FRAGILITA’ OSSEA: QUANTO NE SANNO LE DONNE ITALIANE?

La ricerca ha rivelato un quadro preciso della situazione italiana: l’osteoporosi è conosciuta da otto donne su 10 che la considerano una patologia “seria”, come pure è diffusa la consapevolezza (nove donne su 10) che, con l’avanzare dell’età, le ossa diventano più fragili. La percezione della gravità è legata al livello di conoscenza della malattia: l’osteoporosi è ritenuta grave soprattutto da chi soffre personalmente di fratture ricorrenti e dalle donne più anziane (tra 70 e 79 anni). Una donna su 4 non la ritiene grave e molte addirittura non sono consapevoli di essere a rischio. Per questi motivi la sensibilizzazione sulla malattia diventa fondamentale.

Rispetto ai fattori di rischio, il 51% ha indicato la menopausa precoce come principale causa di osteoporosi severa, più del fisiologico avanzare dell’età (42%) o dell’alimentazione sbilanciata (37%).

«La predisposizione del sesso femminile alla fragilità ossea dipende dal fatto che le donne possiedono una minore massa ossea rispetto agli uomini e la carenza di estrogeni, tipica della menopausa, ne determina una perdita anticipata e maggiore rispetto agli uomini», spiega la dottoressa Giuseppina Resmini, del Board scientifico della Campagna “Stop alle Fratture”. «Per questo, sono più a rischio le donne in menopausa precoce, un target molto più giovane rispetto alla signora anziana dal dorso curvo con dolore diffuso a cui, invece, siamo abituati a pensare. In più le donne anche giovani assumono spesso farmaci, come il cortisone e gli inibitori dell’aromatasi dopo un tumore al seno, che riducono la massa ossea. Nei nostri ambulatori, ci confrontiamo con pazienti giovani che arrivano in condizioni abbastanza critiche, ovvero in presenza anche di una o più fratture, spesso asintomatiche come quelle vertebrali. Il principale timore di queste pazienti, a fronte di un’aspettativa di vita di altri 30/40 anni, è quello di una possibile perdita parziale o totale dell’autonomia nelle comuni attività della vita quotidiana. Ecco, allora, perché è assolutamente necessario individuarle precocemente per avviare un adeguato iter diagnostico-terapeutico finalizzato a ridurre il rischio di fratture».

Un altro dato importante che emerge dalla ricerca riguarda la percentuale di donne con una storia, personale o familiare, di fratture ricorrenti: problematica che riguarda il 31% dell’intera popolazione femminile. Sono soprattutto le over 70 anni a essere più coinvolte (28%), rispetto alla fascia delle 50-59enni (11%) e delle 60-69enni (13%). «La fragilità ossea è difficile da riconoscere in quanto generalmente è asintomatica ed esordisce con la frattura anche in assenza di traumi, continua la dottoressa Resmini, ma dobbiamo sottolineare come una donna giovane che presenti una frattura da fragilità sarà maggiormente esposta al rischio di incorrere in ulteriori fratture. Fondamentale è la conoscenza dei fattori di rischio, per poterli individuare ed eventualmente modificare, ma soprattutto è importante che tutte le donne che abbiano riportato una prima frattura da fragilità siano considerate a elevato rischio di ri-frattura e, per questo, inserite in un programma di monitoraggio e trattamento. Come prova la nostra ricerca, invece, nel nostro Paese il problema è ancora ampiamente sottovalutato e di conseguenza, pur potendo disporre di farmaci estremamente efficaci nel prevenirne le conseguenze fratturative, molte pazienti non hanno ancora accesso ai trattamenti».

Molta confusione c’è, inoltre, anche sulla gestione di una frattura. Fa riflettere infatti che, a seguito di essa, solo un terzo delle over 50 (30%) avrebbe un atteggiamento reattivo, mentre la maggioranza relativa (42%) tenderebbe a essere arrendevole, attribuendo all’avanzare dell’età la “colpa” di quanto accaduto. Addirittura tre italiane su 10 non darebbero peso all’evento perché “può capitare”. In quest’ambito, il target più a rischio sembra essere quello delle 60-69enni, tra le quali solo una su 4 dichiara di prendere in considerazione che ci può essere un problema dietro la comparsa di una frattura.

«La prima arma per fronteggiare l’osteoporosi severa e il rischio di fratture – precisa il dottor Alfredo Nardi del Board scientifico della Campagna “Stop alle Fratture”, è sicuramente la prevenzione della fragilità ossea attraverso una corretta informazione. Questa condizione deve essere ben nota alle pazienti che vanno informate su come si possono evitare le fratture che si potrebbero ripercuotere sulla qualità di vita, riducendone l’autonomia e, soprattutto in quelle di femore, aumentando la disabilità. Noi specialisti, anche attraverso un’iniziativa quale la Campagna “Stop alle fratture” abbiamo la responsabilità di sensibilizzare la popolazione femminile soprattutto sulle fratture vertebrali, le più comuni dovute alla fragilità ossea, ma ancora ampiamente sotto diagnosticate e non trattate. Basti pensare che ogni 22 secondi, nel mondo, si verifica una nuova frattura vertebrale e che, addirittura, il 50% delle donne ultraottantenni subisce una frattura vertebrale. Una donna su cinque con una frattura vertebrale, nell’arco di 12 mesi, andrà incontro a una nuova frattura».

In caso di sospetto di osteoporosi, il medico di famiglia risulta l’interlocutore preferito per i due terzi delle donne intervistate (66%), specie tra coloro che dichiarano di avere una scarsa o nulla conoscenza della patologia. Quando, invece, l’osteoporosi risulta conclamata, la maggior parte delle intervistate (9 donne su 10) si rivolgono allo specialista e al supporto dei farmaci consigliati; mentre una quota più contenuta (6 intervistate su 10) adotterebbero strategie di prevenzione, come la ginnastica per irrobustire la muscolatura, la riduzione degli ostacoli potenzialmente pericolosi nella propria abitazione (tappeti e spigoli) o si doterebbero di un bastone per camminare. «A questo proposito – prosegue il dottor Alfredo Nardi – sono tre i consigli che mi sento di dover dare alle pazienti con osteoporosi severa. Il primo è che si rivolgano con fiducia a uno specialista di riferimento nell’ambito delle malattie metaboliche dell’osso e assumano correttamente i farmaci prescritti, in grado di dimezzare, in tempi relativamente brevi, il rischio fratturativo. Il secondo è che eliminino le situazioni che possono favorire le cadute come, ad esempio, quelle legate all’ambiente in cui si vive (pavimenti scivolosi, scarsa illuminazione, calzature non idonee…). Il terzo, infine, è quello di praticare con regolarità una ginnastica dolce e camminare, per almeno un’ora, tutti i giorni allo scopo di preservare il tono e il trofismo muscolare e migliorare anche l’equilibrio».

Per ulteriori informazioni si può consultare il sito web www.stopallefratture.it, dove è possibile eseguire il DEFRA Test, che consente di conoscere il rischio di frattura nei successivi 10 anni. Infine, viene fornito un consulto personalizzato, attraverso e-mail, da parte di uno specialista della propria area geografica di appartenenza.

di Paola Trombetta

 

18 MILA DONNE OGNI ANNO A RISCHIO DI DISABILITA’

Sono a rischio di osteoporosi, ma non lo sanno: è il problema di molte italiane che si trovano prima o poi a fare i conti con questa malattia invalidante a causa di familiarità, una costituzione minuta, o abitudini e stili di vita scorretti quali una dieta carente di calcio e ricca di proteine specie animali o di fibre (come la crusca) che riducono l’assorbimento del calcio, magari accompagnata da un eccessivo consumo di sigarette, alcol e caffeina e da ridotta pratica fisica. A fare le spese, di queste inavvertenze e disinformazione, è la salute delle ossa: più fragili, stando all’esame specifico che ne misura la densità (densitometria) in ben tre donne su 4, contro meno di un quinto che godrebbe di ossa robuste. Lo rivela un’indagine, durata 4 anni, condotta dalla Fondazione per l’Osteoporosi Piemonte e dalla Città della Salute e della Scienza di Torino col contributo della Compagnia di San Paolo, la quale attesta anche che fra le donne di oltre 65 anni, più del 33% è colpita da osteoporosi, il 47% da osteopenia e circa il 17% è andata incontro a una frattura non traumatica.

A preoccupare sono soprattutto implicazioni e conseguenze della malattia – 18 mila casi all’anno di disabilità al femminile per una frattura di femore da osteoporosi – destinati a raggiungere presto numeri da “pandemia silenziosa”, come ormai viene definita la malattia perché non dà avvisaglie, ma si annuncia con una “rottura” quando è tardi. A rischio di frattura, oltre al femore, sono però anche le vertebre, i polsi, l’omero. Con costi onerosi, che non incidono solo sulla qualità della vita – «Il 50% delle persone con frattura di femore – commenta Claudia Matta, presidente della Fondazione – subisce una forte riduzione della propria autosufficienza con ospedalizzazioni a lungo termine nel 20% dei casi ed esiti talvolta nefasti in pazienti anziane, ma anche sul sistema sanitario nazionale (SSN): 6.8 bilioni di euro ogni 5 anni per trattare le sole fratture da femore. Invece una diagnosi precoce e una terapia adeguata, preventiva, potrebbero ridurre il rischio di fratture del 50-70% e fare risparmiare all’incirca 400 euro a persona al SSN.

A cos’è dovuta, allora, questa criticità? «Il problema dell’osteoporosi – dichiara Giancarlo Isaia, Direttore della Struttura Complessa Geriatria e Malattie metaboliche dell’osso della Città della Salute e della Scienza di Torino e Presidente della Società Italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro – è ampiamente sottovalutato e, di conseguenza, pur potendo disporre di farmaci estremamente efficaci per ridurre il rischio di fratture, molti pazienti non hanno accesso ai trattamenti e vanno incontro a eventi che avrebbero potuto essere prevenuti». La risposta concreta all’incidenza e al contenimento della malattia – conclude il direttore – sta in una sempre maggiore attenzione al problema e in una più efficace azione di sensibilizzazione. (Francesca Morelli)

 

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