«La mamma è morta anni addietro mentre era in dialisi. Anche il nonno materno e una zia se ne sono andati per la stessa malattia, che ha colpito negli anni recenti pure le due mie sorelle. Colpa della patologia renale policistica (ADPKD), una sindrome genetica caratterizzata dallo sviluppo e dall’ingrossamento di cisti piene di liquido nei reni. Causata da un difetto genetico dei cromosomi 16 (PKD1- 85% dei casi) e 4 (PKD2- 15% dei casi), spesso non dà sintomi fino all’età adulta, quando la malattia è già a uno stadio avanzato». A parlare di questa patologia è la dottoressa Luisa Sternfeld Pavia, intervenuta al recente congresso di Roma per celebrare i dieci anni dell’Associazione Italiana Rene Policistico (AIRP), da lei fondata e di cui è presidente, che oggi conta quasi un migliaio di soci. Nell’occasione la sorella Orietta ha raccontato la sua commovente testimonianza di 25 anni di malattia, risolta cinque anni fa grazie all’amore del marito che le ha donato un rene. «Il trapianto è la soluzione definitiva per questi malati e il nostro impegno come associazione è quello di divulgare la conoscenza della malattia per favorire la ricerca di nuove terapie e sensibilizzare la gente alle donazioni di organi», ha puntualizzato Luisa Sternfeld Pavia.
Come riconoscere e diagnosticare precocemente il rene policistico? «Nel momento in cui viene riscontrata una diminuzione della funzionalità renale, purtroppo la compromissione dell’organo è già in fase piuttosto avanzata», conferma la dottoressa. «La formazione e la crescita delle cisti renali determina un aumento delle dimensioni del rene, con ingrossamento anche del fegato e della pancia. Circa la metà dei pazienti raggiunge lo stadio terminale della malattia renale e necessita, in media entro i 54 anni, di una terapia sostitutiva della funzione renale attraverso la dialisi o il trapianto del rene. La malattia, che colpisce membri dello stesso nucleo familiare, porta con sé anche infezioni, dolore, ansia, depressione e di conseguenza difficoltà a svolgere le attività quotidiane, oltre alla compromissione delle relazioni interpersonali, ripercussioni sulla vita sessuale, sociale, lavorativa e sulla decisione di maternità».
Esistono terapie mirate? «La ricerca si è orientata a individuare la causa-effetto tra mutazione genetica e sviluppo della malattia, in particolare per quanto riguarda la formazione delle cisti», spiega la dottoressa Alessandra Boletta, Direttore della Divisione di Genetica e Biologia Cellulare presso IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, rientrata dagli Stati Uniti dove si è da anni occupata di questa malattia. «Il percorso di ricerca ci consente di studiare le mutazioni genetiche e le alterazioni cellulari conseguenti e di poter individuare una soluzione terapeutica mirata a risolvere le alterazioni responsabili dello sviluppo della malattia. La nostra équipe dell’Ospedale San Raffaele, con il sostegno di AIRP, ha avviato uno studio per testare una molecola, duodeossiglucosio, che sembrerebbe rallentare le secrezioni dei reni e bloccare la progressione delle cisti».
«Sono in arrivo anche nuovi farmaci, uno dei quali (torvactan) è appena stato approvato dell’EMA, Agenzia Europea del Farmaco: è in grado di ridurre la crescita delle cisti renali, rallentando così la progressione della malattia», conferma il professor Francesco Scolari, Direttore dell’Unità di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale di Montichiari, presso gli Spedali Civili di Brescia e Professore Associato di Nefrologia all’Università di Brescia. «Fino a oggi i pazienti non hanno avuto a disposizione terapie specifiche in grado di contenere l’avanzamento della malattia: con l’arrivo di queste nuove molecole, per la prima volta sarà possibile modificarne la progressione, migliorando la qualità di vita dei pazienti e preservando la funzione renale».
«È importante poter dare speranza ai pazienti che, fino a questo momento, non hanno beneficiato di terapie risolutive», afferma il professor Loreto Gesualdo, Direttore dell’Unità Nefrologia, Dialisi e Trapianti, Azienda OU Consorziale “Policlinico di Bari” e Professore Ordinario di Nefrologia presso l’Università degli Studi di Bari. «I ricercatori si sono impegnati a sviluppare innovative tecniche diagnostiche e identificare i meccanismi patogenetici per lo sviluppo di nuove terapie, con l’obiettivo di permettere ai clinici una prevenzione e diagnosi più precoci e, quindi, una migliore gestione terapeutica della malattia».
Tutte le informazioni sulla malattia si possono trovare sul sito dell’Associazione AIRP: www.renepolicistico.it
di Paola Trombetta