E’ ancora il tumore più diffuso e temuto, con 30 mila nuovi casi all’anno. E la preoccupazione principale delle donne riguarda l’asportazione totale della ghiandola mammaria (mastectomia) e dei linfonodi ascellari. Da quando Umberto Veronesi e la sua équipe dell’IEO, agli inizi del 2000, pubblicavano i primi studi sul linfonodo sentinella, come indicatore dello stadio del tumore, l’operazione invasiva viene quasi sempre evitata, se il linfonodo non presenta cellule neoplastiche. Un’ulteriore conferma di questa evidenza scientifica viene da uno studio pubblicato di recente sulla rivista Cancer: i tumori del seno allo stadio iniziale, ossia entro i 2 cm e senza linfonodi ascellari positivi (T1N0), non richiedono l’intervento di svuotamento ascellare.
In occasione della settimana di prevenzione oncologica, promossa dalla LILT (Lega Italiana Lotta ai Tumori) fino al 23 Marzo, abbiamo intervistato sull’argomento il dottor Roberto Agresti, primo autore dello studio e direttore della Struttura Complessa di Chirurgia Oncologica 3–Senologia della struttura milanese, allo scopo di sensibilizzare le donne a effettuare regolari controlli per diagnosticare lesioni al seno in fase iniziale. Non solo per salvare la propria vita, ma anche per preservare la femminilità e godere di opportunità di trattamento sempre più conservative come attestano gli ultimi traguardi della ricerca scientifica.
Come si è articolato e da quale idea nasce lo studio?
«Il miglioramento delle tecniche di diagnosi, ma anche le campagne di screening fin dagli anni ’90 hanno reso possibile localizzare e intervenire su tumori molto piccoli. Ma non solo, abbiamo potuto osservare che nei tumori sotto i 2 cm, nel 70% dei casi lo svuotamento ascellare (che a quel tempo veniva effettuato a tutte le donne operate di mammella, indipendentemente dalla dimensione del tumore) portava a un risultato istologicamente negativo, ovvero i linfonodi erano negativi e la dissezione, con tutte le sue conseguenze, inutile. Abbiamo così deciso di iniziare uno studio per valutare la reale efficacia dell’asportazione dei linfonodi ascellari, coinvolgendo 500 donne tra gli anni 1998-2003 e monitorandole poi per oltre 10 anni, ovvero fino al 2013».
Questo risultato ha cambiato l’approccio ai linfonodi ascellari?
«Ci ha spinto innanzitutto a cercare metodi strumentali alternativi per ottenere informazioni sui linfonodi ascellari senza dover intervenire sull’ascella, ma non abbiamo avuto grandi successi. Poi abbiamo provato ad asportare solo il linfonodo sentinella nell’ascella, metodica messa a punto dal professor Umberto Veronesi intorno agli anni ’90, e decidere l’azione terapeutica sugli altri linfonodi. Infine si sta valutando la possibilità di evitare completamente la chirurgia ascellare, dopo aver effettuato l’analisi istologica del tumore. È questo l’obiettivo del nostro studio alla cui risoluzione e risposta si sta a poco a poco arrivando».
Ciò cambierà anche i parametri di valutazione del tumore?
«I punti di riferimento non sono più solo i linfonodi ascellari, ma il tumore primitivo, con le sue caratteristiche istologiche e la sua aggressività, prendendo in considerazione alcuni parametri biologici, come le dimensioni e lo stadio del tumore, l’espressione di alcuni recettori, già individuati da uno studio condotto dal professor Veronesi e dalla dottoressa Sylvie Ménard, pubblicato sul British Journal of Cancer nel 1994, quali possibili indicatori prognostici. Per validarne l’efficacia abbiamo così randomizzato un ampio numero di donne con particolari caratteristiche tumorali e le abbiamo suddivise in due gruppi. Alle prime è stato somministrato il trattamento tradizionale (quadrantectomia e dissezione ascellare come era la regola negli anni ’90, quando lo studio è iniziato, e la tecnica del linfonodo sentinella era ancora agli albori), mentre alle altre è stata praticata solo la quadrantectomia seguita dalla terapia adiuvante, decisa non sulla base della compromissione dei linfonodi, ma sui parametri biologici riferiti al tumore primitivo».
Che cosa è emerso?
«A distanza di 10 anni possiamo dire che i risultati sono promettenti, con curve di sopravvivenza identiche e sovrapponibili nei due gruppi. Ma non solo, la definizione della terapia post-operatoria (adiuvante), basata sulle caratteristiche biologiche del tumore, ha consentito di risparmiare un significativo numero di trattamenti chemioterapici, senza impatti negativi sulle possibilità di guarigione».
Quale sarà dunque il futuro della chirurgia del seno?
«Lo studio finora effettuato non consente ancora di trarre conclusioni definitive. Per queste, occorreranno ulteriori studi e validazioni, ma è possibile ipotizzare che nel futuro diventerà sempre più importante l’analisi delle caratteristiche biologiche del tumore, ossia dell’aggressività del tumore primitivo, piuttosto che i soli linfonodi ascellari, la cui valutazione potrebbe diventare insufficiente in relazione alle nuove acquisizioni scientifiche».
di Francesca Morelli