Eradicare l’epatite C e curare i malati di AIDS: due traguardi ambiziosi che Daria Hazuda si è prefissata di ottenere come virologa e ricercatrice da più di 20 anni e oggi responsabile mondiale della ricerca sugli antivirali e sulle malattie infettive dei Laboratori di ricerca Merck. E si è dedicata, con caparbietà e abnegazione, allo studio di questi virus, dotati di grande astuzia nel mutare il loro assetto per poter assumere le caratteristiche che permettono di aggredire in diversi modi l’organismo. Ma Daria è stata più forte e astuta di loro. E ha portato a termine importanti ricerche che hanno consentito la scoperta di farmaci in grado di bloccare la replicazione dei virus. Proprio in questi giorni, in cui ricorre la Giornata della Ricerca (14 giugno), l’abbiamo incontrata a Milano, per la presentazione della sesta edizione del Premio giornalistico “RiccardoTomassetti” (www.premiotomassetti.it), dedicato quest’anno alla virologia, uno degli argomenti più cari al nostro giovane collega.
Perchè è nato il suo interesse per i virus?
«Fin da bambina ho avuto una grande passione per le scienze, grazie soprattutto a mia madre che lavorava in un’azienda farmaceutica. Per questo mi sono laureata in Medicina alla Georgetown University e ho iniziato subito a lavorare in laboratorio. Sono sempre stata attratta dallo studio dei microrganismi, in particolare di quelli che sono la causa di malattie come i virus: la mia “mission” era rivolta a debellare tali malattie, combattendo i virus patogeni… Un’ideale che si è poi concretizzato nella realtà del mio lavoro. Dopo il dottorato in biochimica presso l’Università dello Stato di New York, ho ottenuto una borsa di ricerca al Dipartimento di Immunologia di Smith Kline e infine sono approdata al Gruppo di ricerca antivirale di Merck nel 1989, dove mi sono occupata soprattutto dei virus dell’epatite C e dell’HIV».
Ha dedicato più di 20 anni della sua vita alla scoperta e allo sviluppo di molecole che sono fondamentali per il trattamento delle infezioni da HIV e da HCV. Quali sono i risultati attuali e quale sarà il futuro della Virologia, in particolare per quanto riguarda le terapie dell’HIV e dell’HCV?
Potrebbe spiegare la novità di un farmaco, come raltegravir, utilizzato per trattare l’infezione da HIV, che ha come bersaglio l’integrasi, un enzima che integra il DNA virale nella cellula? Quali sono stati i passi che hanno portato allo sviluppo di questa terapia innovativa?
«La scoperta di questo farmaco ha richiesto un lavoro di ricerca che si è sviluppato nell’arco di oltre un decennio. Abbiamo dovuto risolvere una serie di problemi a livello della ricerca di base per individuare le vulnerabilità delle proteine e quindi sviluppare le armi giuste per sfruttare tutti i punti deboli. Queste acquisizioni sono state la chiave per superare i numerosi ostacoli emersi durante il processo di scoperta dei nuovi farmaci, poiché molte delle molecole, che inizialmente avevamo messo a punto, provocavano troppi effetti indesiderati e le abbiamo dovute scartare. Raltegravir è stata la quarta molecola che abbiamo avviato alla fase di sviluppo. Anche questa nostra esperienza conferma come la scoperta di nuovi farmaci sia sempre un processo lungo, che lascia molte “vittime” lungo la strada».
In Italia è stato da poco approvato boceprevir, primo inibitore della proteasi utilizzato per il trattamento dell’Epatite C. Già indicato per la terapia dell’HIV: come avete intuito di poterlo utilizzare anche contro il virus dell’epatite C?
«Come già era avvenuto per la messa a punto degli inibitori della proteasi destinati al trattamento dell’HIV, anche nel caso di boceprevir la nostra scoperta è stata facilitata dalla possibilità di analizzare direttamente la complessa struttura tridimensionale della proteasi, enzima che favorisce la replicazione dei virus nell’organismo ospite. Questa conoscenza ci ha permesso di progettare in modo razionale farmaci in grado di bloccare l’azione di tale enzima. Inoltre conoscere a fondo questi meccanismi d’azione ci facilita nella comprensione dei fenomeni di resistenza alla terapia e nella progettazione di molecole di nuova generazione in grado di agire anche contro le possibili mutazioni del virus. E oggi, grazie a questo innovativo farmaco, abbiamo ottenuto una percentuale di guarigione dell’epatite C nel 70% dei casi, con eradicazione completa del virus nell’epatite con genotipo 1, il più diffuso e difficile da trattare».
Cosa prevede il futuro della ricerca per combattere in modo sempre più efficace questi virus?
«Il nostro impegno è rivolto alla scoperta di molecole sempre più promettenti per sconfiggere e debellare i virus, in particolare l’HIV e l’HCV. Per questo l’impegno si sviluppa a 360° e prevede un’incessante collaborazione con il mondo accademico e della ricerca. Il nostro obiettivo non è semplicemente quello di mettere a punto nuovi farmaci, ma attuare una strategia vincente per la prevenzione e l’eradicazione dei virus, divulgano le nostre scoperte per informare le persone, affette da queste infezioni virali, che oggi possono essere curate e, in alcuni casi, guarire. In particolare ne potrebbero trarre giovamento anche i pazienti più fragili, come i diabetici o le donne in menopausa che spesso tendono a trascurare infezioni, come l’epatite C, rischiando la degenerazione in cirrosi e tumore epatico».
di Paola Trombetta