Esporsi al sole in modo intenso e intermittente, magari durante una vacanza “mordi e fuggi” ai tropici e senza un’adeguata protezione solare, può diventare un fattore di rischio per sviluppare un melanoma, il secondo tumore più diffuso dopo quello al seno nelle donne. Sono 200mila i nuovi casi all’anno, di cui 9 mila in Italia: l’incidenza del melanoma è aumentata del 30% negli ultimi dieci anni, interessando anche la fascia d’età sotto i 40 anni. Se diagnosticato in fase iniziale, ha una guarigione del 95%. In caso contrario può originare metastasi e la mortalità è elevata. Uno studio, pubblicato di recente su The Lancet Oncology e condotto su 3.222 pazienti, ha dimostrato l’efficacia del farmaco Vemurafenib nel trattamento e nella sopravvivenza in casi di metastasi e mutazione del gene BRAF: il 52% sopravvive dopo 12 mesi e il 36% dopo 18 mesi.
Per fare il punto su queste nuove terapie e sulla prevenzione del melanoma, abbiamo intervistato la dottoressa Paola Queirolo, responsabile del Team melanoma dell’IRCCS San Martino di Genova e presidente dell’Intergruppo Melanoma Italiano (www.melanomaimi.it)
Ci sono soggetti più a rischio di sviluppare il melanoma?
«Chiunque può essere a rischio di sviluppare il melanoma, ma alcune persone hanno un rischio maggiore. Avere una storia familiare di melanoma accresce il rischio: il 5–10% dei pazienti con diagnosi di melanoma ha un parente che ha avuto la stessa malattia. Chi ha un parente di primo grado (madre, padre, fratello o sorella) a cui è stato diagnosticato il melanoma, presenta più del doppio delle probabilità di sviluppare la malattia. Anche i soggetti con pelle chiara, sensibile ai raggi solari e predisposta a scottature, e con un numero di nei sulla pelle al di sopra della media, corrono un rischio maggiore di sviluppare il melanoma, specialmente le persone che si espongono di frequente al sole e fanno uso di lampade abbronzanti. Viceversa, le persone con pelle scura molto pigmentata presentano meno probabilità di sviluppare il melanoma. L’età media dei pazienti con diagnosi di melanoma è intorno ai 50 anni. Il 20% dei casi viene riscontrato in pazienti di età compresa tra 15 e 39 anni. Sebbene il melanoma possa presentarsi in qualsiasi parte del corpo, gli uomini sembrano avere più probabilità di svilupparlo sul tronco (ovvero sul petto o sulla schiena), mentre le donne tendono a svilupparlo maggiormente sulle gambe».
Esistono campanelli d’allarme e come si distingue un neo normale da un melanoma?
«Osservare i propri nei e è un modo per individuare eventuali cambiamenti anomali che devono suggerire una visita dallo specialista. Un metodo semplice per fare questa valutazione è denominato “ABCDE”, le prime lettere dell’alfabeto che identificano gli elementi-chiave per riconoscere la trasformazione di un neo preesistente in un melanoma. Ecco nel dettaglio:
• Asimmetria: una metà del neo è diversa dall’altra;
• Bordo: i bordi del neo sono scarsamente definiti e spesso delineati in maniera irregolare, indentata o offuscata;
• Colore: il colore non è uniforme e possono essere presenti ombre di nero, marrone e marrone chiaro. Si possono osservare anche aree di bianco, grigio, rosso, viola o blu;
• Diametro: si vede una variazione delle dimensioni, generalmente un aumento;
• Evoluzione: modificazioni evidenti nell’arco di poco tempo».
Se da un lato è importante fare diagnosi precoce, dall’altro è possibile combattere il melanoma con la prevenzione. In vista dell’estate, quale messaggio di prevenzione possiamo dare?
«Innanzitutto occorre fare informazione. Se il tumore è diagnosticato nei suoi primi stadi il solo intervento chirurgico potrebbe essere risolutivo. Occorre da un lato aumentare le diagnosi precoci e dall’altro ridurre l’incidenza del melanoma.
Per aumentare le diagnosi precoci sarebbe sufficiente:
1) andare dal dermatologo almeno una volta all’anno;
2) osservare i propri nei secondo il metodo dell’ABCDE, di cui abbiamo detto sopra, rivolgendosi al dermatologo in caso di nei sospetti. La prevenzione inizia sensibilizzando, sin da piccoli, sui rischi dell’esposizione al sole e invitando a:
1) evitare le “esposizioni selvagge”, ad esempio quelle intermittenti e intensive concentrate nei 7 giorni di vacanza estiva, evitando in ogni caso il sole tra le 12 e le 16, utilizzando alte protezioni e ricordandosi di proteggere i bambini, che costituiscono l’anello debole della catena;
2) rinunciare alle lampade abbronzanti, che sono dannose per il tumore della pelle come il fumo di sigarette lo è per il tumore al polmone».
L’esito del melanoma è influenzato dallo stadio di malattia al momento della diagnosi. Quanto è possibile intervenire per curare il melanoma?
«La prognosi dei pazienti nelle fasi iniziali di malattia, trattati tempestivamente, è eccellente: se individuato in tempo, il melanoma va spesso incontro a guarigione definitiva grazie a un approccio solo chirurgico. Se invece la malattia si diffonde ad altri organi, come fegato, polmoni, ossa e cervello, il melanoma metastatico diventa molto difficile da curare e la sopravvivenza media dei pazienti risulta essere inferiore ai 9 mesi, con una mortalità a 5 anni dell’85%».
Oggi è possibile identificare il tipo di tumore. E in presenza di una particolare forma, con la mutazione del gene BRAF, sembrano esserci nuove opportunità terapeutiche. Può dirci qualcosa a proposito?
«Grazie allo sviluppo di test diagnostici molecolari sempre più sofisticati si possono individuare le diverse alterazioni genetiche, responsabili della crescita del tumore, e somministrare farmaci molecolari specifici. Per questo è fondamentale la collaborazione tra l’oncologo e l’anatomo-patologo. E’ quest’ultimo, infatti, che esegue il test ed è in grado di dare l’indicazione sul tipo di farmaco più utile per il paziente. In Italia esistono diversi laboratori in grado di eseguire il test per evidenziare la mutazione di BRAF. Per garantire l’esecuzione del test, anche ai pazienti che afferiscono a centri dove non è disponibile questa analisi, è stato attivato un network, il BRAFlab, per la determinazione della mutazione del gene BRAF in pazienti con melanoma, afferenti ad altri Centri Oncologici. In presenza di questa mutazione, è oggi disponibile il farmaco Vemurafenib, la prima terapia orale per il melanoma metastatico, in grado di bloccare la proteina mutata BRAF, coinvolta nella proliferazione delle cellule tumorali, e di apportare in pochi giorni un netto miglioramento delle condizioni cliniche e un’importante riduzione delle metastasi. Questo farmaco è in grado di agire rapidamente anche in presenza di un volume tumorale importante, con una riduzione o stabilizzazione della massa tumorale in circa l’80% dei pazienti. Gli studi clinici di Fase II e III hanno dimostrato come la media di sopravvivenza dei pazienti trattati con Vemurafenib sia di 13-16 mesi, probabilmente la più alta mai riscontrata nel melanoma metastatico, ben lontana dal 6% di qualche anno fa. Sono risultati che fanno di questo farmaco un’importante arma per il trattamento del melanoma in stadio avanzato».
di Paola Trombetta