«Lele è nato prematuro e probabilmente ha sofferto di ipossia, una carenza di ossigeno dovuta alla sofferenza fetale durante il parto. A questo problema è stato attribuito all’inizio il suo ritardo motorio e del linguaggio. Lele viene seguito prima al Gemelli, dove era nato, e poi al Bambino Gesù, dove hanno intuito che poteva trattarsi di una malattia rara, per la cui diagnosi era richiesto lo screening genetico. Il sospetto venne confermato con il secondo ricovero: si trattava della distrofia muscolare di Duchenne (DMD), una malattia genetica rara che colpisce soprattutto il tessuto muscolare, non più in grado di produrre una proteina, la distrofina, responsabile, tra le sue altre funzioni, della conservazione del muscolo durante la contrazione. La sua assenza ha come conseguenza la progressiva perdita dell’attività motoria. Quando è arrivata la diagnosi, il mondo ci è letteralmente crollato addosso!». Mamma Alessandra ricorda così il giorno della diagnosi della malattia di Lele, che oggi ha sette anni ed è un bambino molto vivace e intraprendente.
La malattia colpisce uno su 3.500 bambini ed è legata all’alterazione di un gene presente sul cromosoma X, motivo per cui si trasmette quasi sempre ai maschi e, solo in rarissimi casi, alle femmine che normalmente sono “portatrici sane” della malattia. Le mamme “portatrici” possono presentare a volte problemi di affaticamento e stanchezza fisica. L’unica terapia oggi efficace è il cortisone: sono allo studio diversi farmaci, che intervengono sul difetto genetico. «Confidiamo nell’approvazione di due farmaci, in corso negli Stati Uniti (uno di questi sta seguendo anche l’iter di approvazione in Europa) per una nuova terapia genica, l’exon-skipping dell’esone 51. Essendo compatibili con la delezione genica di Lele, potrebbero ulteriormente rallentare il decorso della malattia», puntualizza Costantino, papà di Lele. «I progressi della medicina hanno effettivamente dato una speranza ai nostri figli. Se prima dell’avvento delle nuove terapie la perdita della deambulazione avveniva intorno agli 8 anni, ora avviene tra i 12 e i 14 anni, la progressione è molto più lenta e la vita media è decisamente aumentata. Purtroppo non esiste ancora un farmaco in grado di bloccare definitivamente la progressione della malattia, anche se la ricerca si sta muovendo in questo senso. Ed è la nostra speranza per il futuro, che vorremmo però fosse già presente!».
Con l’aiuto del professor Eugenio Mercuri, ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità Operativa Neuropsichiatria infantile del Policlinico Agostino Gemelli, che ha seguito in prima linea la sperimentazione di un nuovo farmaco in Italia, cerchiamo di conoscere più a fondo la malattia e le più recenti prospettive di cura.
«Si tratta in realtà della più grave tra le distrofie muscolari, perché conduce alla completa immobilità e l’aspettativa di vita, pur raddoppiata negli ultimi anni, non supera i 25-30 anni. La DMD colpisce in modo specifico il tessuto muscolare scheletrico, compresi i muscoli respiratori e cardiaci, ed è caratterizzata da una progressiva distruzione del tessuto muscolare che viene via via sostituito da tessuto fibroso e adiposo».
Come si riconoscono i sintomi?
«I primi sintomi della patologia si manifestano intorno ai tre anni: il bambino ha difficoltà nel correre, salire le scale, saltare, e mostra il cosiddetto “segno di Gowers”, un modo particolare di utilizzare le mani poggiate sulle cosce per alzarsi da terra o dalla posizione seduta. Con il progredire dell’età, le difficoltà motorie diventano evidenti e al momento dell’ingresso nella scuola elementare il quadro clinico è chiaro: l’andatura è anomala, con frequenti cadute, la camminata avviene spesso in punta di piedi. La capacità di camminare viene mantenuta solitamente fino ai 12-14 anni, dopo di che si ha il passaggio alla sedia a rotelle che diventerà l’unico mezzo per la deambulazione. Da questo momento il bambino comincia a fare un uso intensivo dei muscoli degli arti superiori, con la conseguente accelerazione della degenerazione di queste fasce muscolari. I ragazzi purtroppo perdono l’uso delle braccia prima dei vent’anni. Come già accennato la DMD colpisce tutti i muscoli scheletrici, quelli respiratori (diaframma e muscoli intercostali) e il cuore che, con il tempo, si indeboliscono. Fin da piccoli, i pazienti Duchenne devono effettuare periodici monitoraggi, ma con l’avanzare dell’adolescenza la funzionalità respiratoria e quella cardiaca vengono compromesse e diventa necessario ricorrere ad apparecchi di ventilazione assistita e a farmaci per il trattamento degli scompensi cardiaci».
Quali prospettive di cura esistono per questa malattia?
«Ad oggi non esiste ancora una cura risolutiva per la distrofia di Duchenne, ma la messa a punto di un approccio multidisciplinare, che comprende la fisioterapia, la chirurgia ortopedica, la prevenzione cardiologica e soprattutto l’assistenza respiratoria, ha permesso di limitare gli effetti della malattia e di migliorare le condizioni di vita. In un decennio le aspettative di vita sono raddoppiate. L’ultima novità riguardo le terapie è il risultato di uno studio clinico di fase III su 228 ragazzi affetti da Distrofia di Duchenne (DMD) che ha confermato i benefici di ataluren, la prima terapia orale che ripristina la proteina mancante nei casi dovuti a una particolare mutazione (nmDMD). “Ataluren Confirmation Trial” nella Distrofia Muscolare di Duchenne è il più grande studio in doppio cieco, controllato con placebo, mai condotto. Nella sperimentazione, durata 48 settimane, sono stati arruolati pazienti da 7 anni in su che fossero in grado di svolgere il test del cammino dei 6 minuti (6MWT). I risultati del trial hanno dimostrato importanti benefici clinici nei pazienti trattati con ataluren. I risultati più evidenti sono arrivati soprattutto dal gruppo di pazienti, che erano ancora in grado di percorrere tra i 300 e i 400 metri, secondo le misurazioni del test 6MWT. In questo gruppo, che identifica i pazienti che già manifestano segni di debolezza e di declino della forza, la terapia ha portato a un guadagno estremamente rilevante: 47 metri percorsi in più rispetto al gruppo di controllo che non assumeva il farmaco. Il punto più interessante è certamente che nessun paziente in questo gruppo ha perso la deambulazione. Questi risultati corrispondono anche a un miglioramento delle attività quotidiane dei pazienti: un dato molto importante. Anche se non si tratta di una cura definitiva, questa terapia ha dimostrato risultati incoraggianti in 12 mesi, in termini di rallentamento di progressione della malattia. Ora vogliamo valutare gli effetti della terapia a lungo termine e i pazienti sono entusiasti di avere questa opportunità».
L’accesso alla cura è oggi consentito attraverso l’inserimento del farmaco nella lista della legge 648/96, permettendone l’utilizzo nell’ambito di protocolli di sperimentazione, in attesa che si completi l’iter per la commercializzazione. Ataluren ha ottenuto l’autorizzazione dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) nel luglio 2014. Ad oggi più di 500 pazienti nmDMD hanno ricevuto ataluren, la più grande popolazione mai trattata con un agente in grado di modificare il decorso della malattia.
PARENT PROJECT ONLUS SOSTIENE LA RICERCA
Il grande successo ottenuto con questo nuovo farmaco è stato accolto con entusiasmo dalla Comunità scientifica e soprattutto da Parent Project onlus (www.parentproject.it – 800.943.333), l’associazione che riunisce i genitori dei bambini affetti da distrofia muscolare, molto attivi sul territorio con i Centri di ascolto e la collaborazione con i medici e le istituzioni. Fondamentale il loro contributo nella sperimentazione di nuove terapie, dove l’Associazione si fa carico dei rapporti tra pazienti e ospedali. Un traguardo importante è il Registro Pazienti DMD/BMD Italia, il primo database genetico gestito dai pazienti, che ha consentito di accelerare la definizione di nuovi approcci clinici e terapeutici per la distrofia muscolare Duchenne e Becker.
«I dati ottenuti dalle nuove sperimentazioni cliniche rafforzano quello che si sapeva sull’efficacia di questa terapia e certamente l’avere oggi un trattamento che consente quanto meno di rallentare la perdita delle capacità motorie è un grande risultato. Conservare la funzione muscolare e migliorare la qualità della vita è di enorme importanza per tutte le nostre famiglie». Il commento è del presidente di Parent Project onlus, Filippo Buccella, papà di Luca, che da 24 anni convive con la DMD: pur sulla sedia a rotelle, la malattia non gli ha mai impedito di avere una vita normale, anzi “speciale”. Luca si occupa infatti di critica cinematografica ed è traduttore della Walt Disney. «Non vogliamo essere considerati “disabili”, anche se la malattia ci limita molto nei movimenti, ma non ferma la nostra volontà, la nostra intelligenza, la nostra voglia di vivere», dichiara lo stesso Luca. «A volte considero la malattia come un “amico fastidioso”. Ma cerco sempre di superare tutte le difficoltà e i problemi che la malattia comporta, e di vedere il futuro in chiave positiva. Un ringraziamento particolare va ai miei genitori per non avermi mai fatto sentire “diverso”».
di Paola Trombetta