Dopo il riconoscimento, sancito dalla Corte Costituzionale lo scorso 9 aprile, della legittimità di praticare la fecondazione eterologa anche in Italia, si attende nei prossimi giorni la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale che darà il via libera, anche nel nostro Paese, alle coppie sterili di procreare con gameti “donati”. Esistono oggi in Italia le condizioni per garantire questa possibilità? Da dove provengono i gameti che potrebbero essere utilizzati dalle coppie infertili? Sulla delicata tematica hanno dibattuto ginecologi, giuristi, biologi, intervenuti al convegno: “La tutela della salute per le coppie infertili e sterili dopo le sentenze della Corte Costituzionale”, promosso dall’Associazione Hera Onlus per la ricerca, la prevenzione e la cura dell’infertilità, dall’Associazione SOS Infertilità Onlus e da Cittadinanza Attiva, che si è svolto presso la sala Aldo Moro di Palazzo Montecitorio, luogo simbolo della funzione legislativa del nostro Paese.
«I nostri centri di Procreazione medicalmente assistita (PMA) sono pronti a garantire alle coppie sterili la possibilità di avere un figlio con gameti di donatori», puntualizza il dottor Antonio Guglielmino, direttore dell’Istituto di Medicina e Biologia della riproduzione UMR/HERA di Catania. «Prima della legge 40, che vietava la fecondazione eterologa, nei nostri centri avevamo già le banche degli spermatozoi, frutto di donazioni volontarie. Poi ci siamo organizzati anche per la conservazione dei gameti femminili, una procedura più complessa, ma ormai praticata abitualmente per congelare gli ovociti prodotti in sovrannumero, una parte dei quali, soprattutto nei casi di coppie che hanno già ottenuto dei figli, potrebbe oggi venire donata (“freezing egg sharing”, ovvero “condivisione degli ovociti congelati”). E già abbiamo molte proposte di donne che sono disponibili a donare i propri ovociti congelati a coppie sterili».
Per diffondere la cultura della donazione e informare le persone sulla possibilità di conservare i propri gameti, da utilizzare in parte per sé e in parte magari per coppie sterili, è nata l’Associazione Italiana per la Donazione altruistica dei Gameti (AIDAGG) che ha l’obiettivo di promuovere, tra le persone fertili, la cultura della donazione che deve essere considerata un gesto “nobile”, non un atto da nascondere.
A differenza del passato, quando si donavano soprattutto gli spermatozoi, oggi la richiesta principale (90%) riguarda i gameti femminili (ovociti). «Gli uomini che un tempo avevano problemi di infertilità (oligospermia), vengono oggi sottoposti a cure specifiche e con il metodo ICSI (Intracytoplasmatic Sperm Injection), possono generare figli anche con un solo spermatozoo, iniettato direttamente nell’ovocita», spiega la dottoressa Laura Rienzi, presidente della Società Italiana di Embriologia, Riproduzione e Ricerca (SIERR). «Più complessa è la situazione al femminile, in quanto richiede la stimolazione ovarica e un intervento chirurgico per prelevare gli ovociti. Sempre più tardivamente le donne decidono di avere un figlio e ricorrono alla PMA, magari dopo i 40 anni (30%), tra 40 e 42 anni (16%), dopo i 42 anni (7%), con probabilità di successo molto ridotte. Del resto la biologia umana insegna che il periodo più fertile della donna è tra i 20 e 30 anni. Ed è a questa età che gli ovociti femminili sono più fertili. Anche il successo della PMA dipende molto dal buono stato degli ovociti».
Ogni anno in Italia si congelano circa 20 mila ovociti, di cui una minima parte vengono utilizzati per la PMA. «La restante parte potrebbe rientrare nella logica della “donazione”, per consentire a quelle donne che non producono più gameti propri di avere un figlio», suggerisce il dottor Andrea Borini, presidente della Società Internazionale di Fertilità e Sterilità (SIFES). «Tra queste: le donne che vanno in menopausa precoce, chi soffre di endometriosi grave, chi ha malattie genetiche, chi è sottoposta a chemioterapia. In quest’ultimo caso i centri di cura dovrebbero far conoscere alle donne la possibilità di conservare i propri gameti prima della chemioterapia, per poterli poi utilizzare a guarigione avvenuta. Molte donne che hanno avuto un tumore e hanno perso la capacità riproduttiva si sono rivolte ai centri di PMA per avere un figlio: ma non abbiamo potuto prenderle in carico perché la Legge 40 vietava la fecondazione eterologa. E sono state costrette a recarsi all’estero. Oggi finalmente anche queste donne avranno una chance di poter procreare in patria, con la sicurezza igienico-sanitaria che in altre nazioni non sempre viene garantita. I centri di PMA si stanno organizzando con precise regole che dovranno stabilire le condizioni per accedere alla fecondazione eterologa. Tra queste, la sterilità di almeno un membro della coppia, l’età della donna ricevente che non deve superare i 50 anni, le coppie che, per motivi genetici o malattie di altro genere, non riescono a produrre embrioni sani o hanno avuto aborti ripetuti nei cicli di PMA, le donne che hanno avuto un tumore e dopo la chemioterapia hanno perso la capacità riproduttiva. Per quanto riguarda il donatore, deve mantenere l’assoluto anonimato, come già stabilito dai Decreti legislativi in tema di donazione di organi e non può rivendicare nulla nei confronti del nascituro». A garanzia delle future donazioni, è stato istituito un apposito Registro, presso l’Istituto Superiore di Sanità, che regolamenterà per il futuro questa delicata materia. I gameti donati saranno sottoposti a una serie di analisi per evidenziare l’assenza di infezioni e alterazioni genetiche, prima di essere congelati e conservati in apposite banche.
di Paola Trombetta