QUANDO IL CUORE “FIBRILLA”, ATTENTE ALL’ICTUS

www.trombosi.org) per indicare come si deve intervenire per diagnosticare tempestivamente e curare questa patologia. Indispensabile è l’assunzione continuativa di terapie anticoagulanti. Lo hanno ribadito gli specialisti intervenuti a Roma in occasione del congresso della Società Italiana di Cardiologia (14-16 dicembre), dove è stata confermata l’importanza del trattamento con anticoagulanti, in associazione alle terapie tradizionali utilizzate per regolarizzare la frequenza cardiaca.
«Il farmaco anticoagulante più utilizzato finora è il warfarin, che ha però il limite di dover richiedere controlli periodici del sangue, ogni 20 giorni circa e di dover modificare di continuo il dosaggio della terapia, adattandolo al risultato dell’esame del sangue», puntualizza il professor Gualtiero Palareti, docente di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare di Bologna. «Altri farmaci anticoagulanti, come dabigatran e rivaroxaban, si sono recentemente resi disponibili nel nostro Paese. Agiscono con un meccanismo d’azione completamente diverso dal warfarin, bloccando in modo specifico l’attività di fattori coagulativi, come la trombina e il fattore X attivato». Oltre alla prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale, come confermato dallo studio Rocket AF su oltre 14 mila pazienti, rivaroxaban è indicato nel trattamento della trombosi venosa profonda, patologia diffusa anche nelle donne. Alla categoria dei nuovi anticoagulanti che inibiscono il fattore X della coagulazione, si aggiunge una nuova molecola, edoxaban, che arriverà in Italia nel 2015. Lo studio Engage, condotto su più di 20 mila persone in 46 Paesi, dimostra una migliore compliance con l’uso di questo farmaco e la riduzione dei sanguinamenti, che si possono verificare con altre terapie anticoagulanti. «Con questa nuova classe di farmaci anticoagulanti  migliora la gestione quotidiana della malattia e la qualità della vita dei pazienti, non più costretti ad effettuare gli esami del sangue ogni mese», fa notare il professor Raffaele De Caterina, docente di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare all’Università di Chieti. «La maggior preoccupazione di questi pazienti è infatti legata alle improvvise variazioni degli indici della coagulazione del sangue e al doversi sottoporre ogni 15/20 giorni ai prelievi. Con questi nuovi farmaci è sufficiente un controllo del sangue una/due volte all’anno. Rappresentano dunque una valida opzione terapeutica per chi ha problemi ad assumere i farmaci tradizionali e consentiranno anche di ampliare la fascia di popolazione ancora non protetta, rappresentando una terapia efficace di pratico utilizzo».

di Paola Trombetta

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