“Sfrutta l’estate, esponiti al sole, produci vitamina D e allontani il rischio di osteoporosi”. Sembra un consiglio risaputo, tuttavia ribadirlo non guasta. Almeno basandosi sui dati di una recente indagine condotta dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna fra 600 italiane fra i 35 e i 65 anni. Tutte apparentemente consapevoli che l’avanzare dell’età e l’arrivo della menopausa sono i principali responsabili della fragilità ossea e che la vitamina D, introdotta con la dieta (il cui apporto tuttavia non è adeguatamente sufficiente), e il calcio costituiscono la prevenzione più efficace. Eppure solo 3 donne su 5 (dunque all’incirca il 12%) fa uso di questa vitamina benefica per le ossa a scopo cautelativo o come cura, mentre ne fa ricorso chi soffre di osteoporosi in aggiunta alla terapia, su prescrizione medica o dello specialista. «La vitamina D è più di una “semplice” vitamina», spiega la dottoressa Michela Barichella, responsabile della Struttura di Dietetica e Nutrizione Clinica ICP di Milano. «La sua particolare struttura steroidea la rende un vero e proprio ormone, una volta che è stata attivata, con i suoi recettori presenti in tutti gli organi e in particolare nei linfociti T e macrofagi, ovvero le cellule fondamentali del nostro sistema immunitario. Per questo motivo svolge un ruolo fondamentale in tantissime patologie». I più recenti studi epidemiologici condotti in Europa e negli Stati Uniti hanno confermato che nei soggetti con minori quantità di vitamina D si è riscontrata una maggiore incidenza di diabete, rischio cardiovascolare, malattie autoimmuni, ma anche di tumori, in particolare al colon e alla mammella. «Sembra infatti che la vitamina D agisca come modulatore del sistema immunitario e intervenga regolando i processi proliferativi delle cellule», puntualizza il professor Andrea Giustina, responsabile della Cattedra di Endocrinologia all’Università di Brescia e presidente del CUEM (Clinical Update in Endocrinologia e Metabolismo). «Solo un paio di studi (uno in Europa e l’altro in America) confermano i benefici dell’integrazione con vitamina D sulle malattie cardiovascolari, autoimmuni e su alcuni tipi di tumore. Numerosi invece, sono gli studi, il più recente dei quali è stato pubblicato sul British Medical Journal, sull’integrazione della vitamina D nella dieta e la riduzione delle fratture. Un esempio eclatante è il famoso “paradosso scandinavo”: in questi Paesi, come intervento socio-sanitario, si è deciso di fortificare gli alimenti con la vitamina D per compensare la scarsa esposizione solare e ridurre così il rischio di fratture nella popolazione».
E nel nostro Paese, cosa si fa per favorire il giusto apporto di vitamina D? «Si cerca di raccomandare, soprattutto nella stagione estiva, una regolare esposizione ai raggi del sole (bastano 15-20 minuti nelle ore più calde, 2-3 volte a settimana), ricordando che la quantità di irradiazione necessaria alla sintesi della vitamina D e molto inferiore a quella che garantisce l’abbronzatura», sottolinea il professor Giustina. «La vitamina D prodotta, durante l’esposizione solare nei mesi caldi, viene immagazzinata nel tessuto adiposo e utilizzata dall’organismo nei mesi invernali, ma non è sempre sufficiente a garantire un normale apporto vitaminico nei mesi “freddi”. Anche in Italia si sta avviando, pur in maniera ancora molto timida, la fortificazione degli alimenti con questa vitamina. Soprattutto in relazione all’invecchiamento della popolazione, che non sempre si espone in modo adeguato al sole o consuma alimenti ricchi di questa vitamina (olio di fegato di merluzzo, salmone, uova)».
Uno studio dell’Osservatorio Nutrizionale Grana Padano, condotto su 1000 persone in età avanzata, attesterebbe che sopra i 65 anni si introducono giornalmente 3,7 microgrammi di vitamina D contro i 10 microgrammi consigliati. Un dato da non sottovalutare, considerando che in alcune malattie neurodegenerative tipiche dell’invecchiamento, come l’Alzheimer e il Parkinson, è stata dimostrata una carenza di vitamina D e che l’Italia è il secondo paese al mondo per longevità con oltre 12 milioni di ultra 65enni, di cui quasi 16 mila ultracentenari, circa un milione di malati di Alzheimer e più o meno 250 mila affetti da malattia di Parkinson. Dunque, quali sono i buoni consigli per incrementare l’apporto di vitamina D e cercare di prevenire le possibili patologie ossee, immunitarie e neurodegenerative correlate? Basterebbero 5 buone regole. Eccole:
- Fare una passeggiata tutti i giorni al sole per attivare la vitamina D, esponendosi alla luce solare, non filtrata da vetri, con la maggior superficie del corpo possibile, senza crema protettiva e per un periodo variabile in base al proprio fototipo. Circa 10-15 minuti al giorno in estate e 20-30 minuti in inverno tra le 11 e le 15 quando i raggi UV sono più attivi.
- Consumare due porzioni di latticini al giorno, come latte o yogurt anche parzialmente scremati, e aggiungere un cucchiaio di formaggio grattugiato sui primi piatti.
- Mangiare ogni settimana 3 porzioni di pesce, variando le qualità (tonno, trota, merluzzo, anguilla) in cui la vitamina D è più presente.
- Consumare due uova a settimana e una volta un primo di pasta all’uovo.
- Includere nella dieta, una volta alla settimana, due porzioni di formaggio stagionato o fresco, in sostituzione del secondo piatto.
di Francesca Morelli e Paola Trombetta