Anche Barak Obama ha deciso di investire ben 215 milioni di dollari nella “Medicine Precision Initiative”. La medicina di precisione, che prevede diagnosi e terapie mirate (target therapy), sta diventando un nuovo approccio clinico ed è particolarmente efficace nella cura dei tumori, soprattutto quelli del sangue. L’Italia è in prima linea grazie alla rete LabNet, realizzata dal GINEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto) che permette ai Centri di Ematologia di condividere le informazioni sulle mutazioni genetiche e i trattamenti mirati. Sull’argomento abbiamo intervistato la professoressa Monica Bocchia, direttore dell’Unità di Ematologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese che fa parte del GINEMA.
La Leucemia Mieloide Cronica è un esempio di successo dell’onco-ematologia di precisione, basata su terapie a bersaglio molecolare che hanno portato a percentuali elevatissime di sopravvivenza, con una qualità di vita paragonabile alla popolazione generale. Potrebbe spiegare perché tanto successo nel trattamento di questa malattia?
«La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) è una forma di tumore del sangue caratterizzata da un’alterazione genetica estremamente specifica, presente esclusivamente nelle cellule malate. La scoperta, all’interno della cellula leucemica, del gene anomalo (BCR-ABL) e della proteina che da esso deriva e che fa ammalare la cellula, risale a molti anni fa e ci ha permesso anzitutto di fare una diagnosi rapida e precisa, con tecniche di biologia molecolare. Da 15 anni disponiamo di farmaci che bloccano l’azione della proteina derivata dal gene BCR-ABL, la tirosin-chinasi, e che per questo sono chiamati “inibitori delle tirosin-chinasi” (TKI). Il capostipite è imatinib, un farmaco intelligente, che colpisce solo la cellula malata, con una “risposta molecolare” libera da malattia, persistente nel tempo. Purtroppo, anche quando otteniamo la miglior risposta molecolare, non possiamo ancora parlare di guarigione: la sospensione della terapia con TKI si accompagna a una ripresa della malattia in oltre il 60% dei pazienti e pertanto questi farmaci devono essere assunti per tutta la vita. Più recentemente, però, abbiamo visto che farmaci di seconda generazione, ancora più attivi nell’inibizione di BCR-ABL, riescono a determinare risposte molecolari più profonde e precoci e questo lascia sperare che in futuro molti più pazienti possano sospendere la terapia senza andare incontro a una ripresa della malattia».
Cosa significa l’ematologia di precisione nella pratica clinica quotidiana?
«Il medico e il biologo oggi dispongono di “armi” di precisione molto potenti e sofisticate, grazie all’identificazione del gene BCR-ABL e della proteina derivata come “bersaglio specifico” all’interno della cellula leucemica e alla successiva scoperta di farmaci in grado di bloccare l’azione di questo bersaglio. Va in questa direzione la Rete Labnet, un esempio di eccellenza nella ricerca e nell’assistenza per il nostro Paese: poter accedere a un dato di biologia molecolare affidabile, permette al medico non solo di seguire l’andamento della malattia in modo molto preciso, ma anche di confrontare i dati dei propri pazienti con altri colleghi. Questa uniformità di valutazione della malattia e della risposta molecolare alla terapia permette di sviluppare molti studi di ricerca nella LMC volti a migliorare sempre più la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti».
Dopo i successi ottenuti nella Leucemia Mieloide Cronica, la ricerca continua a lavorare per conoscere sempre di più le basi molecolari all’origine delle malattie, con l’obiettivo di arrivare alla guarigione. Un esempio è la ricerca sulle cellule staminali. Cosa accadrà nei prossimi anni?
«I successi ottenuti nel trattamento della Leucemia Mieloide Cronica sembravano inimmaginabili fino a pochi anni fa, quando l’unica possibilità di guarire era riservata a quei pochi pazienti che potevano sottoporsi a trapianto di midollo osseo da donatore compatibile. Oggi un paziente in risposta molecolare è un paziente che fa una vita normale assumendo un farmaco per uso cronico. Ma il nostro obiettivo è ancora più ambizioso ed è quello di arrivare a sospendere il farmaco, senza ripresa di malattia. Solo in questo caso possiamo parlare di guarigione. Da poco tempo sappiamo che le cellule “primordiali” che danno origine alla malattia, le cellule staminali di LMC, si riducono moltissimo durante il trattamento con il farmaco TKI di seconda generazione, ma probabilmente una parte di queste cellule “si addormenta” senza essere eliminata del tutto. Queste cellule staminali “residue” sono la fonte da cui può riprendere la malattia dopo la sospensione del farmaco. È però molto difficile riconoscere e quantificare le cellule staminali residue di LMC perché si tratta di numeri piccolissimi e perché sono molto simili alle cellule staminali normali. Riconoscerle ci permetterebbe di identificare con più certezza i pazienti che possono davvero sospendere la terapia, senza rischiare la ripresa di malattia. La ricerca italiana è attivamente impegnata in questo ambito, per mettere a punto metodiche innovative in grado di farci “vedere” le cellule staminali ancora presenti, mediante un normale prelievo di sangue. Le informazioni che potremmo ottenere ci permetterebbero sia di comprendere ancora meglio le basi biologiche della LMC che di ottimizzare la terapia con TKI, avvicinando sempre di più la prospettiva di guarigione».
di Paola Trombetta