FECONDAZIONE ASSISTITA: IL SUCCESSO DIPENDE DALL’ETA’ DEI GAMETI

E’ una legge della natura: le donne giovani (20-34 anni) hanno una probabilità più che doppia di concepire rispetto alle 40enni. Un meccanismo simile vale anche per gli uomini. Si è visto infatti che più gli spermatozoi invecchiano più aumenta il rischio di trasmettere anomalie genetiche al feto. Ne hanno parlato gli specialisti intervenuti al recente Congresso organizzato a Roma dalla Società Italiana di Embriologia, Riproduzione e Ricerca (SIERR-www.sierr.it). «Gli ovociti nelle donne dopo i 35 anni hanno maggiori rischi di trasmettere anomalie cromosomiche al feto perché nel processo di divisione cellulare (meiosi) i cromosomi non sempre si affiancano regolarmente», spiega la dottoressa Laura Rienzi, presidente Sierr. <In particolare si possono verificare delle aneuploidie, ovvero irregolari accoppiamenti cromosomici, come le trisomie del cromosoma 18, 21, 22, 23 (sindrome di Down) o a carico dei cromosomi sessuali X, Y. Oltre ad aumentare rischi di patologie, anche gravi, come la sindrome di Down, queste aneuploidie possono provocare ripetuti aborti o mancati attecchimenti in utero dell’embrione. Per questo motivo, nel percorso di fecondazione assistita, si cerca di effettuare un’analisi pre-impianto per evitare di trasferire embrioni difettosi che provocherebbero aborti o malformazioni fetali. Per i test cromosomici non si utilizzano le cellule dell’embrione vero e proprio, ma quelle del tessuto circostante (trofoectoderma) che riproducono, comunque, le stesse caratteristiche cromosomiche delle cellule embrionali».
Se per le donne dunque esiste un limite biologico alla procreazione, che sia nei casi di concepimento naturale che di PMA difficilmente supera i 40-45 anni, anche per l’uomo ci deve essere un limite, nonostante ci siano sempre più neopapà di 40-45 anni (un quarto dei nuovi nati hanno un padre con più di 40 anni). «Con l’avanzare dell’età diminuisce la quantità di spermatozoi nel liquido seminale e si allungano i tempi per ottenere la fecondazione, anche quella in vitro», conferma il professor Alberto Ferlin dell’Università di Padova, presidente eletto della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità. «Ma non solo. Negli spermatozoi, come negli ovociti, si possono verificare più di frequente errori, durante la divisione mitotica che possono generare anomalie genetiche in grado di provocare patologie come il nanismo e la sindrome di Apert, che causa gravi deformazioni e deficit mentale. Per questo motivo si dovrebbe porre un limite all’età procreativa anche negli uomini, per le fecondazioni assistite, che attualmente in Italia non esiste se non per i donatori di gameti che non possono superare i 40 anni. Se da un lato gli spermatozoi “invecchiano”, dall’altro però si auto-conservano meglio, aumentando la lunghezza dei telomeri (porzioni terminali dei cromosomi). Si è visto da un recente studio internazionale, condotto da alcuni ricercatori della Oxford University, che gli spermatozoi con i telomeri più lunghi vivono di più e sembrano proteggere l’uomo dai rischi di incorrere in patologie cardiovascolari e tumori. Una protezione che viene trasmessa dai padri più “attempati” ai propri figli. Se da un lato, dunque, gli spermatozoi “datati” sono meno fertili e possono trasmettere malattie genetiche, e dunque non sono particolarmente adatti alla riproduzione, dall’altro lato però si conservano meglio, mettendo in atto una sorta di “selezione egoista” e questo sembrerebbe proteggere la prole maschile dal rischio cardiovascolare e di ammalarsi di tumore».

 

di Paola Trombetta     

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