterano il ritmo sonno/veglia, ma non solo, e costi socio-assistenziali altrettanto elevati. Secondo gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), la spesa pubblica per le apnee notturne si aggirerebbe infatti sui 3,5-5 miliardi di euro l’anno, suddivisi tra ospedalizzazioni, perdita di produttività e conseguenze maggiori come gli incidenti stradali causati, nel 22% dei casi, proprio da fenomeni di sonnolenza. Motivo per cui, anche l’Italia da quest’anno, attraverso un decreto legge e in conformità con la direttiva Ue, ha imposto il rilascio o il rinnovo della patente in soggetti con sospetta Osas solo dopo attenta valutazione specialistica, con esami mirati tra cui la polisonnografia cardiorespiratoria.
«Lo studio dell’ISS – dichiara il professor Sergio Garbarino, specialista neurologo, componente della Commissione della Salute dell’ISS – mostra come terapie adeguate, somministrate al 75% dei pazienti, apporterebbero un risparmio socio-sanitario di circa 3 miliardi. E questo grazie alla drastica riduzione degli attuali 7 milioni e mezzo di incidenti stradali, degli infortuni sul lavoro e di perdita di giorni lavorativi con un miglioramento delle prestazioni professionali».
Una recente ricerca americana dimostrerebbe inoltre come l’insufficienza di sonno influisca negativamente sulle performance lavorative, in particolare nell’esercizio della leadership, causando significative perdite finanziare per le aziende. «Dopo 17-19 ore di veglia, la carenza di sonno – commentano i ricercatori – riduce la qualità delle performance rendendole simili a prestazioni eseguite con un tasso alcolemico nel sangue pari allo 0,05%, ovvero il limite legale fissato in diversi Paesi europei. Mentre dopo 20 ore di veglia continuativa, i livelli di concentrazione assomigliano a quelli di una alcolemia dello 0,1% che negli Stati Uniti corrisponde alla soglia dell’ubriachezza».
Tra i soggetti maggiormente in “debito di sonno”, soprattutto per l’insonnia, ci sono proprio le donne, con percentuali più spiccate nella mezza età. È una questione anzitutto “materna”, perché le donne si risvegliano al minimo vagito del neonato o a un insolito movimento fatto dai piccoli nel lettino, e culturale, che vuole la donna attardarsi a rassettare la cucina e occuparsi delle cose dei figli prima di andare a letto, con conseguenti alterazioni del ritmo sonno/veglia. Poi, sulla qualità del sonno femminile, potrebbero influire anche componenti biologiche, più precisamente ormonali (seppure non ci sia un’evidente dimostrazione scientifica), che in alcune fasi della vita, ad esempio la gravidanza o la menopausa, possono contribuire a mantenere più alto lo stato di veglia e allerta. Specialmente in caso di forme di carenza di sonno più lievi, è possibile intervenire con misure preventive, partendo dalla correzione dello stile di vita, compreso quello alimentare, prima che il problema diventi cronico e richieda un approccio farmacologico o multidisciplinare.
«Una dieta corretta – precisa il dottor Marco Baroni, medico internista e pneumologo, presidente dell’Associazione Italiana Alimentazione – favorisce la salute di ogni aspetto della vita: può contribuire a curare alcune condizioni dismetaboliche, quali sovrappeso, obesità e patologie correlate come diabete, ipertensione e disturbi cardiovascolari; migliora la lucidità mentale durante le fasi di veglia e le performance lavorative». La prima indicazione, seppure possa sembrare scontata, è quella di mantenere una regolarità nei pasti, che non significa solo rispetto dei 3 pasti principali (più due spuntini), ma anche dell’orario di assunzione, più o meno sempre il medesimo, e che possono aiutare a tenere sotto controllo, con la moderata quantità di cibo, anche il peso. Oltre dalla riduzione delle porzioni, il sonno può beneficiare anche della qualità dei cibi: meglio privilegiare quelli che contengono magnesio e vitamine, soprattutto D – come banane, pesce o riso – e triptofano, un precursore della serotonina che regola l’ormone del sonno. A questi si possono aggiungere mandorle e noci, kiwi, succo di amarena e spinaci che stimolano la produzione di melatonina: altro ingrediente chiave per il buon sonno. Mentre, soprattutto prima di addormentarsi, vanno evitati alcol, caffeina (e nicotina), cioccolato e cibi grassi, ad esempio i salumi o i fritti, perché alcune delle loro componenti eccitano il sistema nervoso.
«La correzione dello stile alimentare – prosegue Mauro Favruzzo, biologo nutrizionista – può favorire la risoluzione, o comunque il netto miglioramento dei disturbi del sonno, nell’arco di sei mesi. Già evidenti in monitoraggi periodici che vanno effettuati a 15 giorni, 1 mese, 3 mesi e al termine della terapia alimentare la quale deve essere prescritta da un medico nutrizionista, dopo un accurato esame pre-clinico, analisi specifiche, e dalla conoscenza della storia clinica del paziente. Ovvero la presenza di patologie o problematiche in atto o pregresse, l’uso di eventuali famaci, l’età, il sesso, l’attività professionale svolta e il dispendio energetico quotidiano: tutte informazioni che aiuteranno a modulare l’introito calorico o la scelta del tipo di dieta». Che dovrà tenere contro delle preferenze alimentari – compreso regimi vegetariani o vegani – e dell’età dell’insonne. Perché tutti siamo potenzialmente a rischio di una “ubriacatura di sonno”, dai bambini agli adolescenti, dagli adulti in genere fino agli anziani, esiste una soluzione alimentare (e non solo) appropriata per rimettersi in pari con il buon riposo.
di Francesca Morelli