«Alzarsi la mattina è sempre stato un problema. Mi sentivo stanca e mi mancava l’energia appena facevo il minimo sforzo. Il caldo dell’estate poi mi rendeva sempre più debole e insofferente. Finché un giorno ho avuto un malore per strada. E al Pronto Soccorso dove mi hanno ricoverata, dopo aver fatto i dovuti esami, hanno capito la mia malattia, mai diagnosticata prima: ipotiroidismo, ovvero mal funzionamento della tiroide, quella piccola ghiandola, alla base del collo, che mette in moto l’intero organismo». Da dieci anni Laura, quasi 50 enne, è in cura con l’ormone tiroideo LT4 (levotiroxina), che oggi si trova in commercio con una nuova formulazione liquida, in capsule gelatinose, più maneggevole e a più rapida azione.
«Nell’ipotiroidismo è fondamentale riuscire a trovare il giusto dosaggio del farmaco (levotiroxina) per compensare la carenza di ormone LT4, causata dal mal funzionamento della tiroide», spiega il professor Enrico Papini, direttore dell’Unità di Endocrinologia e Malattie metaboliche dell’Ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale e responsabile scientifico dell’Associazione Medici Endocrinologi (www.associazionemediciendocrinologi.it) .
«La terapia con levotiroxina è sempre stata considerata “semplice“, con una compressa la mattina a digiuno, almeno 30 minuti prima della colazione. Una recente indagine DOXA ha invece evidenziato le difficoltà che le persone malate devono affrontare ogni giorno: il 40% degli intervistati ha infatti riferito che la terapia è insufficiente o eccessiva e spesso non si riesce a raggiungere il dosaggio di ormone ottimale». A risentirne sono soprattutto le donne, che rappresentano l’80% di tutti i malati. Hanno in media 40 anni, con una vita particolarmente attiva, sia professionale che familiare, e forse per questa loro iperattività hanno maggiori difficoltà, rispetto gli uomini, a calibrare i dosaggi ormonali. «La nuova formulazione di levotiroxina liquida in capsule molli, disponibile in 12 dosaggi, ciascuno contraddistinto da un colore (a partire da 13 fino a 200 microgrammi), consente di personalizzare meglio la terapia», fa notare il dottor Diego Fornasari, farmacologo presso l’Università degli studi di Milano. «E di limitare le interferenze legate all’uso di altri farmaci, soprattutto quelli a base di calcio per l’osteoporosi, gli antiacidi, ma anche le interazioni con alcuni cibi (caffè, fibre, soia), che vengono spesso consumati per la prima colazione, senza aspettare i 30 minuti, e rischiano di interferire con l’assorbimento della levotiroxina. Con la nuova formulazione liquida, in capsule molli, l’assorbimento dell’ormone è molto più rapido e meno soggetto a interferenze».
«Con questa nuova terapia si riesce dunque a controllare meglio la malattia e a mantenere dosaggi costanti di ormone, anche per diverse settimane, assumendo una sola capsula al giorno», conclude il dottor Paolo Beck-Peccoz, presidente dell’Associazione Italiana Tiroide. «Questa innovativa formulazione risulta molto apprezzata dai pazienti perché insapore e facile da deglutire».
di Paola Trombetta
TROPPI INTERVENTI ALLA TIROIDE
Sono più di 40 mila le donne operate in un anno per l’asportazione della tiroide e in meno del 25% dei casi si trattava di noduli tumorali. Accanimento chirurgico, dunque? «Non sempre gli interventi di asportazione della tiroide sono necessari», conferma il professor Enrico Papini, responsabile scientifico dell’Associazione Medici Endocrinologi. «Nella maggior parte dei casi si tratta di noduli benigni che, se non superano le dimensioni di qualche centimetro e non danno sintomi, si possono benissimo lasciare. In alternativa all’intervento chirurgico, nei casi di noduli sintomatici di dimensioni comprese tra 2 e 4 cm, si può ricorrere a un intervento mininvasivo con il laser. Attraverso un sottile ago, simile a quello dell’ago aspirato, si inserisce nel nodulo una fibra laser dello spessore di 300 micron. Basta una decina di minuti e la parte centrale del nodulo viene “bruciata” dal laser, senza lasciare segni o cicatrici». (P.T.)