Più alti livelli di colesterolo, maggiore rischio cardiovascolare. Una correlazione che vale anche per le donne. Anzi, dopo la menopausa, la donna ha un rischio simile all’uomo di incorrere in un evento cardiovascolare, che potrebbe presentarsi in forma anche più grave. Il brusco calo degli estrogeni favorisce, infatti, l’aumento di colesterolo totale e LDL e la diminuzione di quello “buono” HDL. Inoltre le donne, essendo colpite da infarto almeno dieci anni più tardi degli uomini, soffrono anche di altre patologie, come quelle infiammatorie croniche, che possono accrescere il rischio cardiovascolare.
Ne hanno parlato gli specialisti intervenuti in questi giorni a Roma, in occasione della presentazione della Campagna di prevenzione “Amico del cuore – Dopo l’infarto il colesterolo conta”, promossa dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), dalla Fondazione “Per il tuo Cuore” e da Conacuore Onlus, con il supporto di MSD. Un grande evento di informazione si svolgerà sabato 16 aprile, contemporaneamente in 14 città, collegate via satellite: saranno anche distribuiti materiali educazionali e un video con le regole per la prevenzione cardiovascolare. In molte cardiologie italiane saranno a disposizione specialisti per informare sull’importanza dei controlli periodici del colesterolo. Tutte le informazioni si trovano sul sito: www.amicodelcuore.it.
«Abbiamo voluto promuovere questo Progetto educazionale per ricordare a tutti che i veri amici del cuore siamo noi stessi», sottolinea il dottor Michele Massimo Gulizia, presidente ANMCO e direttore della Cardiologia dell’Ospedale Garibaldi-Nesima di Catania. «Dobbiamo voler bene al nostro cuore e prendercene cura, seguendo una dieta appropriata e tenendo sempre sotto controllo il colesterolo, soprattutto se già si è avuto un infarto. In questo progetto il numero chiave è “70”: non superare questo valore di colesterolo LDL riduce in maniera significativa il rischio di un secondo infarto e aiuta a tenere sotto controllo tutti gli altri fattori di rischio». Non è semplice però per i pazienti, anche già infartuati, mantenere questo limite. A 12 mesi dalle dimissioni, dopo un infarto, l’aderenza alle terapie è del 24%, con un rischio di complicanze maggiore fino al 50%; dopo 5 anni la metà dei pazienti non segue più le terapie. Entro due anni, il 30% dei pazienti ha avuto un reinfarto. «E pare che le meno aderenti alle terapie, e dunque più a rischio di reinfarto, siano proprio le donne», conclude il dottor Gulizia. «Molto attente all’aderenza delle terapie di mariti e compagni, sembra che le donne trascurino invece se stesse. E quando ritornano a casa dopo un infarto, sono più restie a modificare stili di vita, abitudini alimentari e spesso trascurano anche di assumere correttamente i farmaci». «L’evento acuto si manifesta nella donna almeno dieci anni più tardi rispetto all’uomo, con una prognosi solitamente peggiore perché il quadro biologico è più complesso, per la presenza di comorbilità associate», aggiunge il dottor Andrea Di Lenarda, direttore del Centro Cardiovascolare dell’Azienda Servizi Sanitari di Trieste. «Assumendo già diversi farmaci per altre patologie, le donne rischiano di trascurare il controllo del colesterolo, che è uno dei principali fattori di rischio del reinfarto: la metà dei pazienti che hanno avuto un infarto, dimezza il dosaggio dei farmaci per il controllo del colesterolo».
La nota 13 dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) conferma l’efficacia delle statine come i farmaci più indicati per abbassare il colesterolo, a dosaggi molto elevati (40-80 mg). A volte però queste terapie, assunte per uso cronico, provocano effetti collaterali, soprattutto dolori muscolari, che inducono i pazienti a sospenderne l’assunzione. «A risentire di questi effetti sono in particolare le donne: a causa dell’osteoporosi o di patologie correlate alla tiroide, soffrono più degli uomini di patologie osteo-articolari e dolori muscolari, che si aggravano con l’uso delle statine», fa notare il dottor Furio Colivicchi, direttore dell’Unità Complessa di Cardiologia dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma. «I dati riportati da diversi studi scientifici confermano che il 10-20% dei pazienti non tollera le statine ed è costretto a interromperne l’assuzione. In questi pazienti si segue una diversa strategia terapeutica, prescrivendo ezetimibe, un farmaco che inibisce l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale, in aggiunta a una statina a dosaggio ridotto. Una combinazione che potrebbe avere una buona compliance nelle donne, in particolare in quelle con problemi di osteoporosi e carenza di vitamina D, spesso correlate a intolleranza alle statine».
Dallo studio IMPROVE, multicentrico internazionale condotto su 18mila pazienti in 6 anni, in cui sono stati trattati metà pazienti con statine ad alto dosaggio e l’altra metà a basso dosaggio, con l’aggiunta di ezetimibe, si è registrata una maggiore riduzione del colesterolo in questi ultimi, con una migliore compliance e qualità di vita.
di Paola Trombetta