Sara ha 22 anni. Da 18 mesi lamenta dolore alla vulva, con gravi ripercussioni soprattutto nella sfera sessuale, ma anche psichica. Ha avuto crisi depressive e assunto psicofarmaci. E ha sofferto anche di coliche addominali ed emicrania. Il tutto è iniziato due anni fa, dopo un’ interruzione volontaria di gravidanza, vissuta con molto stress. Da allora un calvario, tra forti dolori e visite estenuanti con ginecologi che le hanno prescritto terapie antibiotiche per presunte infezioni, ma anche farmaci per controllare il dolore (lidocaina e gabapentin), oltre all’uso di creme e ovuli vaginali.
«Quando arriva al Policlinico San Matteo di Pavia, basta una semplice visita per valutare le precarie condizioni della vulva: capiamo subito che di tratta di vulvodinia, un’infiammazione del tessuto vulvare che lo rende completamente atrofico, come se si trattasse di una donna in post-menopausa», puntualizza la dottoressa Barbara Gardella, ricercatore dell’Università di Pavia, che l’ha subito presa in cura. «Dalla cistoscopia si evidenzia anche la presenza di macchie rossastre a livello della vescica, sintomo di cistite interstiziale. Un quadro clinico complesso che è stato valutato nel nostro centro, che si occupa in modo specifico di Vulvodinia, dove operano diverse figure professionali (ginecologo, urologo, terapista del dolore, psicosessuologo). Viene proposta una cura su più fronti: pillola estro-progestinica con dienogest, che riduce l’infiammazione e migliora il trofismo dei tessuti, sedute di Tens per rilasciare la muscolatura della vulva, e trattamento vaginale con gel a base di estriolo e testosterone in crema. Su quest’ultimo trattamento (estriolo + testosterone) è partita una sperimentazione nel nostro Centro su una cinquantina di donne affette da questo disturbo, trattate tre volte la settimana per 12 settimane, con risultati che fanno ben sperare».
Soffrire di vulvodinia come Sara può diventare un vero incubo per le donne, soprattutto se giovani: il 70% delle pazienti con questo disturbo ha meno di 35 anni. Si tratta di una patologia che interferisce profondamente con la qualità di vita, rischiando di compromettere la sfera affettiva, sessuale e persino la fertilità futura. Sull’argomento si sono confrontati ginecologi, endocrinologi e psicosessuologi in occasione del congresso “Il ruolo degli estro-progestinici nella gestione del dolore pelvico femminile”, organizzato a Milano dalla Sipgo, Società Italiana per la Psicosomatica in Ginecologia e Ostetricia, con il contributo della casa farmaceutica Effik.
«Se la vulvodinia interessa il 15% delle donne, ben più diffusa (45%) è la dispareunia, ovvero il dolore durante i rapporti, causato da atrofia e mancata lubrificazione dei genitali che rende dolorosa la penetrazione», commenta la professoressa Rossella Nappi, professore associato di Ginecologia all’Università di Pavia e responsabile del Servizio di Endocrinologia ginecologica e della Menopausa al Policlinico San Matteo di Pavia, coordinatrice del congresso in veste di presidente Sipgo. «Per non parlare del più comune dolore mestruale, presente in circa la metà delle donne in età fertile, soprattutto in presenza di flussi mestruali abbondanti, che comporta una riduzione delle performance scolastiche e lavorative per tre donne su 10. Anche la sindrome premestruale, caratterizzata da un insieme di sintomi che si ripresentano ogni mese prima delle mestruazioni, può associarsi al dolore mestruale e compromettere in circa il 35% dei casi le attività lavorative, sociali e di relazione».
«In realtà la donna – continua Nappi – dall’adolescenza in poi, si confronta con il dolore pelvico: a partire dalla prima mestruazione per arrivare all’esperienza chiave del parto. Il dolore mestruale, e in generale il dolore pelvico, connota in negativo la vita della donna, interferendo con le attività quotidiane, le performance scolastiche e sportive, l’efficienza lavorativa e la vita di relazione». Come si può controllare questo dolore? «La contraccezione ormonale estro-progestinica in generale, e in particolare l’uso di progestinici a forte azione antiproliferativa sull’utero come il dienogest, rappresenta uno strumento importante di controllo del dolore, in quanto agisce sui fattori dell’infiammazione. L’uso della contraccezione ormonale riduce di circa la metà il dolore mestruale, con un significativo miglioramento delle performance lavorative e del senso di benessere delle donne».
La maggior parte degli studi dimostra che le oscillazioni della soglia di dolore sono legate alle fluttuazioni degli estrogeni, importanti modulatori del sistema oppioide, che mediano la percezione del dolore. Ciò spiega perché nei giorni che precedono la mestruazione e nel corso della mestruazione stessa, il dolore, sia alle pelvi che alla testa, sia più percepito dalla donna, a causa della caduta dei livelli di estrogeni nel sangue, come si verifica anche in modo permanente nella menopausa, una stagione della vita caratterizzata da un aumento del dolore diffuso a vari zone del corpo (testa, osteoarticolazioni…).
Una relazione che assume un’importanza fondamentale in gravidanza, periodo in cui le concentrazioni di estrogeni aumentano vertiginosamente per potenziare la donna sul versante analgesico nel corso della gestazione e in preparazione al dolore del parto. Secondo dunque i livelli nel sangue, gli estrogeni possono avere un ruolo antidolorifico o pro dolorifico, rendendo la salute della donna più vulnerabile in certe situazioni.
La contraccezione ormonale può essere una valida soluzione anche in caso di patologie femminili come la policistosi ovarica e l’endometriosi. Chi soffre di endometriosi, a seguito dei dolori pelvici che ne derivano, è spesso costretta a rinunciare ai propri impegni quotidiani, perdendo in media 5 giorni lavorativi al mese. Lo studio “Impact of endometriosis on quality of life and work productivity”, condotto su circa 1500 donne in 10 Paesi, tra cui l’Italia, ha dimostrato come il dolore pelvico comporti una perdita di produttività lavorativa di circa 10 ore nella settimana delle mestruazioni, soprattutto nelle donne con una diagnosi di endometriosi, che interferisce profondamente non soltanto con la fertilità futura della donna, ma soprattutto con la sua qualità di vita Si tratta di una patologia in aumento, con una prevalenza nelle donne in età fertile del 3-15%, ma che raggiunge picchi fino al 30-40% nelle pazienti con dolore pelvico cronico o problemi di infertilità.
«L’endometriosi è una malattia cronica caratterizzata dall’impianto in sede anomala (ovaio, tuba, peritoneo, vagina, intestino) di tessuto endometriale, quello che, regolarmente collocato all’interno del corpo uterino, sfaldandosi ogni mese, genera il ciclo mestruale. Questi ripetuti sanguinamenti sono causa di infiammazioni croniche, aderenze ed esiti cicatriziali che spesso compromettono seriamente anche la capacità riproduttiva», spiega la dottoressa Annamaria Mattei, specialista in Ostetricia, Ginecologia ed Endocrinologia Generale e Direttore del Centro studi Sterilità presso la Clinica Macedonio Melloni di Milano. «Molteplici evidenze ci fanno affermare che la contraccezione ormonale possa essere consigliabile nelle pazienti con endometriosi. L’assenza di ciclo mestruale, che si ottiene se la contraccezione ormonale viene assunta “in continuo”, inibisce il sanguinamento anomalo degli impianti endometriosici, favorendo un miglioramento della condizione clinica delle pazienti e una riduzione spesso significativa del dolore pelvico. Questi effetti, associati all’azione antiinfiammatoria e antalgica promossa dalla pillola, contribuiscono efficacemente alla preservazione della fertilità in queste giovani donne».
di Paola Trombetta